lunedì 25/07/2022 • 06:00
Si accende il dibattito sulla riforma della giustizia tributaria. Di seguito la posizione di Uncat. Le ragioni fondative dell’esclusiva del patrocinio degli avvocati tributaristi nel processo tributario traggono forza dalla tensione di verità che domina il processo e il procedimento, entrambi orientati a fini di giustizia e presupponenti un sapere tecnico, logicamente sovrapponibile perché bagaglio naturale.
L’intervento del prof. Raffaello Lupi sul tema della giustizia tributaria - in particolare, sulla querelle che ha visto confrontarsi il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili, gli Avvocati tributaristi riuniti in UNCAT, l’Accademia e le associazioni della magistratura tributaria - ha il grande merito, per le qualità scientifiche e il prestigio professionale dell’Autore, il quale mi onora da tempo della sua amicizia, di aver alzato l’asticella della qualità del dibattito, in quanto pone temi di spessore ancorati alla teoria generale del processo, che è terreno fertile nel quale piantare argomenti più incalzanti, sino a ieri rimasti negletti e sostituiti da formule retoriche che hanno, invece, preferito curvare sul carattere corporativo della richiesta degli avvocati tributaristi.
Cosa significa la difesa tecnica nel processo tributario
Con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue il prof. Lupi sospetta che i comunicati stampa non abbiano detto tutto e che la riserva di esclusività della difesa affondi nella “maggior sensibilità giuridica e padronanza del rito processuale”. In effetti, nel documento inviato alle Commissioni senatoriali riunite Uncat ha sostenuto, sia pur con espressione ellittica, che lo sbocco naturale dell’impianto processuale non può che essere la limitazione della difesa tecnica all’Avvocatura, unica espressione di una giuristica in grado di affondare le radici nella tradizione sostanziale e processuale del diritto tributario.
Il prof. Lupi afferma, se non ho compreso male il suo argomentare, che la proposta dell’avvocatura tradirebbe la mancata risposta alla domanda non su chi sia ma su cosa debba fare il giudice tributario e, se si restasse alla teoria dichiarativa del processo, incentrato sull’impugnazione merito che entra nel presupposto economico dell’imposta, per l’avvocato in quanto i dottori commercialisti sarebbero maggiormente dotati di: (1) retroterra giuridico economico, (2) consuetudine professionale con la materia, (3) consuetudine professionale con i clienti.
Se, all’opposto, si configurasse il processo tributario quale processo demolitorio, gli avvocati entrerebbero in campo per far posto, immediatamente dopo l’apertura della breccia, ai commercialisti detentori del sapere specialistico, vale a dire di quel retroterra quotidianamente arato.
Processo tributario di impugnazione del merito o di annullamento?
Secondo il prof. Lupi, Uncat sarebbe rimasta silente sul corno del problema: si vuole un processo di impugnazione merito o un processo di annullamento?
L’opzione, che investe appunto la teoria generale del processo, sarebbe condizionata dalla weltanschauung dell’associazione, che vivrebbe, a suo dire, in un irreale fisco fai da te, dove la scelta della stazione di arrivo, dello studio, dipenderebbe dal contribuente.
Proverò a rispondere con degli interrogativi all’indirizzo del prof. Lupi (l’Autore dei Dialoghi immagino lo apprezzerà), interrogativi diretti a capire meglio e ad apprendere per migliorare la mia/nostra (in)formazione, non senza fare un’osservazione fluida, che non investe, però, direttamente il mio contraddittore.
A fronte, cioè, di una generale riserva in ordine all’assetto attuale della giustizia tributaria, anche da parte degli organi apicali della giurisdizione, carente anche sotto il profilo qualitativo della produzione e priva dell’altro carattere della professionalità, insomma a fronte della conclamata esigenza di cambiamento e passaggio ad una nuova epoca, improvvisamente quelle stesse voci, pur di enfatizzare le criticità sia della giustizia che del processo, ne invocano l’annientamento e la permanenza dello status quo. Di seguito la prima domanda.
In quale misura e con quale efficacia solo la scelta legislativa per un processo di tipo demolitorio legittimerebbe a pieno titolo lo ius postulandi degli avvocati e darebbe senso alla richiesta di esclusiva?
Si ritiene dirimente questo “schema amministrativistico di impugnazione annullamento” perché gli avvocati possano accedere all’esclusiva nel processo, pretermesse le ragioni “sostanziali”, “tecniche” che stanno a monte dell’annullamento dell’atto sì da affidare queste ultime al sapere specialistico di un’altra figura professionale, quella dei dottori commercialisti? Non basterebbe, a questo punto, un avvocato generalista che abbia pratica dei TAR?
Seconda domanda, in consecutio logica della prima.
Questa impostazione non rischia di far fare retromarcia ad un processo di giurisdizionalizzazione del diritto tributario, voluto fortemente da Enrico Allorio, trasformando la giurisdizione in un’amministrazione di secondo grado?
Allorio si chiedeva “Ma giurisdizione tributaria e processo tributario sono veramente due concetti correlativi? Sempre dove è giurisdizione è processo?”. Rispondeva motivatamente che “Non v’ha dunque giurisdizione senza processo”. In questo sviluppo della cultura giuridica tributaria l’avvocatura specialistica ha sempre trovato il suo alveo naturale, il suo grembo primordiale, mutuando dal processo civile quelli che Allorio chiamava i “problemi processuali”, dalla cosa giudicata alla prova alla legittimazione.
Ridurre il tema della giurisdizione e del processo al retroterra giuridico economico e alla consuetudine professionale rischia di farlo appare riduttivo e antistorico.
Compito e obiettivo della prospettiva “forense” è il recupero della tradizione umanistica, finalizzata a sovvertire il rapporto “verticale” tra Stato e contribuente e il potere coercitivo della legge in favore di un rapporto giuridico orizzontale, che pone i diritti dei contribuenti tra i diritti umani. La dottrina non ha mancato di ipotizzare un ordinamento tributario che concepisca i diritti del contribuente come diritti umani in quanto espressione della dignità umana da intendersi non solo come diritto ma anche come valore costituzionale. Pensiamo alla Carta di Nizza che inserisce il diritto di proprietà tra i diritti fondamentali e al protocollo addizionale alla Cedu, il cui art. 1 comma 2 fa salvo “il diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.
Resta, quindi, non chiara una visione decettiva del ruolo dell’avvocato tributarista, il quale non può essere immerso nel processo soltanto per demolire i vizi formali, estetici dell’atto restituendo il lavoro “sporco” ad un’altra figura professionale che ritorna nell’alveo amministrativo, dal quale si era fuggiti, in cerca della corretta soluzione esterna all’interno della giurisdizione, cioè del processo.
Il processo serve a fini di giustizia, la giurisdizione è attività di pura giustizia scriveva Allorio, mentre l’amministrazione è attività diretta a un fine specifico, solidale con un fine di giustizia; di qui la terza domanda.
Qual è il rapporto tra procedimento e processo, possono essere scissi in quanto dotati ciascuno di un’autonomia ontologica e di una distinta tensione?
Si è fondatamente sostenuto proprio in dottrina che la cosiddetta “verità-fine” del primo non sia ontologicamente diversa dalla “verità-fine” del secondo. Consegue che questa trazione alla verità o alla capacità contributiva reale affetta la razionalità della decisione del giudizio e non è scindibile mercè l’individuazione di due momenti cognitivi o saperi separati. Questo, però, non comporta il trascendimento biunivoco del sapere “amministrativo” in quello “giudiziario”, poiché la cultura giuridica del e nel processo ha un quid pluris, non compendiabile in uno strumento di abilità tecnica, “fatto per dar la vittoria al più accorto” (Calamandrei, nel riprendere l’Homo ludens di Huizinga, dialogando a distanza con Carnelutti, ammoniva che “Processo e gioco, carte bollate e carte da giuoco…Bisogna, avvocati e giudici, far di tutto perché questo non sia e perché veramente il processo serva alla giustizia”).
Questo è il valore costituzionale che l’Avvocatura specialistica rivendica, la giustizia quale momento di rottura e di superamento dell’amministrazione incapace di soddisfare “la verità-fine” senza un’amministrazione bis che non ha più senso e renderebbe frustrante e frustrata la giurisdizione come valore costituzionale.
Non spirito corporativo (che non è un disvalore in sè, sia chiaro) ma sublimazione del processo che, a dire il vero, tra intelligenza artificiale, giustizia predittiva, algoritmi e banche date diffuse rischia di tramutarsi tra non molto in reperto archeologico e storico.
© Copyright - Tutti i diritti riservati - Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.
Vedi anche
La tempesta in un bicchier d’acqua sul patrocinio nel contenzioso tributario, che ha coinvolto avvocati e commercialisti, non coglie il senso del processo, né il ..
Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
Per continuare a vederlo e consultare altri contenuti esclusivi abbonati a QuotidianoPiù,
la soluzione digitale dove trovare ogni giorno notizie, video e podcast su fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti e mondo digitale.
Abbonati o
contatta il tuo
agente di fiducia.
Se invece sei già abbonato, effettua il login.