martedì 28/01/2025 • 06:00
La Cassazione, con ordinanza 23 gennaio 2025 n. 1679, rimette la decisione alle Sezioni Unite circa la sorte processuale della domanda di risoluzione di un contratto di compravendita immobiliare proposta e trascritta prima della dichiarazione di fallimento.
L'ordinanza in commento trae origine dalla vicenda della Società X che, dopo aver venduto alla Società Y alcuni beni immobili, agiva per la risoluzione del contratto per inadempimento dell'acquirente. Tale azione era stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento della Società Y. In seguito all'interruzione del giudizio ordinario per effetto della dichiarazione di fallimento della Società Y, la Società X aveva proposto la domanda in sede fallimentare, chiedendo il trasferimento degli immobili e, in subordine, l'ammissione al passivo del controvalore.
Il Tribunale, accogliendo l'opposizione della Società X avverso il provvedimento del giudice delegato del fallimento della Società Y, aveva dichiarato la risoluzione del contratto e ordinato il ri-trasferimento degli immobili. Contro tale decisione, il curatore fallimentare proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che la domanda di risoluzione fosse inammissibile in sede fallimentare.
La questione giuridica
Il nodo interpretativo riguarda l'art. 72 c. 5 L.Fall., secondo cui la domanda di risoluzione proposta prima del fallimento è opponibile al curatore solo se trascritta nei casi previsti dall'art. 2652 c.c. Tuttavia, resta controverso se, in seguito alla dichiarazione di fallimento, tale domanda debba proseguire dinanzi al giudice ordinario o se debba essere riassunta in sede fallimentare, insieme alle pretese restitutorie o risarcitorie correlate.
In relazione a ciò la Corte ha dato conto di due opposti orientamenti giurisprudenziali.
Il primo orientamento segue la tesi della “divaricazione processuale”, secondo cui la domanda di risoluzione del contratto, se trascritta prima del fallimento, può proseguire dinanzi al giudice ordinario, mentre le pretese restitutorie e risarcitorie devono essere avanzate in sede fallimentare. Questa tesi si fonda sulla diversità tra gli effetti della sentenza di risoluzione, opponibile alla massa dei creditori, e quelli delle domande restitutorie e risarcitorie, soggette al concorso formale. La pur spiccata “specialità” della norma non sembrerebbe autorizzare “una lettura “unitaria” della prima e della seconda parte della disposizione, stante la diversa attitudine alla stabilità del provvedimento finale del giudizio di cognizione ordinaria (giudicato ex art. 2909 c.c.) e del giudizio di verifica del passivo (mera stabilizzazione endoconcorsuale), da cui discenderebbe, quale logica conseguenza, la necessità che la domanda di risoluzione già proposta resti nella sede di giudizio ordinario ed ivi conservi i suoi effetti sostanziali e processuali”.
La conseguenza processuale di tale impostazione di separazione dovrebbe essere quindi quella della sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio di verifica del passivo, che rappresenterebbe lo sbocco pressoché ineludibile (cfr. Cass. 8972/2011) o, in alternativa, all'ammissione con riserva del credito restitutorio o risarcitorio, in attesa della decisione in sede ordinaria sulla domanda di risoluzione.
Il secondo orientamento segue invece la tesi della “trasmigrazione integrale”, in base alla quale tutte le domande, incluse quelle di risoluzione, debbano confluire nel procedimento di accertamento del passivo fallimentare, per garantire l'unitarietà della tutela giurisdizionale e prevenire disarmonie tra le decisioni dei diversi giudici. Questa tesi valorizza la struttura sintattico-grammaticale della norma (“reputando che la domanda da proporre «secondo le disposizioni del capo V» sia proprio quella di risoluzione che il precetto menziona dapprincipio, che va dunque “traslata” in sede concorsuale insieme a («con») quelle restitutorie e risarcitorie cui è strumentale, anche perché, come osservato dalla Procura generale, l'interpretazione opposta svuoterebbe di senso la norma, essendo pacifico che queste ultime domande debbano essere sottoposte al giudice fallimentare”). L'art. 72 c. 5 L.Fall. sarebbe diretta a permettere la “trasmigrazione” nel procedimento di verifica dello stato passivo, non solo delle domande accessorie e consequenziali, anche di quella prodromica, in quanto “pregiudiziale” alla genesi stessa del credito da insinuare allo stato passivo o della domanda di restituzione. Questa tesi supererebbe anche i problemi processuali relativi alla tesi alternativa che impedirebbero la speditezza dei due giudizi (sospensione o ammissione con riserva).
La terza via interpretativa
La Corte individua una terza via interpretativa intermedia, che tenta di bilanciare le esigenze di efficienza processuale con quelle di tutela delle parti coinvolte. Questa tesi alternativa suggerisce che la domanda di risoluzione, se trascritta prima del fallimento, possa proseguire dinanzi al giudice ordinario fino a una pronuncia definitiva sulla validità e sull'efficacia del contratto. Tuttavia, le pretese restitutorie e risarcitorie connesse dovranno essere trasferite in sede fallimentare per garantire il rispetto del principio del concorso formale.
Il coordinamento tra le due sedi giudiziarie dovrebbe essere garantito attraverso strumenti procedurali specifici, come la sospensione condizionata dei procedimenti o l'adozione di decisioni parziali che vincolino il giudice fallimentare senza pregiudicare il processo ordinario. Questo approccio eviterebbe duplicazioni processuali inutili e valorizzerebbe la competenza funzionale del giudice ordinario per la risoluzione del contratto, preservando al contempo l'integrità del concorso formale in sede fallimentare.
Dalla lettura dell'ordinanza sembra emergere una preferenza della Corte per la tesi della trasmigrazione integrale, ma rilevato che il panorama giurisprudenziale di legittimità è tutt'altro che uniforme, si impone di devolvere la questione alla decisione delle Sezioni Unite.
L'intervento delle Sezioni Unite appare imprescindibile per fornire un indirizzo nomofilattico chiaro e univoco, tanto più che si tratta di una questione che valida anche in relazione al Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, che riproduce, nell'art. 172 c.5 CCII le medesime disposizioni dell'art. 72 c. 5 L.Fall.
Si attende ora la decisione delle Sezioni Unite che dovrebbe rappresentare un passo importante verso la risoluzione di un tema complesso e di grande rilevanza pratica. La questione della sorte della domanda di risoluzione del contratto trascritta prima del fallimento evidenzia la necessità di un equilibrio tra le esigenze del concorso formale e la tutela dei diritti soggettivi. L'auspicio è che le Sezioni Unite possano fornire una soluzione interpretativa che coniughi efficacia e coerenza, nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico.
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