sabato 19/10/2024 • 06:00
Illegittimo il licenziamento disciplinare intimato a un dipendente che pubblica su Facebook commenti diffamatori, denigratori e offensivi verso il proprio datore di lavoro, proferiti in una situazione in cui il rischio di un evento, più volte denunciato, si è verificato. A stabilirlo è la Corte di Cassazione.
Nella fattispecie di cui all'ordinanza n. 26446 del 10 ottobre 2024 della Cassazione una società aveva azionato, con lettera del 7 maggio 2019, un procedimento disciplinare nei confronti di una propria dipendente rea di aver pubblicato, il precedente 4 aprile, sul suo profilo Facebook “frasi altamente denigratorie, offensive e diffamatorie nei confronti della società e, in particolare, verso la persona dell'amministratore delegato”.
I fatti oggetto dell'addebito erano inquadrabili nelle vicende legate alla salubrità degli ambienti della palazzina che ospitava, oltre ad una sessantina di dipendenti amministrativi, in aggiunta al personale addetto all'impianto - l'impianto di potabilizzazione della società.
All'esito del procedimento disciplinare veniva intimato, con lettera del 31 maggio 2019, alla lavoratrice il licenziamento disciplinare, che la stessa aveva impugnato in giudizio.
In primo grado il suo ricorso era stato rigettato, sia in fase sommaria che in fase di opposizione ex Legge n. 92/2012, mentre in appello il licenziamento era stato annullato.
La Corte distrettuale, nel formulare la sua decisione, aveva rilevato che:
I giudici di merito, ritenendo sussistente l'esimente ex art. 599 c.p. (avendo commesso il fatto nello stato di ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso), aveva escluso che:
I giudici di merito erano giunti alla conclusione che i fatti addebitati (i) non integravano la nozione legale di giusta causa o giustificato motivo soggettivo e (ii) potevano essere inquadrati come comportamenti lesivi della dignità della persona, anche in ragione della condizione sessuale, puniti dal CCNL di settore con una sanzione conservativa.
Pertanto, ad avviso della Corte, doveva trovare applicazione la tutela reintegratoria attenuata ex comma 4 dell'art. 18 della L. 300/1970, con il riconoscimento alla lavoratrice dell'indennità risarcitoria nella misura massima delle 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, non dovendo essere detratta nulla a titolo di aliunde perceptum. La lavoratrice aveva trovato una nuova occupazione dopo i 12 mesi dal licenziamento e la NASPI, percepita medio tempore, non poteva essere considerato reddito da lavoro.
La società soccombente ricorreva in cassazione a cui resisteva la lavoratrice; le parti depositavano memorie.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, investita della causa, osserva in primo luogo che il CCNL di settore prevede il licenziamento senza preavviso per i dipendenti che commettono “infrazioni alla disciplina e alla diligenza del lavoro (…) così gravi da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto di lavoro o che commettono azioni che costituiscono delitto a termine di legge, anche non specificatamente richiamate nel presente Contratto”, come, ad esempio, il dipendente che “pone in essere gravi comportamenti lesivi della dignità della persona in ragione della condizione sessuale”.
Ciò detto, con riferimento alla doglianza della società per non aver i giudici di merito ritenuto il fatto addebitato alla lavoratrice ascrivibile come delitto, la Corte di Cassazione sottolinea che l'accertamento da parte del giudice civile circa l'esistenza del delitto deve essere condotto secondo la legge penale (cfr Cass. n. 1643/2000; Cass. n. 20684/2009), accertandone l'esistenza, nei suoi elementi obiettivi e soggettivi, ed individuandone l'autore (cfr. Cass. n. 13425/2000). E la Corte distrettuale si è mossa in tal senso, rilevando che nel caso di specie il fatto contestato è da considerarsi uno “sfogo” legato alla particolare emotività determinata da un accadimento contingente che la lavoratrice, non irragionevolmente, aveva ritenuto potersi essere realizzato e, secondo lei, ingiustamente minimizzato dalla datrice di lavoro.
In altri termini, si è in presenza di un fatto ritenuto ingiusto la cui responsabilità è in capo alla datrice di lavoro, con una reazione istantanea da parte della lavoratrice che era comunque coinvolta essendo rimasto infortunato nell'evento il marito e, quindi, in presenza di uno stato d'ira.
Passando poi alla doglianza della società per cui i giudici di merito non avevano ritenuti sussistenti neanche gli estremi della insubordinazione, la Corte di Cassazione sottolinea che, in tema di licenziamento disciplinare, la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma ricomprende qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l'esecuzione e il corretto svolgimento delle stesse nel quadro dell'organizzazione aziendale. E nel caso in esame, non vi era stata una inosservanza di disposizioni interne dettate dal datore di lavoro circa l'uso di beni aziendali con la messa in discussione, dell'autorità dei suoi preposti. Gli addebiti concernevano l'uso di espressioni, obiettivamente offensive e diffamatorie, proferite in una situazione in cui il rischio di un evento, più volte denunciato, si era verificato.
Confermata così l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato alla lavoratrice, la Corte di Cassazione, affronta il tema della tutela applicabile tra quelle previste dall'art. 18, commi 4 e 5, della L. 300/1970, osservando che l'operato dei giudici di merito è in linea con l'orientamento giurisprudenziale secondo cui al fine di selezionarla “il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l'illecito con sanzione conservativa, né detta operazione di interpretazione e sussunzione trsasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo”.
Infatti, la Corte distrettuale ha ritenuto la condotta della lavoratrice rientrante nell'ipotesi di “chi pone in essere comportamenti lesivi della dignità della persona, anche in ragione della condizione sessuale”, puniti con la sanzione conservativa della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione. Ciò in quanto, il fatto accertato è stato sì considerato dalla Corte distrettuale come offensivo ma non punibile come delitto e, quindi, rientrante nelle fattispecie sanzionate con il licenziamento senza preavviso.
Con riferimento, infine, all'eccezione sollevata dalla società per cui i giudici di merito non avevano considerato, ai fini dell'aliunde perceptum, i redditi di lavoro percepiti dalla lavoratrice nel periodo di oltre 12 mesi dal licenziamento, la Corte di Cassazione ritiene che la decisione di secondo grado sia conforme ai suoi precedenti. Precedenti secondo i quali “in base all'art. 18, comma 4, della L. 300/1970 (…) la determinazione dell'indennità risarcitoria deve avvenire attraverso il calcolo dell'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, a titolo di “aliunde perceptum” o “percipiendum”, e, comunque, entro la misura massima corrispondente a 12 mensilità, senza che possa attribuirsi rilievo alla collocazione temporale della o delle attività lavorative svolte dal dipendente licenziato nel corso del periodo di estromissione: se il risultato di questo calcolo è superiore o uguale all'importo corrispondente a 12 mensilità della retribuzione, l'indennità va riconosciuta in misura pari a tale tetto massimo” (cfr. Cass. 3824/2022; Cass. n. 3823/2022).
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso della società e la condanna al pagamento delle spese di lite.
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Chiara Ciccia Romito
- PhD - Avvocato - Consulente Commissione Parlamentare Inchiesta Condizioni di LavoroRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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