martedì 22/04/2025 • 06:00
La questione è particolarmente cara ai pendolari: in quali casi il tempo del tragitto per (o dal) luogo di lavoro va computato nel relativo orario e, quindi, retribuito? Vediamo i principi generali della materia, le possibili casistiche e le differenze a seconda delle modalità di trasporto usate.
Il luogo in cui viene svolta la prestazione lavorativa rappresenta un elemento essenziale del contratto di lavoro subordinato. Sebbene la sede lavorativa sia stabilita all'atto dell'instaurazione del rapporto di lavoro (obblighi di trasparenza ex D. Lgs. 104/2022), in alcuni casi può essere richiesto di effettuare la prestazione in luoghi diversi. In tali circostanze, il datore di lavoro è tenuto a valutare se sussista l'obbligo di riconoscere un compenso aggiuntivo rispetto alla retribuzione ordinaria, al fine di remunerare il tempo impiegato dal lavoratore per recarsi nel luogo di assegnazione temporanea e per il rientro. Il cosiddetto "tempo di viaggio" corrisponde infatti al periodo necessario per raggiungere il luogo in cui deve essere svolta l'attività lavorativa, quando questo non coincide con la sede abituale.
Il tempo di viaggio
Il tempo di viaggio assume particolare rilevanza in contesti lavorativi caratterizzati da frequenti spostamenti del personale, soprattutto in situazioni che comportano uno o più spostamenti necessari per raggiungere il luogo temporaneo di assegnazione. In tali ipotesi, si rende opportuno procedere a un'analisi della qualificazione giuridica del tempo impiegato per il trasferimento verso la sede di destinazione e per il rientro da quest'ultima, al fine di determinare se, e in quale misura, tale periodo possa rientrare nel tempo di lavoro.
Si ricorda che l''orario di lavoro è “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni” (art. 1 c. 2 lett. a) D.Lgs. 66/2003). In linea generale, il tempo impiegato quotidianamente per raggiungere la sede lavorativa o durante una trasferta, non viene considerato parte della prestazione lavorativa vera e propria (art. 8 D.Lgs 66/2003). Si rammenta che la contrattazione collettiva, anch'essa fonte regolatrice del rapporto di lavoro in subordine alla legge, è ammessa la deroga alla disciplina legale esclusivamente in senso più favorevole al lavoratore.
Quando il tempo di viaggio rientra nell'orario di lavoro
La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sul tema; ex pluris, in Cass. 5359/2001 ha precisato che il tempo di viaggio “non si somma quindi al normale orario di lavoro così da essere qualificato come lavoro straordinario, tanto più che l'indennità di trasferta è in parte diretta a compensare il disagio psicofisico e materiale dato dalla faticosità degli spostamenti suindicati”. La stessa giurisprudenza, tuttavia, ha introdotto il cosiddetto principio di funzionalità, secondo il quale, qualora il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro sia determinato dalle direttive del datore di lavoro, tale periodo deve essere incluso nell'orario di lavoro, in quanto funzionale al compimento della prestazione lavorativa. (cfr. Cass. 5701/2004; Cass. 5496/2006). Più recentemente, con Cass. 16674/2024, la Suprema Corte, rifacendosi all'orientamento espresso con la precedente Cass. 37286/2021, ha ribadito che il tempo preparatorio della prestazione lavorativa rientra nell'orario di lavoro se le relative operazioni si svolgono sotto la direzione e il controllo del datore. Nel caso di specie, trattandosi di lavoratori manutentori addetti a interventi esterni presso i clienti, rientra nel concetto di orario tutto il lasso temporale compreso tra l'arrivo in azienda per visualizzare i luoghi degli interventi da compiere, rilevare l'orario di inizio del lavoro e ricevere le disposizioni datoriali ed il ritorno, al termine delle attività, presso la sede aziendale.
Contratti collettivi
Il principio generalmente applicato dalla giurisprudenza prevede che il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta non costituisce esplicazione dell'attività lavorativa ed il disagio che deriva al lavoratore è assorbito dall'indennità di trasferta. Come anticipato, l'art. 8 c. 3 D.Lgs. 66/2003 consente alla contrattazione collettiva una differente disciplina delle trasferte, al fine di stabilire in quali casi il tempo di viaggio possa essere considerato come servizio a tutti gli effetti. Di conseguenza, ai fini dell'esatto inquadramento del tempo impiegato dai lavoratori per raggiungere il posto di lavoro, al principio generale testé menzionato si applicano le seguenti deroghe:
Sono da considerare nulli gli accordi collettivi che prevedano una franchigia temporale, entro la quale è posto a carico dei lavoratori il tempo necessario per il trasferimento dal luogo di ricovero del mezzo aziendale a quello del primo intervento, nonché, alla fine della giornata lavorativa, per il tragitto inverso. Il Ministero del Lavoro ha da tempo confermato questo orientamento giurisprudenziale prevalente, tra l'altro, attraverso gli interpelli 13/2010 e 15/2010.
Retribuzione
Quando il tempo di viaggio è qualificato come orario di lavoro, deve essere retribuito secondo le ordinarie modalità, riconoscendo al lavoratore la normale retribuzione, se il viaggio avviene durante il normale orario di lavoro, ovvero con le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario (o supplementare) se il viaggio si protrae oltre l'orario normale. Di conseguenza, si applicano le normali regole di assoggettamento della retribuzione a contribuzione previdenziale e a imposizione fiscale. Qualora tali somme siano corrisposte ai lavoratori dipendenti del settore privato in attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali, in correlazione con incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili, secondo quanto stabilito dall'art. 1 c. 182-189 L. 208/2015 e successive modificazioni, e dal DI 25 marzo 2016, esse potranno beneficiare dell'imposta sostitutiva dell'IRPEF e delle addizionali regionali e comunali. Tale disposizione trova attuazione entro il limite complessivo di 3.000 euro lordi e per i titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore a 80.000 euro nell'anno precedente a quello di riscossione del riconoscimento economico. Al riguardo, è utile ricordare che la legge di bilancio 2025 (art. 1 c. 385 L. 207/2024) ha confermato per il triennio 2025-2027 l'imposta sostitutiva dell'IRPEF e delle relative addizionali con aliquota del 5% anziché 10%.
Modalità di trasporto
Sotto l'aspetto organizzativo e logistico, per i suoi spostamenti, il lavoratore può utilizzare i mezzi pubblici, l'autovettura aziendale o anche quella personale. Il datore di lavoro può mettere a disposizione dei lavoratori un mezzo di trasporto collettivo, generalmente da e verso l'azienda. In tal caso non concorrono alla formazione della retribuzione imponibile le prestazioni di servizio di trasporto collettivo destinate alla generalità o a categorie di dipendenti svolte dal datore di lavoro direttamente o tramite terzi (art. 51 c. 2 lett. d) TUIR). In alternativa, l'azienda può rimborsare ai dipendenti le spese sostenute per l'acquisto degli abbonamenti al trasporto pubblico, attestate da idonea documentazione, ovvero acquistare direttamente l'abbonamento al trasporto pubblico.
Il datore di lavoro può anche concedere l'uso di un veicolo per scopi esclusivamente aziendali o promiscui. Nel primo caso non vi è attribuzione di alcun reddito al lavoratore; mentre, per l'azienda il costo afferente al veicolo è interamente deducibile ai sensi dell'art. 164 c. 1 lett. a) TUIR. Nel secondo caso, il valore della concessione del veicolo per la parte destinata ad uso personale è assoggettabile a tassazione e a contribuzione. Al riguardo, merita segnalare che la legge di bilancio 2025 ha riformulato l'art. 51 c. 4 lett. a) TUIR in favore di un sistema di tassazione non più basato sulle emissioni di Co2 del veicolo, ma sulla tipologia di alimentazione.
Tra le novità di rilievo, si segnala inoltre che il D.Lgs. 192/2024 è intervenuto in maniera significativa sulla disciplina relativa al rimborso delle spese di viaggio e alle esenzioni fiscali e previdenziali connesse, per le spese sostenute dal lavoratore in occasione di trasferte effettuate all'interno del territorio comunale. In particolare, viene abrogato il riferimento alle spese di trasporto, precedentemente comprovate mediante documentazione fornita dal vettore, stabilendo che, ai fini dell'esenzione, sia sufficiente la prova delle spese stesse, accompagnata dalla relativa documentazione, senza necessità di ulteriori certificazioni da parte del trasportatore.
Infine, la legge di bilancio 2025 (L. 207/2024) ha introdotto, ai fini dell'esenzione fiscale per il lavoratore e della deducibilità per l'azienda, l'obbligo di effettuare il pagamento delle spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto tramite strumenti tracciabili per poter beneficiare del rimborso. In particolare, l'art. 1 c. 81-83 della stessa legge ha previsto che, con decorrenza dal 1° gennaio 2025, le spese per vitto, alloggio, viaggio e trasporto mediante autoservizi pubblici non di linea devono essere pagate tramite strumenti tracciabili, qualora riguardino trasferte di dipendenti e lavoratori autonomi. Diversamente, il costo è indeducibile per l'azienda datrice di lavoro, mentre per il lavoratore l'importo del rimborso spese verrà assimilato alla retribuzione e come tale assoggettato a tassazione e contribuzione previdenziale.
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Francesco Geria
- Consulente del lavoro in Vicenza - Studio LabortreRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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