martedì 11/03/2025 • 06:00
La Corte di Cassazione, con ordinanza 10 febbraio 2025 n. 3405 ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente, in regime di part-time, che aveva assunto incarichi operativi e gestionali in altre società (collegate ad ambienti illeciti) senza averlo comunicato o aver ottenuto l'autorizzazione della società datrice di lavoro così come previsto dal codice etico.
Nel caso in esame, un dipendente era stato arrestato in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa del GIP del Tribunale territorialmente competente per il reato di favoreggiamento reale a vantaggio di un'associazione mafiosa. Dall'ordinanza erano emerse sue plurime ingerenze in attività economiche concorrenziali nel settore della cantieristica navale alla luce delle quali la società datrice di lavoro aveva avviato un procedimento disciplinare.
All'esito del procedimento in questione, il lavoratore era stato licenziamento per giusta causa; sia in fase sommaria che in sede di opposizione ai sensi della Legge 92/2012, così come in secondo grado, era stata confermata la legittimità del provvedimento espulsivo emesso nei suoi confronti.
I giudici di merito, a fondamento della loro decisione, avevano, tra l'altro:
Il lavoratore soccombente decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, affidandosi a 6 motivi, a cui resisteva la società con controricorso.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, innanzitutto, osserva che in tema di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione deve essere intesa in senso relativo. In particolare, è necessario dare conto delle ragioni che possono causare il ritardo (quali il tempo necessario per l'accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell'impresa) con una valutazione riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se sorretta da un'adeguata motivazione e priva di vizi logici (cfr. Cass. n. 23739/2008; Cass. n. 16481/2018 e Cass. n. 14726/2024). Ciò che rileva è il definitivo accertamento e la valutazione dei fatti effettuati dal datore di lavoro che, nel caso di specie, sono avvenuti solo con l'esame dell'ordinanza di custodia cautelare in relazione alla quale la contestazione è risultata tempestiva.
La contestazione nei confronti del lavoratore, prosegue la Corte di Cassazione, riguarda anche lo svolgimento, pur essendo in regime di part-time, di attività imprenditoriali nel settore della cantieristica navale, senza aver dato comunicazione o ottenuto una specifica autorizzazione, con inevitabili riflessi sulla funzione dallo stesso rivestita negli enti diversi dalla sua datrice di lavoro.
A questo proposito la Corte di Cassazione richiama l'obbligo di fedeltà, gravante sul lavoratore, che ha un contenuto più ampio di quello risultante dall'art. 2105 c.c., dovendosi integrare con i principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. Ne deriva, ad avviso della Corte di Cassazione, che il lavoratore deve astenersi da qualsiasi condotta, anche extra-lavorativa o potenzialmente dannosa, che sia in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa o sia, comunque, idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che sottende un normale rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 14176/2009; Cass. n. 8711/2017 e Cass. n. 26181/2004).
Nel caso in esame, osserva la Corte di Cassazione, i giudici di merito hanno ritenuto che il lavoratore ricoprisse nelle società (collegate ad ambienti illeciti) in cui deteneva quote sociali anche un ruolo operativo, assumendo incarichi gestionali senza aver ricevuto alcuna autorizzazione o effettuato alcuna comunicazione, configurando così una giusta causa di recesso.
La giusta causa di recesso, quale fatto “che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto”, è una nozione che la legge configura con una disposizione di limitato contenuto che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.
Tali specificazioni hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è esclusa in sede di legittimità come violazione di legge. L'accertamento della concreta ricorrenza degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, invece, si pone sul piano del giudizio di fatto che spetta al giudice di merito. E detto giudizio è sindacabile in cassazione solo a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e contrappositiva ma denunci una incoerenza rispetto “agli standards” conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
Peraltro, la valutazione della sussistenza della giusta causa è rilevante per le violazioni delle disposizioni contrattuali collettive. Tuttavia, dai motivi di reclamo, non è emerso, secondo la Corte di Cassazione, che siano state sollevate contestazioni circa la sussistenza di previsioni collettive che puniscano con sanzioni conservative l'inosservanza delle norme del codice etico, né risulta specificato se e come questa questione sia stata esaminata dal giudice.
In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione conclude per il rigetto del ricorso presentato dal lavoratore, con la sua condanna al pagamento delle spese di lite.
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