martedì 05/11/2024 • 06:00
La stipula di un contratto di lavoro a termine impone il rispetto, oltre che di rigide condizioni di regolarità, anche di alcuni presupposti di validità. Tra questi, l’obbligo della preventiva valutazione dei rischi in applicazione della normativa sulla sicurezza dei lavoratori è costantemente oggetto di contenzioso.
La più recente evoluzione della disciplina sui contratti di lavoro a tempo determinato è stata segnata dalla finalità di consentire un uso più accessibile (ma parimenti responsabile) dell'istituto, agendo sul versante delle clausole appositive del termine di durata al contratto (c.d. causali giustificative), oggi finalmente fruibili in chiave convenzionale grazie al rinvio ai “casi previsti dai contratti collettivi di cui all'articolo 51” (art. 19, c. 1, lett. a).
In coincidenza con una maggiore fruibilità dell'istituto, incoraggiata dalla possibilità di ricorrere a causali giustificative ponderate in sede sindacale (ma lo stesso si può dire per la semplificazione in materia di “rinnovi” dei contratti a termine ex art. 21, c. 01, D.Lgs. 81/2015), torna però a porsi un tema ancora poco esplorato nella gestione aziendale dell'istituto, ma molto presente nel contenzioso del lavoro, rappresentato dalle conseguenze del mancato rispetto del divieto di stipulare contratti a termine qualora il datore di lavoro non abbia effettuato la valutazione dei rischi secondo la normativa di sicurezza.
Questo divieto – che trova le sue radici nella necessità di proteggere i lavoratori, soprattutto quando la natura temporanea del rapporto riduce la loro familiarità con l'ambiente lavorativo – necessita di una peculiare attenzione, atteso che la mancanza di un DVR aggiornato prima dell'assunzione a termine può, sovente, invalidare il contratto di lavoro, trasformandolo in un rapporto a tempo indeterminato.
Divieto e conseguenze giuridiche
La norma di riferimento è richiamata nell'art. 20, co. 1, d.lgs. n. 81/2015, che sancisce espressamente il principio secondo cui “L'apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa: (…) d) da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.
Segue il comma 2, secondo cui “In caso di violazione dei divieti di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato”.
La portata pervasiva della norma risente dell'evoluzione giurisprudenziale, affatto marginale, che da sempre caratterizza il contratto a termine.
Va ricordato, infatti, che la disciplina previgente a quella attualmente in vigore (D.Lgs. 368/2001) si limitava a porre il divieto di stipula del contratto a termine, senza disporre la sanzione in caso di violazione dell'adempimento sulla valutazione dei rischi. Per questa ragione, la giurisprudenza ha dovuto elaborato un orientamento che – partendo dalla natura di “norma imperativa” della disposizione in esame, e come tale “inderogabile” in sede di pattuizione individuale e collettiva, stante il valore superiore che esprime – era giunto a ritenere che l'effetto civilistico della violazione del divieto di stipulare un contratto a termine in assenza della valutazione dei rischi fosse la “nullità della clausola di apposizione del termine”, comportandone la trasformazione ex legedel contratto di lavoro da tempo determinato in tempo indeterminato.
L'attuale art. 20, comma 2, cit. ha, quindi, codificato l'indirizzo giurisprudenziale sottolineando la perentorietà della “trasformazione” del contratto in caso di violazione del divieto.
Le conseguenze della mancata effettuazione della valutazione dei rischi, in applicazione della normativa sulla salute e sicurezza dei lavoratori, rendono innanzitutto opportuna una precisazione di carattere sistematico. È noto, infatti, che l'obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro viene scomposto dal D.Lgs. n. 81/2008 (Testo Unico della Sicurezza sul lavoro) in una serie di specifici adempimenti. Tra questi, il momento che potremmo definire fondamentale è quello del Sistema di Prevenzione e Protezione, che consiste proprio nella valutazione dei rischi connessi allo svolgimento della prestazione lavorativa.
Si può quindi ritenere che l'osservanza della norma possa essere soddisfatta con il possesso da parte del datore di lavoro del Documento di valutazione dei rischi (DVR) redatto e aggiornato ai sensi degli artt. 17 e 28 del T.U. ex D.lgs. 81/2008.
Il contenuto del divieto
L'analisi della elaborazione giurisprudenziale e della prassi ispettiva attorno a questo delicato tema può servire a chiarire alcuni dubbi empirici, e a formulare delle conclusioni apparentemente non scontate.
È il caso di ricordare che, per effetto delle più recenti modifiche normative, il Legislatore ha inteso riattribuire all'Ispettorato Nazionale del Lavoro, accanto alle ASL, la piena competenza in materia di vigilanza delle norme di sicurezza c.d. preventiva, competenza che in passato era limitata a talune materie e settori sensibili come l'edilizia; facendo coincidere, con tale scelta, la creazione di un apposito nucleo operativo di ispettori c.d. tecnici.
Dunque, l'accertamento del rispetto dell'art. 20, co. 1, cit. da parte dei datori di lavoro che concludono contratti di lavoro a tempo determinato rientra, oggi, tra le verifiche ispettive più frequenti; e solleva legittime cautele sulle modalità attraverso cui dare osservanza alla norma de qua onde scongiurare il rischio di “trasformazione” del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato in caso di violazione del divieto.
L'attività di vigilanza in sede ispettiva si concretizza solitamente con la richiesta di esibizione del DVR, e lo stesso si può dire rispetto all'istruttoria che conduce il Giudice del lavoro qualora sia chiamato a vagliare la legittimità di un contratto a termine, anche rispetto all'osservanza del divieto ex art. 20, D.lgs. 81/2015 de qua.
E dunque, quali utili accorgimenti?
L'azienda che assume un lavoratore con contratto a termine – onde evitare che questo venga trasformato ab origine in un contratto a tempo indeterminato – dovrà essere in grado di fornire prova all'autorità richiedente (il funzionario ispettivo o il Giudice) dell'esistenza delle condizioni legittimanti l'instaurazione del rapporto a termine “sin dall'origine”. Secondo il dettato giurisprudenziale, infatti, “ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi dell'articolo 1339 c.c. e articolo 1419 c.c., comma 2” (Cass. n. 21683/2019).
Sarà importante, dunque, non soltanto avere un DVR costantemente aggiornato, ma anche conservare lo storico del DVR: pur trattandosi, cioè, di un documento “dinamico”, e come tale soggetto a continue modifiche e accorgimenti in occasione di novità rilevanti nel contesto aziendale (es. nuove assunzioni, nuovi macchinari, e ogni altra novità idonea a modificare l'assetto dei rischi potenziali di infortunio sul lavoro), è sempre opportuno che del DVR si conservino le varie “copie di data certa”, di modo che si possa comprovare – in sede di contestazione ispettiva o di istruttoria giudiziale – il rispetto della condizione di (in)validità statuito all'art. 20, co.1, d.lgs. n. 81/2015 sin dalla instaurazione del rapporto di lavoro a tempo determinato.
Diverso è il discorso per ciò che concerne il contenuto del DVR e l'onere di provarne la regolarità e l'adeguatezza rispetto ai rischi in materia di salute e sicurezza accertati.
Qui la prassi ispettiva e giudiziale si fa meno pervasiva.
Si ritiene, infatti, che la condizione di (in)validità dell'instaurazione di un contratto a termine dettata dall'art. 20, co. 1, lett. d, si perfezioni all'atto della esibizione da parte del datore di lavoro del DVR, trattandosi di un elemento di prova da dedurre in modo meramente formale: per non incorrere nel divieto, cioè, è sufficiente produrre il DVR di data certa e antecedente all'assunzione.
L'assunto determina un equilibrato riparto dell'onere probatorio.
Sul datore di lavoro, infatti, grava soltanto l'obbligo di “provare l'avvenuta produzione del DVR pro tempore”, che si limita, cioè, al contegno di esibire il DVR (in giudizio o in sede ispettiva); mentre, invece, grava invece sul soggetto interessato – e cioè il lavoratore che abbia intentato un'azione giudiziale ovvero il funzionario ispettivo in sede di accertamento – dimostrare l'inadeguatezza di tale documento a fronte di modifiche rilevanti nell'organizzazione lavorativa (Cass. n. 16835/2019; Trib. Genova n. 15/2022).
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Paola Martinucci
- Consulente del lavoro e RSPPRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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