mercoledì 19/02/2025 • 06:00
Chi abbia seguito con profitto un corso base relativo alla disciplina IVA sa (o dovrebbe sapere) che la qualificazione di un'operazione come “non imponibile” od “esente” può essere operata solo dopo aver superato, con esito positivo, il test che individua un'operazione come “soggetta” ad IVA (Risp. AE 14 febbraio 2025 n. 34).
Per questa qualificazione devono sussistere congiuntamente i tre requisiti, soggettivo, oggettivo e territoriale. In altri termini il cedente (in questo caso stiamo parlando solo di beni) deve qualificarsi come soggetto passivo di imposta, che noi chiamiamo esercente di impresa, l'operazione deve rientrare tra quelle definite dall'art. 2 DPR 633/72 e la sua localizzazione deve rispettare i criteri dell'art. 7-bis DPR 633/72.
Un'altra distinzione riguarda la differenza tra la qualificazione doganale di “esportazione”, che comprende qualunque uscita dalla linea di confine dell'Unione europea, e quella di “cessione all'esportazione” dell'art. 8 c. 1 lett. a) e b) DPR 633/72, per le quali l'uscita deve essere intervenuta per un atto di vendita, con l'individuazione immediata dell'acquirente.
Queste premesse ci aiutano a capire il quesito e la risposta ad interpello n. 34 del 14 febbraio 2025.
Il richiedente invia merce negli Stati Uniti “franco valuta”, non cioè per un atto di vendita, ma per rifornire un magazzino in tale Paese, da cui i beni formeranno oggetto di varie cessioni interne, non individuabili quando i beni lasciano il territorio doganale.
Il quesito voleva qualificare queste vendite nell'art. 8 DPR 633/72, evidentemente per poter acquisire plafond, finalizzato ad operare acquisti interni senza applicazione del tributo.
Come detto all'inizio occorre analizzare l'articolo 7-bis per verificare se sussiste il requisito di territorialità in Italia. Questa norma lo individua se i beni – al momento della cessione, cioè della vendita – sono esistenti nel territorio dello Stato. Ma così non è nel caso del quesito, perché i beni, quando sono venduti, si trovano già negli Stati Uniti.
Al riguardo è interessante, in quanto raramente commentata, l'analisi della disposizione sulla fatturazione, presente nell'art. 21 c. 6-bis DPR 633/72, applicabile nel nostro caso, in quanto qualifica l'obbligo di fatturazione per le operazioni non soggette ad imposta. La norma individua la fonte negli articoli da 7 a 7-septies, e quindi comprende il nostro articolo 7-bis.
La fattura deve essere emessa dalla partita IVA dell'impresa italiana, in quanto realizza la cessione all'estero di beni che sino a quel momento sono ancora di sua proprietà. La dicitura è della lettera b): la cessione che si considera effettuata fuori dall'Unione europea deve essere qualificata in fattura come “operazione non soggetta”.
Questa formulazione chiude il cerchio con la riflessione iniziale: se un'operazione non è soggetta, per mancanza anche di un solo requisito, non può essere qualificata come “non imponibile”, cioè secondo una categoria delle operazioni soggette.
Con l'occasione andiamo a vedere cosa dice l'altra lettera (la a) dell'articolo 21, comma 6-bis: le operazioni (cessioni o prestazioni) effettuate nei confronti di un soggetto passivo, che è debitore dell'imposta in un altro Stato membro dell'Unione europea, vanno annotate con il termine di “inversione contabile”, cioè reverse charge .
Entrambe le situazioni non danno diritto alla formazione di plafond. Al riguardo il nostro regime è molto più estensivo rispetto a quanto disponga l'articolo 164, paragrafo 1, lettera a) della direttiva 2006/112/CE, secondo cui gli Stati membri possono esentare (noi diciamo rendere “non imponibili”):
Il paragrafo 2 dello stesso articolo concede il plafond anche sulla base delle cessioni intraUE dei dodici mesi precedenti.
Considerando che il regime del plafond era nato cinquant'anni fa, quando i rimborsi IVA venivano erogati anche a distanza di anni, mentre oggi – specie dopo l'autorizzazione europea allo split payment - i tempi sono diventati più che ragionevoli, occorre fare una riflessione sul rapporto costi/benefici per una procedura che determina un aggravio negli adempimenti e si qualifica anche come fonte di innesco per le frodi.
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