sabato 29/03/2025 • 06:00
Lo smart working può rappresentare una leva importante per realizzare quegli accomodamenti ragionevoli previsti dalla legge a tutela dei lavoratori disabili, sempreché in concreto ciò sia realizzabile senza rappresentare per il datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato.
Favorire l'inclusione, rendere accessibile il lavoro, valorizzare le competenze professionali, dovrebbero essere le parole d'ordine per migliorare la situazione del collocamento produttivo delle persone con disabilità.
Le pur importanti norme legislative, sia europee che nazionali, non sempre riescono in concreto ad affrontare il tema. Da questo punto di vista, lo smart working e gli accomodamenti ragionevoli possono essere degli strumenti molto importanti. Vediamo in sintesi in che maniera.
Lo smart working
In linea generale, il lavoro agile è disciplinato dalla L. 81/2017.
Sul tema in questione, l'art. 18 della normativa prevede che i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in smart working formulate dal lavoratore con disabilità in situazione di gravità. L'art. 19 espressamente prevede che l'accordo possa essere a tempo determinato o indeterminato e in quest'ultimo caso è consentito il recesso, che può avvenire con un preavviso di 90 giorni nel caso di lavoratori disabili ai sensi dell'art.1 L. 68/99.
Da un punto di vista storico, questa prerogativa era stata trasformata in un vero e proprio diritto di precedenza durante l'emergenza sanitaria dall'art. 39 DL 18/2020, trasformato nel tempo dell'emergenza pandemica dai vari provvedimenti legislativi succedutisi man mano per tutelare i c.d. lavoratori fragili (art. 90 DL 34/2020, art. 1 L. 197/2022, DL 145/2023), assicurando agli stessi, comunque, sempre un trattamento di miglior favore.
Lo smart working, pertanto, sia nella sua evoluzione che per le sue caratteristiche di strumento utile a conciliare tempi di vita e lavoro consentendo anche il lavoro da casa, è “naturalmente” un efficace sistema per agevolare il lavoro del dipendente disabile.
Il diritto antidiscriminatorio
Il D.Lgs 2016/2003 si occupa della questione negli artt. 1 e 2.
Nel primo viene previsto l'attuazione della parità di trattamento fra persone indipendentemente dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età, dalla nazionalità e dall'orientamento sessuale, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro, “disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione…”.
Nel secondo si procede alla definizione della discriminazione indiretta, che diventa tale “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possano mettere le persone portatrici di handicap in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.
Anche alla luce di queste disposizioni, di nuovo, appare evidente come il lavoro in smart working può diventare una misura concreta ed efficace per rendere effettivo il principio di parità di trattamento, così come prevede la legge.
Gli accomodamenti ragionevoli
Il concetto di accomodamento ragionevole nasce per la prima volta in ambito comunitario, con la Dir. 2000/78/CE, dal titolo “soluzioni ragionevoli per i disabili”: “…il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato”.
In Italia, il recepimento della norma comunitaria è rappresentato dal D.Lgs 216/2003 e, più recentemente, dal D.Lgs 62/2024 (il quale introduce, all'interno della L. 104/92, l'art. 5 bis), che si pone l'obiettivo di estendere l'ambito di applicazione non solo riguardo l'accesso al lavoro o al mantenimento dell'occupazione, ma più in generale alla garanzia del rispetto di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.
La nuova legge introduce un ulteriore concetto importante, sintetizzabile nel ruolo attivo che viene affidato alla persona con disabilità nel procedimento di individuazione dell'accomodamento ragionevole, affidandole anche la possibilità di formulare una proposta che possa rappresentare una mediazione tra le esigenze del lavoratore disabile e quelle dell'azienda.
Il nocciolo della questione resta il passaggio dalla teoria alla pratica, come appare ben chiaro, per esempio, dalla sentenza della Cass. 6497/2021: “non è possibile predeterminare in astratto l'esatto contenuto dell'obbligo…consapevole dell'impossibilità di una tipizzazione delle condotte prescrivibili, il legislatore ha conferito all'interprete il compito di individuare lo specifico contenuto dell'obbligo, guidato dalle circostanze del caso concreto”.
Nella stessa sentenza viene sancito un altro importante principio: graverà sul datore di lavoro l'onere di provare di aver adempiuto all'obbligo di accomodamento, ovvero che l'inadempimento sia dovuto a causa a lui non imputabile.
La sentenza n. 77 del 5 marzo 2025 del Tribunale di Mantova
In questo quadro, particolarmente esemplificativa della questione è la lettura della sentenza del Tribunale di Mantova n. 77/2025.
Il Giudice deve decidere sul caso di un lavoratore disabile che rivendica il diritto soggettivo allo smart working quale accomodamento ragionevole per l'esercizio del suo diritto al lavoro - altrimenti impraticabile- come invalido portatore di handicap, peraltro diventato tale a causa di un grave infortunio subito in azienda.
Interessante capire in sintesi il tentativo di mediazione effettuato anche in udienza:
Il Magistrato nell'istruttoria analizza la documentazione medica, le mansioni assegnate al lavoratore, le argomentazioni dell'azienda sulla necessità della presenza fisica del dipendente per almeno tre giornate a settimana, “data la necessità di confrontarsi continuativamente con i colleghi del team di lavoro per gestire con tempi di reazione rapidi eventuali criticità nei dati estratti dagli elaborati”, e alla fine decide in favore del dipendente, sostanzialmente rilevando che l'azienda non abbia dimostrato le esigenze organizzative ostative all'estensione dello smart working e/o oneri finanziari sproporzionati o eccessivi.
Il Tribunale dichiara quindi allo stato il diritto del ricorrente a espletare la propria attività lavorativa in regime di lavoro agile per almeno tre giorni alla settimana, non senza rilevare che “nulla vieta alla datrice di lavoro di modificare in futuro le modalità attuative della prestazione se il progetto alla realizzazione del quale è adibito il ricorrente esaurisce i suoi scopi o si dimostra impossibile da realizzare da casa almeno tre giorni alla settimana o anche di individuare nuove mansioni da svolgere in smart working compatibili con le condizioni di salute del ricorrente (peraltro anch'esse suscettibili di mutamenti), fatto salvo, ovviamente, il diritto del ricorrente di contestare/impugnare il provvedimento di modifica dell'attuale assetto…).
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Giuseppe Gentile
- Avvocato e Professore di diritto del lavoro Università di Napoli Federico IIRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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