sabato 08/03/2025 • 06:00
Nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi decenni, la disparità di genere nel mercato del lavoro italiano resta significativa. E dagli Stati Uniti e dall’amministrazione trumpiana arriva un segnale preoccupante per la forte opposizione alle politiche DEI (Diversità, Equità e Inclusione).
Il tasso di occupazione femminile si attesta intorno al 52%, il più basso d'Europa, e scende addirittura al 33% nel Mezzogiorno, dove solo una donna su tre lavora.
Come mostrano i dati del recente Rendiconto di genere INPS, il divario retributivo di genere rimane superiore a 20 punti percentuali, mentre le donne rappresentano solo il 21,1% dei dirigenti.
Questi numeri appaiono ancor più allarmanti se confrontati con il livello di istruzione femminile: le donne costituiscono il 60% dei laureati, eppure faticano a ottenere posizioni di rilievo nel mondo del lavoro.
Un ruolo importante giocano i divari tra uomini e donne nella gestione del lavoro domestico e lavoro di cura, che ricade tutt’oggi prevalentemente sulle donne. Le donne lavoratrici in Italia contribuiscono al lavoro di cura familiare 2 ore e 55 minuti in più al giorno degli uomini. Si tratta del paese europeo con il divario più alto, la media dei paesi OCSE è pari a 2 ore e 9 minuti. La maternità continua a rappresentare una penalizzazione in Italia, con un impatto medio del 33% sull’occupazione e/o sul salario. Le donne spesso interrompono la carriera alla nascita del primo figlio o riducono la loro attività lavorativa, mentre per gli uomini non si registra alcuna penalizzazione. Eppure nel nostro paese il tasso di fecondità è ai minimi storici, a causa della carenza di misure efficaci per incentivare sia l’occupazione femminile sia la fecondità (per es. servizi all’infanzia), che vanno di pari passo, come mostrato dall’esperienza di altri paesi europei, i paesi scandinavi in primis.
Dagli USA nuove politiche sulla diversità
Mentre in Italia e in Europa si discute di come colmare i divari di genere, dagli Stati Uniti arriva un segnale preoccupante.
La recente rielezione del Presidente Donald Trump ha portato a una forte opposizione alle politiche DEI (Diversità, Equità e Inclusione).
Il governo federale ha avviato lo smantellamento dei programmi DEI, considerandoli discriminatori e contrari al principio del merito.
Grandi aziende americane stanno seguendo questa direzione, ridimensionando o eliminando iniziative per la diversità e l'inclusione, comprese quelle a sostegno della parità di genere.
Questo non perché la parità di genere sia stata già raggiunta.
In realtà, nessun Paese al mondo ha eliminato il divario di genere.
Oltre 130 anni per colmare le disuguaglianze di genere
Secondo il World Economic Forum, serviranno ancora oltre 130 anni per colmare le disuguaglianze di genere a livello globale e oltre 150 per raggiungere la parità in campo economico.
Rapporto tra inclusione e merito
Si sostiene che le politiche di inclusione siano in contrasto con il merito.
In realtà, numerosi studi dimostrano che la promozione della parità di genere rafforza il merito e migliora la qualità del lavoro.
Un esempio concreto è la legge Golfo-Mosca (120/2011), che ha introdotto le quote di genere nei Consigli di amministrazione e collegi sindacali italiani.
I nostri studi mostrano che questa misura non solo ha aumentato la rappresentanza femminile nei ruoli di leadership, ma ha anche migliorato la qualità complessiva dei board selezionando candidati migliori (uomini e donne), senza compromettere le performance aziendali.
I benefici della parità di genere sono particolarmente rilevanti per un paese come l’Italia, che parte da una situazione di forte disparità.
L’Istituto Europeo per la Parità di Genere (EIGE) ha stimato un aumento del 12% del PIL se l’Italia riuscisse ad aumentare il tasso di occupazione femminile entro il 2050 al pari di quello maschile.
È tuttavia fondamentale evidenziare che le resistenze nei confronti del tema DEI non nascono dal nulla né sono del tutto infondate.
Cultura woke USA
Spesso, infatti, trovano origine nella cosiddetta cultura "woke" statunitense, che ha portato a percepire l’inclusione non come un mezzo, ma come un fine in sé, rafforzando l’idea che le politiche DEI possano generare nuove forme di discriminazione.
In altri casi, invece, l’inclusione è stata ridotta a una mera operazione di facciata, anziché rappresentare un autentico impegno per il cambiamento.
Strategie da adottare: azioni mirate e incisive
Per colmare il divario di genere, servono azioni incisive e mirate.
Tra le principali strategie da adottare, più asili nido e servizi per l'infanzia, congedi di paternità più generosi, per equilibrare la divisione dei carichi familiari, flessibilità lavorativa, promozione di una leadership inclusiva, incentivando la presenza femminile nei ruoli decisionali, programmi di formazione per combattere stereotipi e pregiudizi, soprattutto in ambito aziendale.
Le sfide che ci attendono sono complesse: l’invecchiamento della popolazione riduce la forza lavoro disponibile, mentre le trasformazioni tecnologiche e l’intelligenza artificiale richiedono nuove competenze, spesso meno accessibili alle donne, e introducono processi che non sempre sono neutrali rispetto al genere.
Per affrontare questi cambiamenti, è fondamentale valorizzare pienamente il talento di tutta la popolazione.
La parità di genere non è solo una questione di equità, ma rappresenta anche un motore di efficienza, sviluppo e crescita economica.
Promuoverla all’interno di imprese, organizzazioni e istituzioni è essenziale per costruire una società più equa, competitiva e inclusiva per tutti.
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Paolo Patrizio
- Avvocato - Professore - Università internazionale della Pace delle Nazioni UniteRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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