lunedì 24/02/2025 • 06:00
Il diritto di detrazione dell’IVA, con il correlato diritto di rimborso dell’eccedenza di imposta tra quella dovuta e quella detraibile, non può essere negato da una norma nazionale che lo subordini al raggiungimento di un importo minimo di ricavi (Cass. 18 febbraio 2025 nn. 4151 e 4157).
Sul tema del diritto di detrazione dell'IVA lato società di comodo la Corte di Giustizia dell'Unione europea nella sentenza del 7 marzo 2024, nella causa C-341/22, Feudi di San Gregorio, aveva risposto ai quesiti formulati dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 19 maggio 2022.
I giudizi alla Corte europea, così come quelli alla Corte Costituzionale, sono di natura incidentale o interlocutoria: nascono nel corso di un giudizio pendente, che viene sospeso in attesa della pronuncia superiore, che enuncia il principio cui deve attenersi il giudice remittente, unico responsabile della definizione della lite.
Siamo ora alla fase conclusiva della lite, che viene chiusa con la sentenza pubblicata il 18 febbraio 2025, con il numero 4151, che accoglie il ricorso del contribuente. Un simile esito era necessitato dalla pronuncia europea, che viene ampiamente riprodotta nella motivazione della sentenza.
Le Commissioni tributarie di primo e secondo grado – che ben avrebbero potuto formulare il rinvio al giudice europeo – avevano invece dato torto al contribuente, applicando pedissequamente la norma, che parla di mancata effettuazione, per tre periodi di imposta successivi, di operazioni rilevanti ai fini dell'IVA per un importo pari o superiore a quello risultante dall'applicazione dei criteri dettati per il test di operatività dall'art. 30 L. 724/94.
Nessuna norma della direttiva prevede questa penalizzazione, anzi è indubbio che la detrazione spetti anche in assenza di operazioni attive nell'anno in cui viene operata. Uno per tutti il caso storico Ghent Coal Terminal (sentenza 15 gennaio 1998, causa C-37/95), che ne ha confermato la spettanza per uno studio di fattibilità relativo ad un investimento che verrà abbandonato, in quanto ritenuto non conveniente. Sono fatte salve le situazioni di frode od evasione, che non possono però essere presunte per legge.
La Corte di Cassazione deposita lo stesso giorno una sentenza su un caso analogo, relativo ad un altro contribuente (sentenza n. 4157). Il dispositivo è di segno contrario, in quanto il giudizio respinge il ricorso dell'Agenzia delle entrate, proposto perché il contribuente aveva invece vinto sia in primo che in secondo grado.
Quando la Corte europea enuncia un principio, che impone di disapplicare la norma nazionale confliggente con la direttiva, obbliga i giudici nazionali ad operare nello stesso modo in tutti i giudizi aventi lo stesso oggetto, e non solo in quello che le è stato sottoposto.
Gli elementi di fatto del giudizio sono valutati esclusivamente dal giudice nazionale: in questo caso non c'era nessun accertamento di frode o di evasione, e quindi la conclusione è favore del contribuente, in quanto l'accertamento era stato fatto applicando soltanto una norma in contrasto con la direttiva.
L'intervento conclusivo del giudice nazionale merita di essere approfondito per un caso, che viene normalmente citato come “il contribuente in buona fede mantiene il diritto di detrazione, anche se è coinvolto in una frode carosello”.
Una simile lettura del dispositivo è indubbia, e l'ultima citazione importante la troviamo nel memoriale del Parlamento europeo del gennaio 2025, dove si parla di contribuenti onesti che rimangono coinvolti involontariamente in una catena di frode IVA, rendendo difficile per le amministrazioni finanziarie individuare chi partecipa deliberatamente alla frode. La nota (13) di questo documento richiama la sentenza del 6 luglio 2006, nella causa C-439/04 – Kittel.
Ma il componente belga del Comitato Fiscale della Confédération Fiscale Européenne ha comunicato ai colleghi che la conclusione giudiziaria non era stata a favore del ricorrente. Il Signor Kittel aveva infatti centuplicato il suo volume d'affari in sei mesi, vendeva e comprava beni di cui non aveva competenza, non disponeva di magazzini ed aveva anche fatturato più volte le stesse operazioni.
Semmai c'è da chiedersi perché questo contribuente ha perso e ha fatto perdere tempo per farsi dire che un contribuente onesto può stare tranquillo, quando invece il suo comportamento era di segno totalmente opposto, come accertato dal giudice nazionale.
Fonte: Cass. 18 febbraio 2025 nn. 4151 e 4157
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Gianluca Dan
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