lunedì 10/02/2025 • 06:00
La Cassazione giunge a conclusioni innovative circa la definizione della base fissa necessaria per la tassazione dei redditi cross-border realizzati da professionisti indipendenti (art. 14 del vecchio Modello OCSE) e ai fini della detrazione in Italia delle imposte pagate all'estero (Cass. 31 gennaio 2025 n. 2286).
L'oggetto della controversia
La sentenza riguarda compensi derivanti da attività professionali rese, nell'anno 2014, in favore della Università dello Utah -con la quale la collaborazione durava da anni- ed ammontano a XX dollari, mentre le imposte trattenute ammontano a X dollari.
Quindi, il contribuente aveva diligentemente indicato in Unico i redditi di fonte USA derivanti dallo svolgimento di una professione indipendente e aveva detratto le ritenute operate negli USA come credito d'imposta ex art. 165 TUIR.
L'AE aveva però negato l'utilizzabilità del credito d'imposta affermando che il contribuente non aveva una base fissa per svolgere la propria attività di lavoratore autonomo negli USA.
Pur statuendo che la CTR della Lombardia aveva erroneamente accolto la posizione dell'AE, la sentenza ha dato torto al contribuente interpretando in modo innovativo ed evolutivo la nozione di base fissa contenuta nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni sottoscritte dall'Italia.
La rilevanza sistematica della base fissa
Nel caso in esame la rilevanza della base fissa è dettata dall'art. 14 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra USA e Italia. Tuttavia, l'espressione base fissa ricorre in tutte le convenzioni contro le doppie imposizioni sottoscritte dall'Italia, quindi i principi espressi potrebbero avere un'ampia applicazione. La sentenza si discosta, però, da altre decisioni della Cassazione (2116/2024 e 3303/2024).
Torniamo ai principi generali. Le Convenzioni bilaterali hanno lo scopo di ripartire i diritti impositivi tra i due Stati contraenti. Ebbene, relativamente alle professioni indipendenti la convenzione ITA/USA stabilisce che, se non vi è base fissa negli USA, i diritti impositivi sono allocati solo all'Italia. Mentre in presenza di una base fissa i redditi del professionista residente in Italia sono soggetti tassazione concorrente; cioè gli USA possono tassare ed anche l'Italia può tassare ma è tenuta a riconoscere il credito d'imposta.
Infatti, l'art. 14 della Convenzione ITA/USA dispone: “I redditi che una persona fisica residente di uno Stato contraente ritrae dalla prestazione di servizi personali a carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tali servizi non siano prestati nell'altro Stato contraente e la persona fisica disponga abitualmente in detto altro Stato di una base fissa per l'esercizio delle sue attività, ma in tal caso i redditi sono imponibili in detto altro Stato unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa.”
Come si nota, dunque, il discrimen tra: (i) tassazione concorrente sia negli USA e sia in Italia; ovvero (ii) tassazione esclusiva in Italia, è costituito dall'esistenza di una base fissa del libero professionista negli USA.
Pertanto, affermando l'assenza di una base fissa negli USA, l'AE aveva stabilito: (1) che il reddito del contribuente non doveva essere assoggettato ad imposta negli USA; e conseguentemente (2) che le imposte prelevate all'estero in violazione della Convenzione non possono essere detratte ex art. 165 TUIR da quelle dovute in Italia sul reddito di fonte USA.
Le argomentazioni sub (1) e (2) sono corrette in linea di principio e sono già state affermate chiaramente dalla “famosa” Circ. AE 5 marzo 2015 n. 9/E (par. 2.4) di commento all'art. 165 TUIR. L'AE afferma che nel caso in cui un soggetto residente in Italia produca reddito in uno Stato con cui è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni, è possibile computare il credito per le imposte pagate all'estero nel limite della ritenuta convenzionale. Se lo Stato estero ha applicato una ritenuta più alta di quella convenzionale, la differenza, non accreditabile in Italia, potrà essere oggetto di rimborso nello Stato estero, secondo le modalità ivi previste.
Cioè a dire che, se ad es. sulle royalties, la Convenzione prevede una imposizione estera massima del 15% e lo Stato estero preleva una ritenuta del 25%, il contribuente potrà utilizzare come credito il 15%, ma non tutto il 25%, il differenziale del 10% dovrà essere richiesto come rimborso allo Stato estero. Evidentemente, e a maggiore ragione, il ragionamento, vale se la Convenzione esclude del tutto i diritti impositivi dello Stato estero; quindi se lo Stato estero preleva le imposte in violazione della Convenzione, dette imposte non possono essere utilizzate in detrazione ex art. 165 TUIR.
Tornando al caso in esame, il punto controverso non erano i principi sopra esposti, ma l'esistenza o meno della base fissa. L'AE aveva contestato l'utilizzabilità del credito d'imposta ex art. 165 TUIR, perché aveva affermato: (i) che il contribuente non aveva una base fissa negli USA; quindi (ii) gli USA non avevano il diritto di tassare i redditi del contribuente ex art. 14 della Convenzione USA/ITA; e quindi (iii) le imposte americane non potevano essere utilizzate come credito in Italia.
Base fissa e S.O.: quali differenze
La sentenza in commento giustamente ricorda che la definizione di base fissa non è contenuta né nell'ordinamento interno, né nella Convenzione ITA/USA. Pertanto, spetta al giudice stabilirne il significato.
Per giungere alle proprie conclusioni, la sentenza si esprime sulla valenza del Commentario OCSE, sui principi interpretativi dettati dalla Convenzione di Vienna e sulle conseguenze legate al fatto che l'Italia ha apposto una riserva sia all'art. 3 e sia all'art. 7 del Modello OCSE. Le riserve riguardano il fatto che l'articolo 14 è stato espunto dal Modello OCSE del 2000.
Il riferimento all'art. 7 del Modello OCSE per i redditi d'impresa deve essere chiarito. I principi ispiratori che regolano l'art. 7 e l'art. 14 (ora espunto) del Modello OCSE sono i medesimi, cioè: (a) i redditi d'impresa di un soggetto non residente sono tassati nello Stato della fonte solo se realizzati attraverso una S.O. ivi localizzata; così come (b) i redditi di professioni indipendenti sono tassati nello Stato della fonte solo se realizzati con una base fissa.
Come è noto, per i redditi d'impresa il medesimo principio è sancito anche nell'ordinamento italiano dal combinato disposto dell'art. 23 c. 1 lett. e) e dall'art. 162 TUIR. Mentre, per i redditi di lavoro autonomo, in assenza di una Convenzione, il criterio di territorialità espresso dall'art. 23 c. 1 lett. d) TUIR non richiede la presenza di una base fissa essendo sufficiente che i redditi derivino da “attività esercitate nel Territorio dello Stato”.
In assenza di una definizione espressa di base fissa, la Cassazione aveva affermato che i due concetti di base fissa e S.O. erano sovrapponibili. Ad es. è stato affermato che le prestazioni di professioni indipendenti sono “tassate in Italia, a mente dell'art. “dell'art. 14 della Convezione, in presenza di una base/sede fissa in Italia, concetto del tutto assimilato a quello di stabile organizzazione, tanto che in linea generale l'art. 14 stesso è stato rimosso dal commentario OCSE proprio per tale ragione, sebbene l'Italia abbia espresso sul punto una riserva, ed in ogni caso per la definizione il suddetto commentario rimanda all'art. 7 e da qui all'art. 5.” (Cass. 22 gennaio 2024 n. 2116, ribadita da Cass. 5 febbraio 2024 n. 3303 – sentenze per altro citate da Cass. 2286/2025 in commento).
Le innovative affermazioni
Per la Cassazione è evidentemente molto difficile andare ad individuare concretamente in cosa si sostanzierebbe il quid minus che permetterebbe allo Stato della fonte di tassare i redditi anche in assenza di una stabile organizzazione (S.O.). La sentenza propone come principale lente interpretativa la presenza fisica.
La Cassazione, infatti, afferma che è necessario svincolare la nozione di base fissa dalla fissa materialità di una postazione, per collegarla al luogo dove l'attività viene fisicamente svolta. In tal senso il termine “fissa” riguarderebbe solo la continuativa, cioè non occasionale, dell'attività in loco, accompagnata dal soggiorno continuativo del contribuente non residente, che svolga l'attività in modo indipendente anche con modalità che prescindono dalla stanzialità e dall'utilizzo di un solo luogo fisico (par. 20.19).
Osservazioni
La sentenza in commento è rivolta ad un professionista residente in Italia che svolge l'attività all'estero per la quale subisce una tassazione alla fonte. Quindi, l'ampliamento della nozione di base fissa sarebbe solo favorevole, perché permetterebbe una maggiore creditabilità in Italia, ex art. 165 TUIR, delle imposte subite nello Stato estero.
Tuttavia, se letta a contraris, cioè nell'ottica di un professionista straniero che svolge attività in Italia, l'affermazione (punto 20.12 della motivazione) per cui la base fissa è “qualche cosa in meno” della S.O., è forviera di grandi incertezze. Ciò perché, improvvisamente, diverrebbero fonti di redditi imponibili in Italia numerose situazioni che prima non lo erano.
Negando la sovrapposizione della definizione di base fissa e di S.O., vengono a saltare gli argini previsti dalla definizione normativa di S.O., e così le pretese dell'AE potrebbero dilagare.
Le incertezze nasceranno anche dal fatto che la conclusione della Cassazione è innovativa rispetto alla prassi internazionale in tema di Convenzioni, con la conseguenza che verranno a crearsi conflitti interpretativi tra le autorità fiscali italiane e straniere.
Se la Cassazione 2286/2025 verrà “cavalcata” dall'AE, forse ai contribuenti converrà invocare anche la procedura amichevole prevista dalle Convenzioni.
Tuttavia, gli argomenti andranno valutati e approfonditi con attenzione, anche se non sono esenti da critiche per la loro indeterminatezza e assenza di appigli testuali. Infatti, gli stessi propongono una interessante interpretazione evolutiva delle Convenzioni sottoscritte dall'Italia per renderle applicabili a situazioni divenute attuali solo dopo l'enorme sviluppo delle telecomunicazioni.
La Cassazione non cita espressamente il fenomeno del remote working o quello dei nomadi digitali, ma quello potrebbe essere l'obbiettivo, in vista di una loro attrazione a tassazione.
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Diego Avolio
- Dottore commercialista (Studio di Consulenza Giuridico-Tributaria - S.C.G.T), LL.M.Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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