venerdì 24/01/2025 • 06:00
Il Decreto Milleproroghe ha esteso per tutto il 2025 la possibilità per le parti del rapporto di lavoro a termine, in mancanza di disciplina dei CCNL, di poter individuare le causali per proroghe e rinnovi oltre i 12 mesi. La novità impone ancora una volta al datore di lavoro di elaborare causali precise per evitare la nullità del contratto.
È bene ricordare che la genesi della facoltà pattizia per dipendente e datore di lavoro di individuare da soli le causali da indicare nel rapporto a tempo determinato era stata ammessa solo per dare il tempo alla contrattazione collettiva di adeguare le relative discipline. In particolare, il DL 48/2023, nel modificare il c. 1 dell'art. 19 D.Lgs. 81/2015, aveva ridefinito le fattispecie che ammettevano l'apposizione del termine ai contratti di lavoro, le relative proroghe o rinnovi, oltre i dodici mesi, con limite “finale” di ventiquattro mesi. L'unica casistica residuale espressamente disciplinata dal Legislatore, alla lettera b-bis), è stata l'ipotesi della sostituzione di altri lavoratori con onere per il datore di lavoro di indicare le ragioni concrete della sostituzione nel contratto, restando fermo il divieto – ai sensi dell'art. 20, c. 1, lett. a), D.Lgs. 81/2015– di sostituire i lavoratori che esercitano il diritto di sciopero.
È stata, pertanto, demandata alla contrattazione collettiva, alla lettera a), l'individuazione di ulteriori ipotesi, con la possibilità, solo in assenza di suddette previsioni, per le parti individuali, lavoratore e datore di lavoro, la determinazione di esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva. Questa deroga, prevista alla lettera b), nell'attesa del recepimento da parte dei contratti collettivi, è stata inizialmente prevista fino al 30 aprile 2024, per poi essere prorogata al 31 dicembre 2024 con l'art. 18 c. 4-bis, DL 215/2023. Si è però registrato che dall'entrata in vigore del DL 48/2023, 5 maggio 2023, non tutti i CCNL hanno ancora inserito o disciplinato le ulteriori ipotesi come richiesto dalla lettera a) della norma citata. E' pur vero che alcuni CCNL, ancora non adeguati al richiamato Decreto Lavoro, prevedono già ipotesi di causali nell'ambito dei contratti a termine e ciò mediante il solo richiamo alle note causali di cui al c.d. Decreto Dignità (il D.L. 12 luglio 2018, n. 87 che prevedeva le c.d. esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria).
Si noti, in ogni caso, che in tali diposizioni è comunque applicabile la deroga dalle parti del contratto individuale in quanto le causali in questi contratti non rispondono alla delega del citato DL 48/2023 e da quest'ultimo implicitamente superate. Si veda ad esempio il CCNL Carta Industria, che recependo l'art. 41- bis DL 73/2021 (cd. Decreto Sostegni bis), che già introduceva il richiamo a causali individuate dai contratti collettivi di cui all'art. 51 D. Lgs. 81/2015, prevedeva specifiche esigenze per l'estensione dei contratti fino a 24 mesi. In quest'ultima fattispecie, le suddette casistiche potranno continuare a essere utilizzate per il periodo di vigenza del contratto collettivo, unitamente a quelle causali di derivazione collettiva che individuino concrete condizioni per il ricorso al contratto a termine, purché non si limitino ad un mero rinvio alle fattispecie legali di cui alla previgente disciplina.
Mancato adeguamento della contrattazione collettiva al 31 dicembre 2024
Alla luce del mancato adeguamento da parte della contrattazione collettiva entro il 31 dicembre 2024, si sarebbe prodotta la conseguenza di escludere le singole parti individuali dalla possibilità poter sottoscrivere contratti superiori a 12 mesi oltre alla difficoltà di utilizzare gli istituti della proroga e del rinnovo oltre i 12 mesi. Ciò avrebbe comportato un significativo impatto sulla facilità di ricorrere alla fattispecie del contratto a tempo determinato la quale, ancorché il nostro legislatore la qualifichi come alternativa al normale rapporto di lavoro che deve considerarsi quello a tempo indeterminato, rappresenta, stando alle stime del Ministero del Lavoro alla luce delle comunicazioni ai Centri per l'impiego analizzate, ancora la forma più diffusa di formalizzazione dei contratti di lavoro con oltre il 66% nel 2023. Pertanto, la ragione per cui il Decreto “Milleproroghe 2025” – D.L. 202/2024, all'art. 14 c. 3 – ha disposto che le parti individuali possano usufruire di un ulteriore arco temporale di un intero anno per poter ricorrere a proroghe e/o rinnovi oltre 12 mesi o attivare nuovi contratti con termine fissato già inizialmente oltre 12 mesi, entro — comunque i 24 mesi — in assenza di una specifica contrattazione collettiva è quella di non paralizzare questa forma contrattuale dal normale utilizzo fatto nel tessuto imprenditoriale. Invero, con riguardo ai soli contratti collettivi nei quali non è stata introdotta la previsione di causali specifiche, quindi, fino al 31 dicembre 2025, potranno continuare ad essere stipulati contratti, rinnovi o proroghe oltre 12 mesi per esigenze individuate dal lavoratore e datore di lavoro. Già la circolare n. 9 del 9 ottobre 2023 del Ministero del Lavoro, in riferimento alla prima data del 30 aprile 2024 sanciva che “Tale data è da intendersi come riferita alla stipula del contratto di lavoro, la cui durata, pertanto, potrà anche andare oltre […]”, donde, per estensione, la stessa accezione è da intendersi per la data del 31 dicembre 2025.
Ad oggi, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 14 c. 3 del D.L. n. 202/2024, l'art. 19 del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81 è dunque così formulato: “Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all'articolo 51;
b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; b-bis) in sostituzione di altri lavoratori”.
È bene precisare che si assiste ancora ad un notevole numero di controversie giudiziali avente ad oggetto le causali. Impone sicuramente particolare attenzione la causale la cui individuazione è concessa alle parti, e ciò avuto riguardo all'analogia della previsione della lettera b) del novellato comma 1 art. 19 D.Lgs. 81/2015 con il cosiddetto “causalone”, oggetto di un enorme contenzioso giudiziario, di cui all'art. 1 c. 1 del D.Lgs. 368/2001 che dice: “è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. E seppur non presente nella causale del 2001 la sostanziale locuzione introdotta nel 2023 “individuate dalle parti” (quasi a sottintendere un implicito consenso al pari dell'apposizione del termine), è bene per il datore di lavoro, alla luce della vigente e costante giurisprudenza (Cass. n. 208/2015, Cass. n. 22496/2019, Cass. n. 6737/2023, Cass. n. 2894/2023) indicare puntualmente le concrete circostanze da cui si rinviene le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano il contratto, il rinnovo o la proroga, per tutta la sua durata.
In buona sostanza, l'impatto di questa ulteriore proroga del regime delle causali, impone ancora una volta un esercizio esegetico, per sua natura solitamente demandato al legislatore o alla contrattazione collettiva, alle parti individuali, più precisamente al datore di lavoro, che non possono elaborare una causale vaga, sommaria o di semplice rimando alla norma in quanto ciò potrebbe determinarne la nullità la trasformazione del contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi, come previsto al comma 1-bis dello stesso art. 19 D.Lgs. 81/2015.
Bene tenere anche presente lo strumento della certificazione del contratto, di cui all'art. 75 D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, immaginato come meccanismo deflattivo del contenzioso ma nella prassi, di fatto, poco utilizzato.
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Giuseppe Gentile
- Avvocato e Professore di diritto del lavoro Università di Napoli Federico IIRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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