giovedì 06/03/2025 • 06:00
Con riferimento all’IVA, la disciplina interna sulle società di comodo non può dirsi compatibile con il Diritto UE in quanto la presunzione non può considerarsi idonea a dimostrare che il diritto alla detrazione è stato invocato in modo fraudolento o abusivo (CGT II Lombardia 18 febbraio 2025 n. 508).
Il caso
Una società, operante nel settore del noleggio e mototurismo, ricorreva al giudice tributario al fine di ottenere l'annullamento del diniego di rimborso IVA emesso dall'Agenzia delle Entrate per l'anno d'imposta 2020. L'Ufficio aveva negato il rimborso ritenendo la società non operativa per tre periodi d'imposta consecutivi, ai sensi della normativa sulle società cd “di comodo”, per non aver effettuato operazioni rilevanti ai fini IVA di ammontare non inferiore all'importo risultante dall'applicazione delle percentuali previste dalla citata disciplina. La contribuente, da un lato, aveva evidenziato diverse ragioni che avrebbero giustificato la disapplicazione del menzionato regime e, in particolare, le difficoltà a conseguire il finanziamento necessario per lo svolgimento dell'attività e la carenza di liquidità che non avevano permesso di avviare adeguatamente la parte commerciale e tutte quelle attività dove era necessario il bene (le moto) e il servizio (ufficio, sito internet, marketing, partecipazione a fiere); dall'altro lato, aveva sottolineato l'inapplicabilità del regime delle società di comodo in quanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, “il mancato raggiungimento di tale soglia - considerato dal legislatore sintomatico della non operatività della società (cfr., ex multis, Cass. 24/2/2020, n. 4850, in motivazione) - fonda quindi la presunzione legale relativa di non operatività, basata sulla massima d' esperienza secondo cui, di regola, non vi è effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. Sez. 5, 10/3/2017, n. 6195, in motivazione). La contribuente può vincere tale presunzione dimostrando all'Amministrazione, attraverso l'interpello finalizzato alla disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero in giudizio, nel caso di contrasto - le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi ...”. I giudici di primo grado rigettavano il ricorso osservando come dalle stesse deduzioni della contribuente non emergeva il quadro di una società che aveva svolto un'attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale.
Il decisivo intervento della CGUE
I giudici d'appello, rovesciando l'esito del giudizio, hanno ricordato che nelle more di quest'ultimo la questione è stata affrontata dalla Corte di Giustizia Europea che, con la pronuncia relativa alla causa C-341/22 - Feudi di San Gregorio, ha dettato nuove regole sulle società non operative affermando che la disciplina italiana che regola la materia, in materia di IVA, non è conforme alle direttive unionali. In particolare, la CGUE ha evidenziato come l'art. 30 L. 724/94 sia incompatibile con le norme comunitarie su cui si fonda l'IVA e, in particolare, con i principi di neutralità e di detrazione. La disciplina domestica, infatti, introduce una presunzione secondo cui, quando l'importo delle operazioni effettuate da una società, nel corso di un periodo d'imposta, non raggiunge una determinata soglia tale società non può dirsi operativa. Di conseguenza, viene limitato il suo diritto alla detrazione, non potendo ottenere il rimborso ovvero non potendo compensare con altre imposte l'eccedenza dell'Iva assolta in un esercizio in cui è considerata non operativa. Inoltre, detta norma impedisce di riportare il credito IVA all'esercizio successivo, qualora le stessa sia considerata non operativa per 3 esercizi consecutivi. La Corte europea ha bocciato la norma italiana per incompatibilità con le nozioni di "soggettività passiva IVA" e "attività economica" (articolo 9 della direttiva IVA) nonché per incompatibilità con il diritto alla detrazione (articolo 167 della direttiva IVA) e con il principio di neutralità. In ambito IVA, ha ricordato la CGUE, è considerato soggetto passivo chiunque eserciti un'attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tale attività. Intendendo, per attività economica, ogni attività di produzione, commercializzazione o di prestazioni di servizi, etc., senza che sia rilevante che la stessa sia finalizzata ad un profitto (CGUE, sentenza C-263/15). Né, secondo la Corte europea, la disciplina domestica può trovare conforto nella sua natura antielusiva: la presunzione di società di comodo, pur essendo confutabile, basandosi su una mera valutazione del volume delle operazioni rilevanti ai fini IVA, non può considerarsi idonea a dimostrare che il diritto alla detrazione è stato invocato in modo fraudolento o abusivo.
Il recepimento da parte del giudice nazionale
La Corte tributaria lombarda, nella sentenza in commento, ha recepito i superiori orientamenti conformandosi, peraltro, alla recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 24416 del 3 luglio 2024) in cui si è stato affermato che l'art. 30 L. 724/94 va disapplicato perché non compatibile con i principi unionali “non potendosi derivare la privazione del diritto di detrazione in mera dipendenza dell'entità delle operazioni realizzate dalla contribuente ma solo ove la situazione sia riconducibile ad una frode o ad un abuso".
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Francesco Limatola
- Tax specialist presso KPMG. Dottore commercialista e Revisore legale.Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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