sabato 01/03/2025 • 06:00
La Corte di Cassazione, con ordinanza 9 febbraio 2025 n. 3280, torna ad affrontare la ricorrente questione dell'ingerenza del committente nell'attività dell'appaltatore, affermando che si configura la fattispecie dell'appalto non genuino laddove i dipendenti dell'appaltatore siano soggetti ad un potere conformativo, esercitato da parte di personale della committente attraverso direttive specifiche e costanti.
Il dipendente di un'azienda appaltatrice di servizi di movimentazione (trasporto di materiali con uso di muletti) all'interno dell'azienda committente, aveva impugnato il licenziamento subito dall'appaltatore, formale datore di lavoro, chiedendo al Tribunale adito il riconoscimento del rapporto di lavoro in capo all'azienda committente.
Il lavoratore aveva avuto ragione in entrambi le fasi di merito del processo posto che la Corte territoriale di Bologna, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva rilevato un utilizzo distorto del contratto di appalto, riscontrando in capo alla committente gli elementi tipici del ruolo di datore di lavoro.
Nella specie, la Corte d'Appello di Bologna aveva valutato il patrimonio istruttorio acquisito come confermativo della mancanza di effettività della gestione del lavoro del ricorrente da parte della società appaltatrice formalmente sua datrice di lavoro, e dunque l'appalto non genuino.
L'azienda committente aveva dunque promosso ricorso per cassazione.
Appalto e indici per valutarne la liceità secondo la giurisprudenza
E' bene premettere che è sempre considerato lecito che un appalto sia basato essenzialmente, anche esclusivamente, sulla forza lavoro, organizzata dall'appaltatore, senza necessità che quest'ultimo disponga di particolari impianti, macchine o attrezzi. E' il caso di quegli appalti c.d. “labour intensive”, nei quali la prestazione di lavoro organizzata dall'appaltatore, svolta prevalentemente nei locali del committente, non richiede necessariamente l'impiego di particolari macchine.
Tra le pronunce più significative della giurisprudenza di merito che mette ben a fuoco la fattispecie si veda Tribunale di Pesaro, 8 marzo 2013, n. 115 che afferma: “Secondo l'articolo 1655 del codice civile, l'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro. Affinché si configuri un contratto di appalto, peraltro, non è necessario che l'appaltatore disponga necessariamente di un apparato produttivo di natura reale, potendosi dare l'eventualità di appalti nei quali l'organizzazione di mezzi materiali assume un'importanza trascurabile rispetto all'organizzazione di fattori produttivi personali. Ciò avviene tipicamente nel caso di appalti che hanno ad oggetto la prestazione di servizi per la cui esecuzione non è necessario l'impiego di mezzi materiali.”
L'esecuzione dei servizi appaltati impone un fisiologico di flusso di informazioni, dati e notizie per la corretta esecuzione dell'attività appaltata ma ciò deve avvenire, è bene precisarlo, principalmente tra i due imprenditori (committente ed appaltatore) o tra i loro referenti all'uopo incaricati.
Si ricorda quanto affermato da Cass. 6 giugno 2011, n. 12201: “In tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro non è sufficiente, ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto.”
Negli stessi termini, Tribunale di Milano, 25 febbraio 2013, n. 553: “È opportuno chiarire che il (semplice) coordinamento e controllo da parte della società committente dell'attività oggetto di appalto non esclude affatto (ma - al contrario - è pienamente compatibile con) la sussistenza di un appalto genuino. Non si ritiene quindi possibile valutare delle semplici direttive organizzative alla stregua di un vero e proprio esercizio di potere direttivo: tale ultima prerogativa si esplica infatti in altri e ben più pregnanti indici.”. Sulla scorta delle citate pronunce ed in generale degli orientamenti vigenti è possibile riepilogare che chi invoca l'accertamento di un appalto non genuino è tenuto a provare con una certa rigorosità le seguenti circostanze:
Sul punto si veda, tra le tante, Cass. 11 settembre 2000 n. 11957 secondo cui: “Con riguardo al divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro occorre di volta in volta procedere ad una dettagliata analisi di tutti gli elementi che caratterizzano il rapporto instaurato tra le parti allo scopo di accertare se l'impresa appaltatrice, assumendo su di sé il rischio economico dell'impresa, operi concretamente in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all'impresa committente; se sia provvista di una propria organizzazione d'impresa; se in concreto assuma su di sé l'alea economica insita nell'attività produttiva oggetto dell'appalto; infine se i lavoratori impiegati per il raggiungimento di tali risultati siano effettivamente diretti dall'appaltatore ed agiscano alle sue dipendenze.”.
Maggiore rilevanza del dato della subordinazione dei lavoratori al committente rispetto ad altri indici
Il ricorso per cassazione, promosso dalla committente, aveva censurato la sentenza della Corte Territoriale, tra l'altro, per aver omesso di indagare, con maggiore rigore, alcuni indici rilevanti tra cui l'impiego di mezzi dell'appaltatore e l'assunzione di un rischio di impresa. La Corte d'Appello, secondo la committente ricorrente avrebbe, quindi, dato maggiore importanza ad altri indici emersi dall'istruttoria quali l'eterodirezione tramite istruzioni operative che riceveva il personale dell'appaltatrice da parte della committente.
Rispetto a tali argomenti, la Suprema Corte, con l'ordinanza qui in commento, afferma: “ si configura intermediazione illecita ogni qual volta l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo eventualmente in capo al medesimo, quale datore di lavoro, i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (…) la Corte di merito, in adesione a tali principi, ha accertato in fatto, come l'odierno controricorrente (…) ricevesse disposizioni specifiche e costanti sulla concreta esecuzione dell'attività dai dipendenti della committente, che così esercitava un vero e proprio potere conformativo nei suoi confronti, senza che alcun ruolo organizzativo o direttivo fosse concretamente svolto dalla formale datrice di lavoro, impegnata unicamente in adempimenti di natura amministrativa; ricostruita la concreta organizzazione del lavoro, accertato l'esercizio costante e continuativo di un potere di conformazione o specificazione della prestazione, inteso come potere di dettare disposizioni dettagliate e continuative per ottenere una prestazione stabilmente integrata nel ciclo produttivo e atta a soddisfare l'interesse datoriale (e non quindi un risultato autonomo), rimane irrilevante la mancata esplicita indagine dei giudici di appello sulla proprietà dei mezzi adoperati e sul rischio di impresa, trattandosi di elementi indiziari privi di portata dirimente, specie alla luce del complessivo accertamento svolto.”
In buona sostanza la Corte, confermando il solco interpretativo già tracciato, ha confermato a tutti gli effetti di attribuire maggiore rilevanza all'elemento della concreta gestione del personale; elemento che, laddove dimostrato, consente di omettere l'indagine su altri elementi e così stabilendo una sorta di “gerarchia degli indici.”.
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Pasquale Staropoli
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