giovedì 24/08/2023 • 06:05
L’atto di recupero, che tende a contrastare le indebite compensazioni non contestabili con altri atti impositivi tipici, può avere diversa natura. Si auspica che il legislatore delegato possa apportare utili chiarimenti, anche se il tema non rientra tra i criteri direttivi specifici dettati dall’art. 17 della legge delega per la riforma fiscale.
Sebbene costituisca un provvedimento impositivo assai diffuso ed incisivo, l'atto di recupero rimane privo di una disciplina organica e di una adeguata elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Esso non trova alcun riconoscimento ufficiale nel sistema del contenzioso tributario, che non lo annovera tra gli atti impugnabili. La normativa che lo regola, contenuta negli artt. 1, commi 421 ss., l. 311/2004 e 27, commi 16 ss., d.l. 185/2008, riflette le prassi amministrative e le esigenze empiriche da cui ha avuto origine.
Ad una prima analisi, si potrebbe ritenere che esso costituisca uno strumento di controllo generale dei modelli F/24 per contrastare le indebite compensazioni di qualunque tipo; ma questa configurazione non è corretta, perché dal suo ambito di applicazione occorre espungere le ipotesi in cui l'Agenzia recuperi in forme diverse il credito indebitamente compensato, e cioè:
Le sfere di applicazione dell'atto in esame si restringono perciò ai casi in cui, per le lacune delle norme di riferimento, l'Amministrazione non disponga di uno specifico provvedimento impositivo per recuperare:
Da ciò consegue che l'atto di recupero non è dotato di una funzione “tipica”. Esso configura piuttosto un modello procedimentale “di chiusura”, atipico e multi-funzione, di cui l'Agenzia può disporre in tutti i casi di indebita compensazione non contestabili con altri tipi di provvedimenti impositivi. In relazione alle diverse ipotesi sopra individuate, esso può avere funzione “accertativa”, “liquidatoria” o “sanzionatoria”.
La giurisprudenza sul tema
Dalla casistica giurisprudenziale si evince che la funzione prevalente è costituita dalla verifica dell'effettiva spettanza dei crediti di imposta di natura extra-fiscale. Tale funzione è peraltro insita nella causa genetica dell'art. 1, comma 421, l. 311/2004, che ha inteso “legificare” le istruzioni contenute nella circolare dell'Agenzia n. 35/2003 (contestate dai contribuenti, ma poi convalidate dalla giurisprudenza della S. Corte: cfr. Cass., 16006/2015, e giurisprudenza ivi citata) per recuperare i crediti di imposta indebitamente utilizzati ai sensi dell'art. 8, l. 388/2000 per investimenti nel Mezzogiorno. In carenza di un migliore inquadramento, la S. Corte ha sostenuto che simili atti sarebbero “prodromici” (cfr. Cass., 9437/2020; 8429/2017; Cass., 4687/2012) o perfettamente assimilabili ad un avviso di accertamento, nonostante il diverso nomen juris (Cass., 23289/2022; 29509/2020; 23134/2013); su tali presupposti, con tralatizia giurisprudenza, Essa afferma l'applicabilità delle regole generali sull'attività accertativa, come quelle sulla riscossione graduale (Cass., 23289/2022; 29378/2019; 3838/2013); sul termine dilatorio di 60 giorni dalla conclusione della verifica (Cass., 23223/2022; 19561/2014; 15643/2014); sull'accertamento con adesione (Cass., 7436/2021; 16761/2017; 8429/2017), sulla condonabilità degli illeciti (Cass., 29509/2020); sul termine di decadenza del quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione (Cass., 15190/2016).
Lo scenario è tuttavia cambiato per effetto delle norme integrative introdotte dall'art. 27, commi 16 e ss., d.l. 185/2008, che ha elevato ad otto anni il termine di decadenza dell'azione di recupero dei crediti “inesistenti”, con decorrenza dalla data della compensazione; ha previsto la riscossione immediata della somma pretesa, con interessi e sanzioni, mediante iscrizione in ruolo straordinario; ha previsto l'irrogazione di sanzioni amministrative dal 100% al 200% per cento dell'importo dovuto, in aggiunta a quelle applicabili in sede penale ex art. 10 quater, d.lgs. 74/2000. Nell'intento di bilanciare la mancanza di controlli preventivi con l'inasprimento del sistema repressivo, il legislatore ha perciò spostato il baricentro dalla verifica delle cause giustificative della compensazione (e cioè dall'accertamento dell'effettiva esistenza del credito di imposta), alla repressione del consequenziale utilizzo del credito dichiarato. La tecnica del recupero è dunque assimilata a quella delle procedure puramente liquidative, piuttosto che quella di natura accertativa, senza peraltro la mediazione di un avviso bonario che consenta di definire la vertenza in via agevolata.
Benché espressamente limitata ai casi di utilizzazione di crediti “inesistenti”, la novella legislativa ha acquisito una portata pressoché generale, sia perché la giurisprudenza della S. Corte suole affermare che non assume rilevanza la distinzione tra crediti “inesistenti” e “non spettanti” (cfr. Cass., 25436/2022; 24093/2020; Cass., 19237/2017. In senso contrario, v. tuttavia Cass., 34444/2021, ed in senso dubitativo la recente ordinanza n. 35536/2022, che propone la remissione della questione alle Sezioni Unite), sia perché gli Uffici usano definire in ogni caso “inesistenti” i crediti applicati al di fuori delle previsioni legali. A ciò si aggiunge che l'Agenzia mostra di ritenere che le norme specificamente dettate per gli atti di recupero siano esaustive ed autosufficienti, in guisa che dovrebbe escludersi la contestuale applicazione dei principi di carattere generale (non espressamente richiamati) dettati per gli atti di uguale natura (e perciò dei principi riguardanti l'attività di accertamento per gli atti di recupero di natura “accertativa”, o quelli sull'irrogazione di sanzioni per quelli di natura sanzionatoria).
Il sistema così delineato genera equilibri precari. L'applicazione di atti e procedure differenti (avvisi di accertamento ed atti di recupero di natura “accertativa” da un lato; controlli automatizzati ed atti di recupero di natura “liquidatoria” da un altro) per indebite compensazioni di uguale effetto, e l'applicazione di uguali norme procedurali per atti di recupero di uguale denominazione, ma di natura sostanzialmente diversa (“accertativa”, “liquidatoria”, o “sanzionatoria”), possono suscitare irragionevoli disparità di trattamento in situazioni analoghe e sproporzione delle regole applicabili. Ad esempio, la compensazione di un credito di imposta generata dalla fruizione di un'agevolazione di dubbia spettanza è contestata con un procedimento di riscossione assai più gravoso di quello applicabile al caso di utilizzazione di un credito IVA generato dall'impiego di false fatturazioni, ed è assoggettato a sanzioni amministrative (dal 100% al 200%, oltre a quelle penali) assai più onerose di quella (10%) che potrebbe applicarsi nel caso di utilizzazione di un credito di imposta del tutto inventato, che sia contestato con avviso bonario nell'ambito di una procedura di controllo automatizzato.
Conclusioni
A queste problematiche, riguardanti la correlazione tra gli atti di recupero e gli altri atti impositivi di uguale natura, si aggiungono ulteriori problemi interpretativi all'interno della disciplina specifica della materia, che riguardano soprattutto:
La rilevanza e l'incertezza di queste problematiche rendono altamente auspicabile il riordino della disciplina della materia. Si auspica che il legislatore delegato possa apportare utili correttivi e chiarimenti, anche se il tema non rientra tra princìpi e criteri direttivi specifici dettati dall'art. 17 della legge delega per la riforma fiscale con riguardo procedimento accertativo, di adesione e di adempimento spontaneo.
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