sabato 01/02/2025 • 06:00
Se il datore di lavoro ha intimato al lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto di lavoro, purché il nuovo licenziamento si fondi su motivi diversi o sopravvenuti o, comunque, sconosciuti in precedenza dal datore. A ribadirlo è la Cassazione con ordinanza 20 gennaio 2025 n. 1376.
Nel caso in esame il Tribunale, pronunciandosi sul ricorso presentato da un lavoratore, con mansioni di autista di autobus, avverso i due licenziamenti disciplinari intimatigli (rispettivamente il 16 giugno 2018 ed il successivo 12 luglio), aveva dichiarato risolto il rapporto con effetto dal primo licenziamento, condannando il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, e inefficace il secondo.
Lo stesso Tribunale, con propria sentenza, aveva rigettato le opposizioni del lavoratore e del datore di lavoro.
La Corte d'appello territorialmente competente, pronunciandosi sui reclami proposti dalle parti ed in riforma della sentenza di primo grado, annullava il primo licenziamento, ordinando alla società di reintegrare il lavoratore e di corrispondergli una indennità risarcitoria, dedotto quanto dallo stesso percepito nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altra attività lavorativa, pari a 1 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal dì del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra. La Corte rigettava, invece, le altre domande.
Secondo la Corte distrettuale i due licenziamenti vertevano su due addebiti diversi. In particolare, il primo licenziamento era stato motivato da sistematiche interruzioni non autorizzate del servizio di linea, causate da fermate effettuate dal lavoratore, nonché dal fatto che lo stesso aveva fumato e usato il telefono cellulare durante la guida, mettendo in pericolo l'incolumità dei passeggeri. Il secondo, invece, era stato motivato dal comportamento del lavoratore che, in pubblico, aveva rivolto offese e minacce di morte ai vertici aziendali.
A suo avviso,
Avverso la sentenza d'appello il lavoratore ricorreva in cassazione, affidandosi a tre motivi, a cui resisteva con controricorso il datore di lavoro, proponendo anche ricorso incidentale con due motivi. Resisteva con controricorso il lavoratore ed entrambe le parti depositavano memorie.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione sottolinea che i fatti addebitati con la seconda contestazione, come spiegato in secondo grado, sono cronologicamente successivi rispetto a quelli oggetto della prima contestazione e sganciati da essi; essi, anzi, risultano proprio collegati alla ricezione di comunicazioni relative al primo procedimento disciplinare.
La Corte distrettuale, esaminando la sequenza degli atti, ha individuato – continua la Corte di Cassazione - l'autonomia delle due procedure, escludendo la sussistenza di una c.d. contestazione a catena. Al riguardo viene richiamata la giurisprudenza secondo cui è ammissibile, qualora il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore un licenziamento individuale, una successiva comunicazione di recesso dal rapporto di lavoro, purché il nuovo licenziamento si fondi su motivi diversi o sopravvenuti o, comunque, sconosciuti in precedenza dal datore, e la sua efficacia resti condizionata all'eventuale declaratoria di illegittimità del primo (cfr. Cass. n. 106/2013, Cass. n. 19089/2018).
Secondo la Corte di Cassazione i giudici di merito, con un'argomentazione logica e congrua, hanno interpretato “la nozione di fatto sopravvenuto non solo come fatto già noto in funzione di impedire strumentali contestazioni a catena, ma anche come fatto conosciuto dopo la prima contestazione (nel caso di specie la relativa procedura disciplinare era stata avviata e non era stata ancora conclusa), non essendo imposta l'unificazione delle due procedure disciplinari”.
Osserva, altresì, la Corte di Cassazione che in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta è riservata al giudice di merito che deve considerare gli elementi concreti della fattispecie, sia essi di natura oggettiva e soggettiva. Questa valutazione è finalizzata a riempire di contenuto la clausola generale ex art. 2119 c.c. E l'attività di integrazione del precetto normativo, compiuta dal giudice di merito, non è censurabile in sede di legittimità “se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto (…) alla norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale”. In sostanza, l'accertamento della sussistenza degli elementi previsti dalla norma costituisce un giudizio di fatto, di competenza del giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se privo di errori logici e giuridici (fra tutte Cass. n. 13534/2019; Cass. n. 5596/2024 e Cass. n. 24523/2024).
In questo contesto, i giudici di merito hanno ritenuto che non fosse stata provata la sistematicità delle condotte contestate al lavoratore e questa carenza li ha portati ad inquadrarle nell'illecito disciplinare relativo a irregolarità e negligenze in servizio, punibile con una sanzione conservativa.
La Corte di Cassazione ritiene questa conclusione conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale, al fine di individuare la tutela applicabile tra quelle previste dall'art. 18, commi 4 e 5, dello Statuto dei Lavoratori, il giudice può “sussumere” la condotta contestata al lavoratore, accertata giudizialmente, alla previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisce l'illecito con sanzione conservativa. Tale “operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo” (cfr. Cass. n. 11665/2002; Cass. n. 20780/2022).
La Corte di Cassazione conclude, quindi, per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale e, stante la reciproca soccombenza delle parti, per la compensazione delle spese.
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Paolo Patrizio
- Avvocato - Professore - Università internazionale della Pace delle Nazioni UniteRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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