giovedì 25/05/2023 • 06:00
Decreto Lavoro ha decisamente ampliato i margini di intervento della contrattazione collettiva, consentendo un uso più flessibile del contratto a termine. La mancanza di una disciplina transitoria ha indotto diversi interpreti ad interrogarsi sulla sorte delle causali previste dalla contrattazione collettiva previgente.
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Il ritorno alle causali contrattuali
Come è ormai noto, il DL 48/2023 (c.d. “Decreto Lavoro”, tutt'ora in attesa di conversione in legge) ha decisamente ampliato i margini di intervento della contrattazione collettiva, autorizzando i contratti collettivi nazionali, aziendali o territoriali di cui all'art. 51 D.Lgs. 81/2015 a individuare le causali che possono essere indicate nei contratti di durata compresa tra i 12 e i 24 mesi (comprese le proroghe e i rinnovi). Tale intervento, come espressamente dichiarato dal Governo, si pone la finalità di consentire un uso più flessibile del contratto a tempo determinato, pur nel rispetto dei vincoli imposti dalla legislazione comunitaria.
Nel caso in cui la contrattazione collettiva nulla disponga in merito, e comunque sino al 30 aprile 2024, le esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva che legittimano l'assunzione a termine tra i 12 e i 24 mesi potranno essere individuate direttamente dalle parti nel contratto individuale di lavoro.
La mancanza di una disciplina transitoria ha indotto diversi interpreti ad interrogarsi sulla sorte delle causali previste dalla contrattazione collettiva previgente.
Ma di quali causali stiamo parlando?
Le “causali” introdotte nel vigore del Decreto Sostegni-bis
Principalmente vengono alla luce le causali introdotte in base al DL 73/2021, conv. in L. 106/2021 (c.d. Decreto Sostegni-bis). Con il decreto in esame, infatti, la contrattazione collettiva di cui all'art. 51, D.Lgs. 81/2015 è stata autorizzata ad introdurre “specifiche ipotesi” in presenza delle quali i datori di lavoro potevano ritenersi autorizzati a disporre il rinnovo o la proroga dei contratti di lavoro a termine oltre i 12 mesi. Questa condizione andava ad aggiungersi alle due ipotesi tassative previste dall'art. 19, co. 1 D.Lgs. 81/2015, come modificato c.d. Decreto Dignità, che limitava la possibilità di stipulare contratti di durata superiore a 12 mesi a fronte di:
a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell'attività ordinaria (per completezza, va segnalato che le disposizioni del Decreto Sostegni-Bis non ammettevano la possibilità̀ di stipulare contratti a termine di durata iniziale superiore ai 12 mesi, secondo le esigenze individuate dalla contrattazione collettiva; questa possibilità, infatti, è stata ritenuta ammissibile solo in via temporanea, fino al 30 settembre 2022; sul punto, si veda la Circolare INL del 14 settembre 2021).
La previsione in esame – che correttamente è stata interpretata come una vera propria “delega in bianco” alle parti sociali (al punto dunque da giustificare interventi piuttosto ampi della contrattazione collettiva, con l'unico limite della specificità della causale) – è stata recepita con favore in diversi ambiti contrattuali; tra le esperienze contrattuali di maggior rilievo, possono annoverarsi l'accordo di rinnovo del CCNL Industria Cartaria del 28 luglio 2021, l'accordo del 22 novembre 2021 relativo al CCNL Agricoltura, ma anche gli accordi stipulati nel settore dei corredi ceramici, chimica, gomma e vetro, nel settore della piccola e media industria tessile, in quello dell'edilizia cooperativa, dell'igiene urbana e nel settore delle imprese artigiane metalmeccaniche. L'attenzione delle parti sociali si è concentrata quasi esclusivamente su causali di tipo oggettivo (alcune delle quali riferite a processi di innovazione tecnologica e/o agli interventi sul PNRR), ma non sono mancate clausole che hanno individuato le causali con riguardo ad elementi soggettivi come età, status di disoccupazione, ecc., come è avvenuto nel settore dell'edilizia cooperativa.
In attesa della conversione in legge del decreto (che si spera possa risolvere il dubbio interpretativo introducendo una disciplina transitoria ad hoc), gli interpreti si sono giustamente interrogati sulla possibilità di ritenere ancora valide (o meno) queste causali, soprattutto considerando l'abrogazione della disciplina di legge che autorizzavano le parti sociali ad introdurle (il DL 48/2023, infatti, ha completamente riscritto l'art. 19, c. 1, D.Lgs. 81/2015).
La tesi più convincente, a parere di chi scrive, è quella che ammette la perdurante validità di queste pattuizioni; a ben vedere, infatti, la delega alla contrattazione collettiva non è stata revocata ma addirittura ampliata, essendo emerso un ancor più netto favor verso l'introduzione di un'autonoma regolamentazione delle causali su base contrattual-collettiva; e tanto è vero che nell'attuale formulazione non si parla più di “specifiche esigenze” bensì, più semplicemente, di “casi” previsti dai contratti collettivi di cui all'art. 51, D.Lgs. 81/2015.
Le causali previste prima del Decreto Sostegni-bis
Più problematica appare la questione relativa alle causali rinvenibili negli accordi collettivi stipulati prima dell'entrata in vigore del Decreto Sostegni-bis. Si può fare l'esempio del CCNL Trasporti, Merci e Logistica, che all'art. 55 prevede una disciplina (che probabilmente nell'intenzione delle parti contraenti doveva assumere una portata meramente esemplificativa) delle causali legittimanti l'assunzione a termine.
In questo genere di casi, infatti, si è di fronte a clausole pattizie che, quando sono state introdotte, erano del tutto prive di una base legale di riferimento e che, a ben vedere, dovevano forse ritenersi del tutto inoperanti, in quanto superate o comunque non sorrette dal quadro legislativo vigente all'epoca della loro introduzione.
D'altro lato, però, l'efficacia di queste clausole potrebbe comunque essere salvaguardata alla luce del generale principio di conservazione degli effetti degli atti e dei negozi giuridici, che, come è noto, trova applicazione sia nel diritto civile che nel diritto amministrativo e consente di evitare – per quanto possibile – che un atto concluso venga caducato e posto nel nulla (utile per inutile non vitiatur, prevedono gli artt. 1419,1420 e 1446 c.c.).
Né pare che l'applicabilità di questi accordi possa essere inficiata dalla eventuale presenza di clausole contrattuali non in linea con l'attuale disposto normativo; in tal caso, infatti, potrebbe sempre operare il regime della nullità parziale previsto dall'art. 1419 c.c., a mente del quale “la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità” (senza contare, poi, che buona parte dei vincoli imposti dall'attuale disciplina di legge - come ad esempio quelli relativi al limite massimo dei 24 mesi - sono liberamente derogabili in sede di contrattazione collettiva).
In attesa della conversione in legge del Decreto: due possibili soluzioni pratiche ed una proposta
La complessità del quadro giuridico e la variabilità delle interpretazioni possibili, come sempre, sono fattori che impongono agli interpreti la ricerca di soluzioni pratiche che possano scongiurare l'insorgere di ulteriori rischi e ulteriore contenzioso.
Per questo motivo, a parere di scrive è opportuno che i datori di lavoro (o le loro organizzazioni datoriali, per i contratti nazionali) attivino lo strumento del confronto con le organizzazioni sindacali al fine di confermare la perdurante validità degli accordi che contengono una disciplina delle causali, se del caso ricorrendo ad accordi di interpretazione autentica che meglio ne chiariscano l'applicazione nel nuovo contesto legislativo (soluzione queste, che sarebbe auspicabile soprattutto con riguardo agli accordi sottoscritti prima dell'entrata in vigore del Decreto Sostegni-bis, che come detto presentano rischi più elevati).
In alternativa, potrebbe essere approfondita la possibilità di recepire nel contratto individuale le causali previste dalla contrattazione collettiva previgente; in questo modo, le parti del contratto individuale andrebbero ad esercitare la facoltà loro concessa dalla legge in mancanza di una espressa previsione collettiva facendo riferimento, però, ad una causale che risulterebbero avere già superato il vaglio delle parti sociali.
Nel frattempo, è auspicabile che la legge di conversione introduca una disciplina transitoria volta a salvaguardare espressamente la validità ed efficacia dei contratti collettivi previgenti; a tal fine, il legislatore potrebbe prendere spunto dalle previsioni del D.Lgs. 368/2001 che, opportunamente, all'art. 11, comma 2, aveva salvaguardato l'efficacia delle clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi della previgente normativa (e proprio questa disposizione, in diverse occasioni, aveva indotto la Corte di Cassazione a ritenere ancora valide le assunzioni a termine effettuate nel rispetto delle causali previste da accordi stipulati dai sensi dell'art. 23, L. 56/1987; cfr. Cass. 27/2014; Cass. 21092/2008).
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Francesco Geria
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