giovedì 06/03/2025 • 06:00
Ha carattere discriminatorio la condotta datoriale che per ricoprire le posizioni apicali della società punta su uomini o, altrimenti, su donne solo sopra i quaranta anni. Così nella sentenza del Tribunale di Busto Arsizio 3 febbraio 2025, che individua una forma di discriminazione indiretta multifattoriale e intersezionale lesiva.
Assurto agli onori delle cronache degli ultimi mesi, generando anche forti reazioni anche da parte sindacale, del Ministro del lavoro e della Ministra per la famiglia e delle pari opportunità, il caso Elisabetta Franchi ha trovato il suo -quantomeno primo e si spera definitivo – epilogo nella sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 3 febbraio 2025.
La pronuncia, all'esito di un procedimento avviato con ricorso ex art. 28 della D.Lgs. n. 150/2011 da un ente associativo ed accogliendo le domande di quest'ultimo, ha dichiarato il carattere discriminatorio delle affermazioni (e delle relative condotte) con le quali l'amministratrice della società ha pubblicamente dichiarato, durante l'evento "Donne e moda" del 4 maggio 2022, di "puntare" per ricoprire le posizioni " importanti" della società su uomini o, altrimenti, su donne solo sopra i quaranta anni, nonché delle frasi a giustificazione "se dovevano sposarsi, si sono già sposate, se dovevano far figli, li hanno già fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello e quindi diciamo che io le prendo che hanno fatto tutti i quattro giri di boa, quindi sono lì belle tranquille con me a mio fianco e lavorano h24, questo è importante". Ciò con ogni effetto di tipo risarcitorio, condanna alla pubblicazione del dispositivo della sentenza su un quotidiano nazionale; un ordine di consapevole abbandono dei pregiudizi di età, genere, carichi e impegni familiari nelle fasi di selezione del personale per le posizioni di vertice.
A tali conclusioni la pronuncia giunge individuando una forma di discriminazione indiretta multifattoriale e intersezionale lesiva, sia per il contesto nel quale è stato posto in essere, sia in quanto idoneo oggettivamente, per l'estrema diffusione, a dissuadere le lavoratrici dall'accedere o presentare candidature per le posizioni di vertice della società.
Discriminazione per età e genere
La oggettiva discriminazione per età si sovrappone ad altri fattori di pregiudizio quali quelli per genere, impegni familiari e status, in manifesta violazione del D.Lgs. n. 216 del 2003, delle previsioni del codice delle pari opportunità e delle politiche di genere.
Merita, poi, un richiamo letterale il successivo passaggio della sentenza: “Affermare che la donna per età o per i suoi carichi di famiglia o status non possa rivestire un ruolo apicale o " importante" costituisce una forma oggettiva di discriminazione multifattoriale o intersezionale frutto di un pregiudizio che lede i minimali principi di dignità sociale e palesa un atteggiamento oggettivo di penalizzazione multipla di fattori protetti nella "fase di selezione". L'età non può costituire, salvo ragioni essenziali - insussistenti nel caso dei manager e per le posizioni " importanti" di una azienda di moda - un fattore ostativo in sede di assunzione o di "avanzamenti di carriera" (art. 3, lett. a e b, del D.Lgs. n. 216 del 2003). L'età poi assume nel pensiero dell'amministratore un valore correlato al genere e alle esigenze di cura e progettualità di vita dando luogo ad una sovrapposizione che genera l' intersezionalità della lesione, ossia una discriminazione determinata dalla combinazione di più distinti fattori che concorrono a determinare la lesione da pregiudizio. Il Codice delle pari opportunità di cui al D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, pone a sua volta un divieto generalizzato di discriminazione in sede di accesso al lavoro e all'art. 25 tipicizza come forma di discriminazione "qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonchè l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le candidate e i candidati, in fase di selezione del personale, le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga".
La condizione della donna, relegata a ruoli aziendali subalterni fino agli "anta", palesa un pregiudizio anagrafico che penalizza irragionevolmente la lavoratrice e risulta inaccettabile in una società moderna che valorizza il lavoro femminile. Analoghi rilievi intersezionali devono essere formulati con riferimento alle allusioni allo status o agli impegni familiari che nella visione della amministratrice della società convenuta non penalizzano gli uomini. ”
La pronuncia del Tribunale di Busto Arsizio, nella sua crudezza, descrive quella che, purtroppo, è una situazione troppo frequente – rectius quasi la normalità - nel mondo del lavoro, registrandosi nei contesti aziendali ancora troppe poche donne in ruoli apicali, unitamente ad un significativo gap retributivo di genere.
E' auspicabile che la Direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza retributiva e la parità di genere, che gli stati dovranno recepire entro il 6 giugno 2026, unitamente al corpus normativo relativo alla certificazione sula parità di genere e al D.Lgs. 198/2006 - per citare solo alcune norme- possano accelerare quell'inevitabile e necessario processo di cambiamento culturale verso il lavoro femminile, dal quale in primis le parti datoriali e successivamente le dipendenti e più in generale il contesto sociale potranno trarre giovamento.
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Marco Micaroni
- Responsabile Relazioni Industriali di Autostrade per l'Italia s.p.a.Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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