mercoledì 29/01/2025 • 06:00
In un caso di operazione di fusione per incorporazione con retrodatazione degli effetti, l'incorporante non può utilizzare le perdite in quanto non è stato superato il test di vitalità. Sul punto, la Cassazione 24 gennaio 2025 n. 1715 conferma quanto previsto dalla riforma fiscale.
Il riporto delle perdite e il conseguente utilizzo delle stesse in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante, è fortemente limitato da una serie di regole che condizionano la possibilità di “compensare” detta voce di bilancio. Le disposizioni, contenute nell'art. 172 TUIR, in concreto, perseguono l'obiettivo di evitare l'incorporazione di società inattive a fini elusivi e la fusione di “scatole vuote” o cariche solo di perdite da portare in dote all'incorporante, ma ormai svuotate di ogni concreta operatività.
Il principio della Cassazione
Il caso affrontato dalla Suprema Corte, nella sent. del 24 gennaio 2025, n. 1715, tratta della notifica di un avviso di accertamento con il quale è stato rettificato il reddito d'impresa a seguito del mancato riconoscimento delle perdite confluite dalla newco, conseguente alla fusione per incorporazione con società controllata, ma retrodatata al primo gennaio dell'anno di effettuazione dell'operazione di fusione. A parere dell'Amministrazione Finanziaria, le perdite non possono essere riconosciute in quanto non è stato superato il test di vitalità, da effettuarsi non solo per l'anno precedente all'operazione in questione, ma anche per quello rispetto al quale gli effetti della fusione sono stati retrodatati.
Nei giudizi di merito, in primo grado, il ricorso era stato respinto mentre, in secondo grado, l'appello della società era stato accolto. L'Agenzia delle entrate, quindi, impugna la decisione della CTR con ricorso fondato su due motivi: il primo, per violazione dell'art. 172 c. 9 TUIR, in quanto la CTR ha errato nel condividere la tesi della contribuente/società secondo la quale il test di vitalità deve essere limitato all'esercizio precedente la fusione e non esteso a quello in cui l'operazione è avvenuta, con il secondo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 106 TUIR, poiché l'art. 101 c. 5 TUIR, va interpretato nel senso che, in caso di perdite su crediti vantati nei confronti di un debitore soggetto a procedura concorsuale, le perdite debbano essere dedotte nell'anno di imposta in cui è stata pronunciata la sentenza di fallimento o il decreto di ammissione al concordato preventivo, posto che, diversamente opinando, si finirebbe con l'ammettere che il contribuente abbia la possibilità di scegliere a suo piacimento il periodo di imposta nel quale far valere la perdita di crediti.
Tralasciando il secondo motivo, sembra opportuno focalizzare l'attenzione sul primo motivo, ossia il mancato riconoscimento delle perdite in caso di fusione, anche alla luce delle modifiche intervenute con il D.Lgs. 192/2024.
Gli ultimi giudici ritengono che il primo motivo sia fondato, con esito favorevole per l'Agenzia. Esaminando l'art. 172 c. 7 e 9 TUIR, la Corte ne riprende il contenuto, evidenziando che le perdite fiscali pregresse sono soggette a dei limiti di riportabilità in capo alla società risultante dalla fusione:
In più, è scritto nella sentenza, per effetto delle modifiche recate dall'art. 35 c. 17 DL 223/2006, convertito, con modificazioni, dalla L. 248/2006, si è stabilito che per le fusioni e le scissioni retroattive (come nel caso di specie) i limiti per il riporto delle perdite pregresse si estendono al risultato negativo del periodo in cui avviene l'operazione e la verifica dei requisiti minimi di vitalità economica deve essere effettuata anche per il periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la data di efficacia dell'operazione.
Concludendo, il caso posto all'attenzione della Cassazione, riguarda un'operazione di fusione per incorporazione con retrodatazione dei suoi effetti. Il test di vitalità dell'impresa non è stato superato per il periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la data di efficacia dell'operazione, quindi, in violazione del citato art. 172, c. 7.
Pertanto, alla luce di quanto suesposto, la Suprema Corte ritiene che non si può riconoscere alla società incorporante il diritto di riportare le perdite pregresse in esito all'operazione di fusione in esame.
La riforma fiscale sul riporto delle perdite
L'art. 15 c. 1 lett. b) D.Lgs. 192/2024, decreto attinente alla revisione del regime impositivo dei redditi (IRPEF–IRES), sostituisce integralmente il c. 7, dell'art. 172 TUIR, introducendo i commi 7-bis e 7-ter. Va subito premesso che le nuove regole per il riporto delle perdite fiscali pregresse si applicano alle operazioni effettuate dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2024.
Le perdite fiscali pregresse delle società che partecipano alla fusione, compresa l'incorporante, possono essere utilizzate dalla società risultante o incorporante, secondo le regole ordinarie, vale a dire che le perdite sono utilizzabili in compensazione del reddito dei periodi successivi, senza limiti temporali, in misura non superiore all'80% del suddetto reddito, per l'intero importo che trova capienza in tale ammontare; in pratica, se in un periodo d'imposta la società produce un utile, pur in presenza di perdite riportabili, dovrà assoggettare a imposizione comunque una quota pari al 20% di predetto utile. La restante quota di perdite sarà riportabile nei periodi successivi con le medesime regole. Se si tratta di perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta dalla data di costituzione della società e si riferiscono a una nuova attività produttiva, è consentito il riporto in misura pari al 100%.
Dette regole sono valide, in caso di fusione, se sono soddisfatti, in capo alla società in perdita, determinati criteri di vitalità economica (di seguito “test di vitalità”) e con un limite quantitativo costituito dal valore economico del patrimonio netto della società che riporta le perdite.
In caso di fusione retrodatata, va considerato anche il risultato negativo che si sarebbe generato in modo autonomo, in questo caso solamente in capo alla società incorporata, in relazione alla frazione di esercizio compresa tra l'inizio del periodo d'imposta e la data antecedente a quella di efficacia della fusione.
In merito al patrimonio, la novella è volta ad analizzare il valore economico del patrimonio della società che riporta le perdite che, in concreto, rappresenta un indicatore di recuperabilità delle stesse attraverso futuri redditi imponibili. In ogni caso, tale valore, determinato alla data di efficacia della fusione ai sensi dell'art. 2504-bis c.c., deve risultare da una relazione giurata di stima redatta da un soggetto designato dalla società, scelto tra quelli di cui all'art. 2409-bis c. 1 c.c. e al quale si applicano le disposizioni di cui all'art. 64 c.p.c. In assenza della relazione giurata di stima, il riporto delle perdite è consentito nei limiti del valore del rispettivo patrimonio netto contabile quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all'art. 2501-quater c.c., senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa.
Rimane confermato nella nuova disposizione, invece, il test di vitalità che va verificato in capo alla società che riporta le perdite ed è soddisfatto se dal conto economico, relativo:
I limiti e le condizioni al riporto delle perdite non si applicano in caso di operazioni infragruppo, come disciplinati dal nuovo art. 177-ter TUIR, inserito dall'art. 15 c. 1 lett. d) D.Lgs. 192/2024. Per l'effettiva attuazione di quest'ultima disposizione occorre attendere l'emanazione di un apposito Decreto.
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Marco Nessi
- Dottore Commercialista e Revisore LegaleRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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