Negli ultimi mesi sta affiorando sempre più la questione della retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie.
Sulla base di recenti sentenze – peraltro derivanti da decisioni della Corte di Giustizia Europea – i giudici italiani hanno applicato il principio giuridico che, nel periodo feriale, “…dovrà essere corrisposto qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore…”.
La ratio del ragionamento, in sostanza, è evitare effetti dissuasivi verso il lavoratore che potrebbe, per evitare riduzioni del suo stipendio mensile, rinunciare ad esercitare il suo diritto alle ferie, così importante per il reintegro delle energie psico fisiche e quindi per la sua sicurezza.
Ricordano i giudici del lavoro italiani (gli stessi principi usati nella recentissima vicenda del rientro in Italia dei profughi stranieri spostati in Albania) che le sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull'ordinamento nazionale e che, conseguentemente, il magistrato è tenuto ad una interpretazione conforme alle finalità perseguite dal diritto comunitario.
In applicazione dei suddetti principi, sono stati sul punto travolti diversi contratti collettivi di lavoro, soprattutto rispetto alla questione delle indennità, che, in alcuni casi, presenta importanti quote di retribuzione (trasporto aereo, autoferrotranvieri, autostrade, ecc.).
La recente giurisprudenza
Gli effetti di tali postulati potrebbero allargarsi anche ulteriormente: una recente sentenza (Cassazione n. 25840 del 2024), nell'ambito del ragionamento complessivo, sembrerebbe ampliare il concetto anche ai ticket mensa, sinceramente con qualche perplessità.
I ticket mensa (i buoni pasto, o le indennità sostitutive) sono tradizionalmente esclusi dalla retribuzione feriale, per una serie di motivi. Intanto per la loro natura: la correlazione è l'esigenza di consumare un pasto, peraltro laddove la prestazione lavorativa sia ricompresa in un arco temporale “coerente”; è notorio il fatto che il ticket non è dovuto ad un part time orizzontale che lavori ad esempio solo la mattina, senza che questo possa essere configurato come un trattamento discriminatorio rispetto ad un full time (uno degli altri temi caldi del rapporto tra diritto europeo e diritto italiano).
Da un punto di vista fiscale, peraltro, tali strumenti non hanno natura retributiva, non ponendosi in rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa; diventa quindi difficile immaginare che possano diventare elementi normali della retribuzione. Cosa succederebbe concretamente nelle busta paga dei lavoratori se passasse questo principio?
Se è vero che i buoni pasto rappresentano un vantaggio per i datori di lavoro, essendo interamente deducibili, lo stesso vale per i lavoratori, essendo gli stessi interamente esentasse, con l'ulteriore beneficio di poter spendere l'intero loro valore anche per fare la spesa nei supermercati.
Inoltre, rispetto ad un altro dei principi giuridici sopra richiamati, il ticket mensa non è ovviamente “correlato allo status professionale” del lavoratore.
È bene pertanto che la specifica fattispecie sia attentamente valutata, prima di arrivare a conclusioni: al momento si tratta solo di una pronuncia generica e non motivata sul punto. Si parla di somme di una certa rilevanza: immaginando un ticket restaurant di 7 euro ed un numero di ferie annue di 24 giorni, il diritto al risarcimento sarebbe pari a 168 euro per ogni anno per ogni singolo lavoratore, da moltiplicare per l'intera vita lavorativa del dipendente.
Sembrerebbe che il mondo sindacale sia in fibrillazione e stia valutando la possibilità di contenziosi collettivi sulla materia: sarà interessante vedere gli sviluppi della vicenda.
Rapporto tra ticket restaurant e smart working
Infine, un ultimo aspetto che tocca il rapporto tra i ticket restaurant e lo smart working.
In estrema sintesi, se è sicuramente possibile concedere buoni pasto a lavoratori in lavoro agile, attraverso accordi collettivi tra le parti sociali, la giurisprudenza nega il diritto assoluto a riceverli. Secondo Cassazione n. 31137 del 2019 “…il buono pasto è un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell'ambito dell'organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita, laddove non sia previsto un servizio mensa, la fruizione del pasto al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell'attività lavorativa”.
Questo concetto si attaglia perfettamente anche al “non diritto” di percepire il ticket mensa durante il periodo feriale, così come finora pacificamente successo: i principi del diritto europeo potrebbero però invertire la rotta.
Fonte: Cass. 27 settembre 2024 n. 25840