venerdì 11/04/2025 • 06:00
Il rapporto tra l'intelligenza artificiale e le pari opportunità è al centro del Congresso Nazionale UNGDCEC 2025. L'IA è in sintesi uno specchio che riflette quanto inserito negli algoritmi e se auspichiamo che rispecchi una società più equa e inclusiva è indispensabile che le pari opportunità siano il fulcro del suo sviluppo.
L'intelligenza artificiale (IA) è senza ombra di dubbio l'argomento del momento, da un lato perché sta trasformando il nostro mondo sotto moltissimi aspetti, da un lato perché apre numerosi dibattiti, di carattere economico, sociale ed etico.
L'IA è il motore di traino di una vera e propria rivoluzione tecnologica, nell'immediato futuro sarà parte integrante della nostra quotidianità ma come tutti gli eventi straordinari necessita di attente valutazioni sugli effetti che si rifletteranno sulla società.
Uno di questi impatti che possiamo già osservare riguarda le pari opportunità, di genere nel caso di specie.
Il rapporto del 2019 dell'European Institute for Gender Equality, evidenziava che nell'Unione Europea e nel Regno Unito solo il 16% delle persone con competenze nel settore dell'IA era di genere femminile e la percentuale scendeva sorprendentemente al 12% se si analizzava il numero dei professionisti con oltre 10 anni di esperienza nel mondo dell'IA. Ciò evidenziava due aspetti molti importanti, in primis che il genere femminile partiva già con un gap rilevante ed in seconda battuta che tale forbice aumentava ulteriormente con il passare del tempo. Ad oggi i dati non sono particolarmente cambiati.
Cerchiamo però ora di capire dove nasce il problema, che cosa ciò comporta e quali potrebbero essere i rimedi per ridurre tale differenza.
Secondo quanto elaborato da Openpolis il dato di partenza è questo: le ragazze con competenze digitali di base sono il 61% del loro totale, mentre per i ragazzi tale percentuale risulta essere pari al 57,3%. Sebbene ciò fa pensare ad un sostanziale equilibrio di genere, le laureate in ICT (acronimo di Information and Communication Technology ovvero il macrosettore che racchiude informativa e telecomunicazioni) nel 2022 sono state solamente il 16,8% del totale, registrando quindi una preoccupante inversione di tendenza.
Questa percentuale fa pensare quindi ad un progressivo allontanamento dai settori informatici ad elevato contenuto scientifico del genere femminile che si riverbera poi inevitabilmente nel mondo del lavoro, quello tecnologico e quello dell'IA.
Partiamo dall'innegabile presupposto in base al quale gli stereotipi di genere sono ancora ampiamente diffusi, che un'adeguata educazione alle pari opportunità è fondamentale in qualsiasi ambito e che quello dell'IA non fa certo eccezione, anzi.
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Gli algoritmi di IA imparano, si sviluppano e si evolvono sulla base dei dati che vengono loro forniti e, pertanto, se l'input non è preciso e corretto evidentemente l'output rifletterà errori ed imprecisioni.
Non è però affatto remota altresì l'ipotesi in cui l'inserimento delle informazioni, apparentemente corrette, contenga pregiudizi o disuguaglianze di genere già presenti nella società, ecco allora che gli algoritmi di IA, riflettendo i dati che devono gestire, non potranno far altro che replicare ed amplificare disparità e preconcetti. Ciò potrebbe concretizzarsi in esclusioni da determinate valutazioni di talune categorie di individui, sulla base ad esempio del genere, oppure nella distorsione di risultati con effetti negativi sproporzionati sulle donne rispetto agli uomini.
Questa forbice nell'output certifica l'imperfezione del sistema, come osservato dal rapporto Gender Equality in Swedish AI Policies: “gli algoritmi non sbagliano, ma ripetono pedissequamente i modelli di discriminazione insiti nei dati che ricevono”.
Come si può porre rimedio a tutto ciò? Prima di tutto dobbiamo tornare alla premessa introduttiva, partire dalla base, dall'istruzione, che è il mattone fondamentale per costruire la parità di genere, l'apprendimento scientifico e l'incremento di partecipazione del genere femminile nell'utilizzo dell'IA è di certo il punto di inizio.
Le scuole di base prima e le università poi, possono certamente contribuire all'abbattimento del gap, insegnando, organizzando laboratori e workshop mirati ad illustrare le opportunità e le sfide connesse proprio all'IA, un aiuto educativo che possa offrire maggiore consapevolezza alle giovani sull'utilizzo e lo sviluppo di algoritmi e sistemi tecnologici più equi ed inclusivi.
Nei paesi in via di sviluppo, a basso tasso di alfabetizzazione, in cui le disuguaglianze educative sono ancora più accentuate, il divario digitale rischia di esasperare ulteriormente questo gap di genere.
L'istruzione però non può certo essere l'unica carta da giocare sul tavolo delle pari opportunità, sono infatti necessarie iniziative anche nel mondo del lavoro, utilizzando programmi di mentoring che favoriscano la rappresentatività femminile nelle tecnologie.
A questo va certamente aggiunta una disciplina più etica dell'utilizzo dell'IA, un utilizzo di dati sterilizzato dalle discriminazioni di qualsiasi tipo, una successiva verifica dei risultati elaborati ed una conseguente revisione di quelli eventualmente distorti.
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Maurizio Maraglino Misciagna
- Dottore commercialista e revisore legaleRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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