venerdì 27/12/2024 • 06:00
Le critiche rivolte al datore di lavoro non giustificano un licenziamento se non sono visibili a terzi estranei. Inoltre, la tutela dei licenziamenti si applica agli pseudo-dirigenti, i cui compiti non sono riconducibili alla declaratoria del dirigente. A dichiararlo è la Cassazione con ordinanza 18 dicembre 2024 n. 33074.
Nel caso in esame una compagnia aerea aveva avviato un procedimento disciplinare nei confronti di un proprio dipendente, membro del comitato Tecnico ANPAC come Responsabile di Area Analisi incidenti e prevenzione. Ciò in quanto, il lavoratore “aveva rilasciato tramite una lista di distribuzione informatica anpacmail dichiarazioni in aperto contrasto con il vincolo fiduciario gravemente lesive dell'immagine aziendale”, in palese violazione del CCNL di settore.
All'esito del procedimento disciplinare al lavoratore veniva intimato il licenziamento per giusta causa, impugnato dal medesimo giudizialmente.
La Corte distrettuale, in sede di rinvio disposto dalla stessa per una questione legata all'operatività dell'art. 6 della Legge n. 604/1966, dichiarava illegittimo il licenziamento in questione, ordinando la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condannando la società al pagamento in suo favore del risarcimento del danno pari a 5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali) dal dì del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra.
Secondo la Corte le frasi addebitate al lavoratore, per quanto espressione di forte critica con l'uso di linguaggio certamente non consono, non presentavano contenuti diffamatori, partendo dall'assunto che la lista di distribuzione di posta elettronica è uno strumento di discussione utilizzabile dai soli utenti iscritti ed inseriti in essa.
Pertanto, nel caso di specie, l'azione di critica, pur esorbitando “i limiti di una continenza formale”, non aveva intaccato la reputazione della società, in quanto il contesto, nel cui ambito l'esternazione era stata riferita, era necessariamente limitato ai soli iscritti al sindacato ANPAC e non esteso ad un numero indefinito di persone.
Non potevano, quindi, considerarsi sussistenti i presupposti per l'intimazione di un licenziamento per giusta causa.
Inoltre, con riferimento all'eccezione sollevata dalla società circa la non applicabilità al caso di specie della tutela reintegratoria, la Corte distrettuale osservava che il dipendente rientrava nella categoria della pseudo-dirigenza “nel cui ambito al nomen di dirigente non corrisponde, nei fatti, il possesso di quel complesso di attribuzioni, di mansioni (per quanto caratterizzate da alto profilo tecnico-professionale), di responsabilità decisorie e di realizzazione degli obiettivi dell'impresa tipiche della qualifica dirigenziale”.
Avverso la pronuncia di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la società, affidandosi a quattro motivi, a cui resisteva il lavoratore con controricorso ed entrambe le parti comunicavano memorie.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione adita sottolinea che la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza secondo la quale le espressioni offensive nei confronti del datore di lavoro non possono costituire giusta causa di licenziamento se contenute in comunicazioni dirette ad un determinato gruppo di persone e non ad una moltitudine indeterminata (cfr. Cass. n. 21965/2018; Cass. n. 27939/2011). E, in ogni caso, l'accertamento in fatto in ordine all'idoneità del mezzo utilizzato a raggiungere un gruppo identificato di persone ovvero una indistinta moltitudine è riservata al giudice di merito.
Inoltre, a parere della Corte di Cassazione, la sentenza impugnata ha indicato le ragioni per cui è stata ritenuta applicabile al lavoratore la tutela reintegratoria, trattandosi di uno pseudo-dirigente.
Nel formulare la sua decisione la Corte d'appello, continua la Corte di Cassazione, si è uniformata all'orientamento pacifico (cfr. Cass. n. 25145/2010; Cass. n. 23894/2018 e sulla scorta delle S.U. n. 7880/2007) secondo cui la disciplina limitativa del potere di licenziamento ex Legge 604/1966 e L. n. 300/1970 non trova applicazione ai sensi dell'art. 10 della Legge 604/1966, nei confronti dei dirigenti convenzionali, ovvero coloro che sono ritenuti tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile (sia essi dirigenti “apicali” o dirigenti “medi” o minori”). Invece, la tutela limitativa dei licenziamenti si applica agli pseudo-dirigenti, ossia “coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente”.
La Corte di Cassazione conclude così per il rigetto del ricorso presentato dalla società, con sua condanna al pagamento delle spese di lite.
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Giuseppe Gentile
- Avvocato e Professore di diritto del lavoro Università di Napoli Federico IIRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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