lunedì 17/03/2025 • 06:00
Laddove la permanenza del contribuente in Italia, lavoratore distaccato all’estero, sia dipesa da una situazione eccezionale e imprevedibile, l’attività da egli prestata per il datore di lavoro estero in regime di remote working dovrà considerarsi come svolta all’estero (CGT II Lombardia 27 febbraio 2025 n. 589).
Il caso
Un contribuente è fiscalmente residente in Italia e dipendente a tempo indeterminato della di una società italiana attiva nella produzione e commercio di occhiali. Da maggio 2019 viene distaccato per un periodo di due anni presso la consociata fiscalmente residente in Francia. A causa della crisi pandemica Covid-19 e delle conseguenti restrizioni alla libertà di circolazione, rientra in Italia, dopo un viaggio di lavoro negli Stati Uniti, e, a causa del rapido diffondersi della crisi pandemica, decide di cancellare il viaggio di rientro in Francia, essendo nel frattempo entrate in vigore misure restrittive alla circolazione di persone al fine di prevenire la diffusione del virus (a quel tempo, infatti, l'ingresso in Francia era consentito esclusivamente con un'autocertificazione che garantisse il carattere indifferibile della presenza fisica in detto Paese).Il contribuente decide di svolgere la propria attività lavorativa da remoto dall'Italia, in base alle direttive ricevute dalla società francese. Conseguentemente, il contribuente dichiara che il reddito di lavoro dipendente percepito nel periodo d'imposta 2020 era stato assoggettato:
Il citato criterio di determinazione del reddito si rivolge a quei lavoratori, destinatari di contratti collettivi, che pur svolgendo l'attività lavorativa all'estero, continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia ai sensi dell'art. 2 c. 2 TUIR. Per tali lavoratori il reddito derivante dal lavoro dipendente prestato all'estero è assoggettato a tassazione assumendo come base imponibile la retribuzione convenzionale senza, pertanto, tener conto della retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore. Il contribuente, pertanto, ritenendo che il reddito di lavoro dipendente, relativo al periodo d'imposta in questione, dovesse essere calcolato in base all'art. 51 c. 8-bis TUIR (retribuzione convenzionali definite annualmente con decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, indipendentemente dalla retribuzione effettiva ricevuta), richiedeva il rimborso di quanto versato in eccesso.
I motivi alla base del diniego
L'Amministrazione finanziaria negava il rimborso per l'assenza dei requisiti richiesti dalla già menzionata norma in deroga ovverosia che:
“Via libera” al rimborso
I giudici, nel riconoscere il diritto al rimborso, hanno ricordato che, a fronte della situazione eccezionale e non prevedibile determinata dall'evento pandemico, le raccomandazioni OCSE del 3 aprile 2020 hanno invitato i Paesi aderenti (e tra questi l'Italia) a “fare esclusivo riferimento ai comportamenti che si sarebbero tenuti in uno scenario di normalità, senza dare rilevanza alle deviazioni dettate dall'emergenza e dai vincoli alla mobilità imposti dai Governi”. A tali raccomandazioni ha fatto seguito anche l'accordo amichevole tra Italia e Francia, siglato il 23 luglio del 2020, in cui si stabilì che “a causa del propagarsi della pandemia Covid-19, i giorni di lavoro da casa nello Stato di residenza [del lavoratore] a favore del datore di lavoro residente nell'altro Stato contraente saranno considerati come giorni di lavoro svolti nello Stato in cui la persona fisica avrebbe svolto la propria attività lavorativa in assenza delle misure restrittive”.
È lo stesso accordo a prevedere che esso si applichi anche nei confronti delle “persone fisiche residenti in uno Stato contraente che, prima del propagarsi della pandemia Covid-19, svolgevano abitualmente la propria attività lavorativa nell'altro Stato contraente e che, a partire dall'entrata in vigore di tale accordo, percepiscono redditi con fonte in quest'altro Stato contraente e continuano a svolgere la propria attività lavorativa nello Stato di loro residenza”. Tali raccomandazioni, hanno affermato gli interpreti, si fondano sul principio per cui non può essere preteso un comportamento quando lo stesso sia divenuto impossibile senza la responsabilità di chi vi sia tenuto. Pertanto, la Corte ha concluso affermando che, nel caso di specie, essendo la permanenza del contribuente in Italia a partire dal febbraio 2020 dipesa non da una sua volontaria scelta, ma unicamente da una situazione eccezionale e imprevedibile, l'attività prestata dal contribuente a favore del datore di lavoro estero in regime di remote working nel corso del 2020 doveva considerarsi, ai fini del citato regime di favore, come svolta all'estero e ciò in applicazione del sopra richiamato principio di diritto in base al quale ֿ«non può essere preteso un comportamento quando lo stesso sia divenuto impossibile senza alcuna responsabilità da parte di chi vi sia tenuto».
© Copyright - Tutti i diritti riservati - Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.
Vedi anche
L'Agenzia entra nel dettaglio della nuova disciplina degli impatriati chiarendo il contenuto dei requisiti che devono sussistere per fruire di tale regime (Risp. AE 6..
Approfondisci con
Il distacco internazionale di personale è frequentemente utilizzato, soprattutto nei gruppi di società, e prevede il prestito di uno o più lavoratori presso una consociata estera. Il datore di lavoro rimane il responsab..
Rossella Murica
- Dottore Commercialista e Revisore contabileRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
Per continuare a vederlo e consultare altri contenuti esclusivi abbonati a QuotidianoPiù,
la soluzione digitale dove trovare ogni giorno notizie, video e podcast su fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti e mondo digitale.
Abbonati o
contatta il tuo
agente di fiducia.
Se invece sei già abbonato, effettua il login.