Chissà cosa può voler dire aver diritto. Pensiamo per esempio alle assenze ingiustificate.
Cosa c'è di più volontario di non presentarsi al lavoro? Peraltro, la circostanza più grottesca risiede nel non presentarsi al lavoro per una finalità ben precisa ovvero l'ottenimento della c.d. NASpI.
Sia chiaro, chi scrive non ha mai fatto mistero di questa prassi che sta imperversando in Italia sin dal 2012, ovvero da quando la stessa è stata benedetta da Ministero del Lavoro (risposta interpello n. 29/2013 – risposta interpello n. 13/2015) e INPS (circolari n. 140/2012, n. 142/2012 e n. 44/2013).
Di per sé i pareri degli enti volevano solo consegnare un diritto (la NASpI) anche nei casi di licenziamenti disciplinari. Però siamo in Italia e, diciamolo, si vede.
Questa tematica non è di certo passata inosservata al Legislatore attuale che, come noto, sta tentando di porvi rimedio all'interno della discussione del DDL Lavoro.
In ogni caso la magistratura ha già esaminato la questione diverse volte, consegnando un quadro di tendenziale censura. Almeno fino ad oggi quando il Tribunale di Cremona, con la sentenza n. 333 del 15 ottobre 2024, sembra aver cambiato orientamento.
La giurisprudenza precedente
Sul punto vi sono diverse sentenze.
La più caratteristica risulta essere quella del Tribunale di Udine del 27 maggio 2022.
Il caso voleva che si palesasse una assenza ingiustificata di un lavoratore che, malgrado i ripetutiti tentativi di comunicazione da parte della Società, risultava assente ormai da più di sei mesi (un periodo di tempo di gran lunga superiore alle ordinarie previsioni contenute nei contratti collettivi in materia di risoluzione dal rapporto di lavoro senza obbligo di preavviso). Il tutto, diremo, non a caso ma preordinato all'ottenimento dell'ammortizzatore sociale per la cessazione del rapporto.
Il quesito del maggio 2022 era questo: in caso di protratta assenza ingiustificata da parte del lavoratore, a maggior ragione se per periodi di tempo così prolungati, siamo sicuri che stiamo parlando di licenziamento e non di dimissione di fatto (senza la procedura telematica)?
Secondo i giudici friulani la fattispecie in esame è equiparabile alle dimissioni o risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, senza dunque che l'ex dipendente potesse beneficiare della NASpI e, di conseguenza, ritenendo la Società esonerata dal versamento del cosiddetto ticket di licenziamento.
Di fatto il magistrato aveva affermato che “la volontà risolutiva del lavoratore dipendente si sostanziasse, come accaduto nella vicenda al vaglio, in un contegno protrattosi nel tempo e palesatosi in una serie di comportamenti – anche omissivi – idonei ad assicurare un'agevole verifica della sua genuinità”.
Certo, si dirà, una sentenza isolata. Peraltro, complessa dato che dal 2015 la forma delle dimissioni è obbligatoriamente telematica proprio per le questioni di data certa e per evitare quel fenomeno delle dimissioni in bianco che consegnano un quadro di ricatto e brutalità senza precedenti per il diritto del lavoro.
Ciò non di meno vi sono state altre pronunce che, confermando la natura del recesso quale licenziamento, hanno però “corretto” la questione della debenza e pagamento del ticket NASPI in capo all'azienda.
Torniamo sempre ad Udine con l'ordinanza n°106 del 2020. Il Tribunale friulano, in un caso di assenza ingiustificata più contenuto temporalmente, si era espresso favorevolmente alla cosiddetta compensazione atecnica tra il contributo NASpI e la retribuzione dovuta dall'ex-dipendente, a titolo di risarcimento del danno in favore del datore di lavoro (violazione ex. articoli 1175 e 1375 del Codice Civile, rispettivamente dovere di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto).
Volendo riassumere, il Giudice di prime cure ha ritenuto corretta la trattenuta del c.d. ticket dalle competenze di fine rapporto del lavoratore, dato che lo stesso, con il proprio comportamento, ha costretto il datore di lavoro al licenziamento e, pertanto, è causa delle conseguenze economiche del recesso.
Un'ulteriore conferma ed implementazione di tale posizione, si riscontra nella precedente sentenza del Tribunale di Monza del 2 aprile 2019. Il Giudice, in seguito ad una prolungata assenza ingiustificata del lavoratore (peraltro rafforzata dalla successiva instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro con un'altra azienda), aveva ritenuto il comportamento del lavoratore come concludente e, dunque, cessato per manifesta volontà del lavoratore.
Questo fino a Cremona.
La sentenza n. 333 del 15 ottobre 2024 e le criticità future
Il Tribunale di Cremona non è dello stesso avviso dei predecessori. Secondo il Giudice in trattazione il contributo NASpI compete al datore di lavoro e non si ravvede nella norma di legge una possibilità di imputarlo al lavoratore, a nulla rilevando il suo comportamento. Riferisce la sentenza come “il pagamento di tale contributo è previsto ex lege (…) in tutte le fattispecie, come quella in esame, in cui al lavoratore sia stato comminato un licenziamento disciplinare”.
Ne consegue che il datore di lavoro “non può porre a carico del lavoratore il costo di un contributo che è proprio la legge a porre a carico del datore di lavoro anche nei casi, come quello in esame, in cui il licenziamento è stato irrogato a causa della condotta disciplinarmente rilevante del prestatore di lavoro”.
Per carità, il tribunale di Cremona precisa altresì come “in assenza di prova circa le dimissioni del lavoratore, espresse o tacite che siano, il contributo di licenziamento è dovuto”, ammettendo quindi la possibilità di prova circa la dimissioni per fatti concludenti. Ma trattasi di argomentazione diversa da quella in questione ovvero il recupero di un contributo una tantum dovuto in caso di licenziamento “indotto”.
Eccoci qui dunque in balia degli eventi ed in attesa che il presumibile articolo 9 del c.d. Disegno di Legge Lavoro, disponga (se così sarà): “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l'impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.”
Certo, tale disposizione non è priva di incertezze ma almeno ha il merito di voler aggredire un fenomeno che, in qualche carta stampata (non specialistica), viene censurato perché porterebbe alla possibilità di un licenziamento orale.
Portate pazienza ma, per quanto tutto sia possibile, esiste la messa a disposizione formale da parte di quel lavoratore che, ingiustamente, venisse allontanato verbalmente dal luogo di lavoro (o addirittura licenziato oralmente). Il tutto a tutela dei suoi sacrosanti diritti.
Mentre ricordo che non c'è un diritto “universale” alla NASpI. Serve la disoccupazione involontaria e non indotta.
Fonte: Trib. Cremona 15 ottobre 2024 n. 333