Con il DL 48/2023, c.d. Decreto Lavoro, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disciplina del contratto a tempo determinato attraverso la modifica dell'art. 19, c. 1, D.Lgs. 81/2015 e, in particolare, delle ipotesi di legittima apposizione del termine ai contratti di lavoro.
Le nuove condizioni per il termine oltre 12 mesi
L'intervento, sebbene quantitativamente limitato, può avere un rilevante impatto sull'utilizzo di tale tipologia contrattuale, atteso che si incentra sulle “condizioni” che consentono l'apposizione di un termine di durata superiore ai 12 mesi (nel limite massimo dei 24 mesi) nonché, ai sensi dei commi 01 e 1 dell'art. 21 D.Lgs. 81/2015, rispettivamente il rinnovo del contratto a tempo determinato (a prescindere dalla durata del precedente contratto) e la proroga oltre i 12 mesi (sempre nel limite massimo dei 24 mesi).
Infatti, il nuovo art. 19, c. 1, prevede a regime che l'apposizione del termine di durata superiore ai 12 mesi, la proroga o il rinnovo nei termini sopra detti, possa avvenire:
- nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all'art. 51 (cioè i “contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” e i “contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”);
- in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; b-bis) in sostituzione di altri lavoratori.
Dunque, le nuove “condizioni” a regime saranno sostanzialmente due (casi previsti dalla contrattazione collettiva e esigenze sostitutive), mentre l'ulteriore ipotesi ha una valenza temporanea, destinata a coprire, nell'idea del legislatore, il tempo ritenuto necessario affinché la contrattazione possa intervenire.
L'impatto sulla somministrazione
La modifica è destinata ad avere impatto anche sulla somministrazione a tempo determinato, atteso che, come noto, l'art. 31 D.Lgs. 81/2015, come sostituito dal Decreto Dignità (DL 87/2018 conv. in Legge 96/2018), ha esteso la disciplina del lavoro a tempo determinato alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, ad eccezione delle previsioni contenute agli artt. 21, c. 2 (c.d. stop and go), 23 (limiti quantitativi al numero dei contratti a tempo determinato che può stipulare ogni datore di lavoro) e 24 (diritto di precedenza).
Lo stesso Decreto Dignità, inoltre, all'articolo 2, comma 1-ter, ha espressamente previsto che, nel caso di ricorso al contratto di somministrazione di lavoro, le condizioni di cui all'art. 19, c. 1, D.Lgs. 81/2015 si applicano esclusivamente all'utilizzatore.
Chi individua le esigenze aziendali
Dunque, sotto l'aspetto dell'utilizzabilità della somministrazione a tempo determinato rispetto all'assunzione diretta a termine, l'impatto sembra essere piuttosto neutro, poiché, fatto salvo il caso della sostituzione di altri lavoratori, anche per l'utilizzo della somministrazione di lavoro a tempo determinato superiore ai 12 mesi (e per il caso di rinnovo o di proroga che comporti il superamento dei 12 mesi di rapporto) sarà comunque necessario fare riferimento alla disciplina contenuta nel contratto collettivo applicato dall'utilizzatore.
Allo stesso modo, nell'ipotesi di assenza di disciplina da parte della contrattazione collettiva applicata dall'utilizzatore, ove si voglia fare applicazione della nuova lettera b) dell'art. 19, comma 1, si dovrà fare riferimento alle esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva relative all'utilizzatore.
La formulazione della lettera b), non solo è infelice, atteso che chiaramente sarà il datore di lavoro ad individuare le esigenze “aziendali” , ma mal si adatta alla struttura trilatera della somministrazione di lavoro, atteso che, nel contratto a tempo determinato, le “parti” non possono che essere datore di lavoro e lavoratore e le esigenze sono del primo mentre, nella somministrazione, le “parti” sono l'agenzia e il lavoratore mentre l'esigenza non può che essere legata all'utilizzatore (e non all'agenzia, datore di lavoro “formale”).
Probabilmente, come avviene (rectius, avveniva) con le condizioni di cui al Decreto Dignità, sarà necessario che nel contratto individuale (o nella proroga) tra agenzia e lavoratore vengano espressamente indicate le esigenze dell'utilizzatore, il quale avrà l'onere di indicarle all'agenzia stessa.
La scelta tra assunzione a termine e somministrazione
Nella scelta tra l'assunzione diretta a tempo determinato e l'utilizzo a tempo determinato tramite somministrazione, visto il legame tra le due discipline, sotto l'aspetto delle causali legittimanti l'utilizzo, risulteranno probabilmente essere determinanti altri e diversi fattori (quali, ad esempio, quelli legati ai limiti quantitativi, ovvero al diverso computo nell'organico ai fini dell'applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, dei lavoratori in somministrazione rispetto a quelli assunti direttamente).
Anche dal punto di vista dell'utilizzo, le due fattispecie seguiranno probabilmente la stessa sorte, con l'effetto che molto dipenderà della presenza, o meno, di regolamentazione da parte della contrattazione collettiva e dalle caratteristiche della stessa regolamentazione, tenuto conto delle difficoltà e dei rischi connessi alla individuazione delle esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che tanto ricordano la formula contenuta nel D.Lgs. 368/2001, che aveva ingenerato un elevato contenzioso.
Ad ogni modo, allo stato attuale, il rischio concreto è che, nella pratica, i datori/utilizzatori cercheranno di evitare di dover fare applicazione dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell'art. 19, attraverso l'instaurazione di rapporti o la richiesta di somministrazione a tempo determinato di durata fino a 12 mesi (ed evitando rinnovi di precedenti contratti).