venerdì 13/12/2024 • 06:00
La successione di un datore di lavoro a un altro può attuarsi tramite la cessione del contratto di lavoro col consenso del lavoratore, che continua a rendere la sua prestazione presso il cessionario ma con tutte le limitazioni del contratto precedente. A stabilirlo è la Cassazione con ordinanza 5 novembre 2024 n. 28406.
Un lavoratore era stato licenziato ad aprile 2012 per motivi disciplinari e l'atto di recesso era stato annullato in primo grado (sia in sede sommaria che in sede di opposizione) con condanna della società datrice di lavoro alla sua reintegrazione. Nelle more, a luglio 2015, il suo contratto di lavoro era stato ceduto ai sensi dell'art. 1406 c.c. ad un'altra società.
Nel 2019, in appello, il provvedimento espulsivo era stato dichiarato legittimo e, in base alla cessione del contratto, il cessionario aveva comunicato al lavoratore la sua ripristinata efficacia, il quale poi aveva adito l'autorità giudiziaria affinché venisse dichiarato illegittimo.
La Corte distrettuale, con propria sentenza, aveva rigettato il reclamo proposto dal lavoratore che si era visto respingere il suo ricorso in primo grado.
Avverso la sentenza di secondo grado il lavoratore ricorreva in cassazione a cui resisteva la società con controricorso.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione investita della causa sottolinea che nel caso di specie l'effetto successorio, garantito dalla cessione del contratto, non è stato precluso dal mancato intervento della società cessionaria nel giudizio di impugnativa del licenziamento, che al momento della cessione era in corso tra la cedente ed il lavoratore. Ciò in quanto tale evenienza è una facoltà consentita dall'ordinamento giuridico sostanziale e processuale, come si evince dall'art. 111 c.p. che al comma 4 estende al successore a titolo particolare gli effetti della sentenza pronunciata tra le parti originarie.
Ad ogni modo - continua la Corte di Cassazione - non è necessario che intervenga il giudicato per attribuire efficacia risolutiva ad un licenziamento riconosciuto legittimo in appello, poiché la relativa sentenza è immediatamente esecutiva. E' evidente anche che se il licenziamento de quo fosse stato annullato in cassazione sarebbe venuta meno anche l'efficacia della lettera di risoluzione oggetto del giudizio in esame. Ma detto licenziamento è stato dichiarato legittimo con la sentenza passata in giudicato, emessa a giugno 2022.
La Corte di Cassazione osserva, altresì, che ai sensi dell'art. 1406 c.c. ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto a prestazioni corrispettive, se esse non sono state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta. E l'art. 1410 c.c. nel regolare i rapporti fra cedente e cessionario stabilisce che il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto.
La cessione del contratto comporta una successione a titolo particolare del cedente al cessionario in tutti i rapporti attivi e passivi. Con essa si trasmettono “non solo i debiti e crediti ma anche obblighi strumentali, diritti potestativi, azioni, aspettative ricollegate alla volontà delle parti ed all'esistenza del contratto, ivi compresa l'efficacia risolutiva di un licenziamento già intimato dal cedente ed ancora sub iudice”.
Poiché ai sensi dell'art. 1406 c.c. oggetto del contratto è la trasmissione del complesso unitario delle situazioni giuridiche attive e passive che derivano per ciascuna delle parti dall'esistenza del contratto, la sua cessione presuppone che l'oggetto dell'obbligazione rimanga immutato. Ciò significa che debbono rimanere sostanzialmente immutati gli elementi essenziali, realizzandosi solo una sostituzione soggettiva (cfr. Cass. n. 16635/2003).
Ne consegue che “la successione di un datore di lavoro ad un altro può attuarsi tramite la cessione del contratto di lavoro col consenso del lavoratore che continua la prestazione della propria opera alle dipendenze del cessionario, con salvaguardia della posizione acquisita presso il cedente ma anche con tutte le limitazioni derivanti dal contratto precedente(compresa (…) l'efficacia di un licenziamento già intimato dal cedente, impugnato ed ancora sub iudice)”.
Pertanto, come giustamente rilevato dai giudici di merito, non era necessario fare riferimento al licenziamento impugnato, non rilevando la circostanza che in sede di cessione del contratto individuale e di sottoscrizione per accettazione del contraente ceduto nessuna delle parti avesse fatto cenno alla preesistenza di una controversia giudiziale pendente tra le parti originarie in ordine ad esso. Ciò in quanto la sostituzione di un terzo ad una delle parti del rapporto ai sensi dell'art. 1406 c.c. assume portata generale, esplicando efficacia con riferimento a tutte le posizioni giuridiche attive e passive, incluse o generatesi nel rapporto, senza necessità di specifica o preventiva individuazione.
In considerazione di quanto sopra esposto la Corte di Cassazione conclude per il rigetto del ricorso presentato dal lavoro e la sua condanna alle spese di lite.
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