lunedì 21/10/2024 • 06:00
Il distacco del lavoratore è oggetto di un costante aggiornamento nelle linee di indirizzo sia della prassi amministrativa e ispettiva, in ragione delle interconnessioni con il regime sanzionatorio della somministrazione illecita, sia della giurisprudenza di merito e di legittimità, per delinearne i requisiti.
Il distacco – quale eccezione (unitamente alla somministrazione) al principio di coincidenza tra il datore di lavoro giuridico e l'effettivo utilizzatore della prestazione di lavoro – si configura quando “un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa” (art. 30, d.lgs. n. 276/2003). Sui presupposti di legittimità del distacco delineati in questa disposizione – l'interesse del datore di lavoro al distacco e la temporaneità del medesimo – e sulle conseguenze sanzionatorie di una pratica di distacco illecito, la giurisprudenza ha fornito un contributo decisivo, delineando, specie con gli ultimi indirizzi, una configurazione dell'istituto molto più precisa e utile per le imprese che intendano ricorrervi.
Presupposti di legittimità e “nuovi confini” disegnati dalla giurisprudenza
Al fine di evitare che il distacco configuri una interposizione di manodopera, soccorre, innanzitutto, il requisito dell'interesse del datore di lavoro al distacco.
Sotto questo profilo, il consolidato orientamento della Cassazione, partendo dall'assunto secondo cui deve trattarsi di un interesse chiaramente imprenditoriale (riconducibile a ragioni produttive, organizzative commerciale, etc.), ha precisato come tale interesse possa essere anche di natura non economica o patrimoniale in senso stretto ma di tipo solidaristico, purché non si risolva in una mera somministrazione di manodopera (Cass. 26 aprile 2006, n. 9557; e, prima ancora della normativa di riferimento, Cass. 17 gennaio 2000, n. 594).
Sulla stessa linea interpretativa, anche la prassi amministrativa ha avallato l'ipotesi che l'interesse dell'impresa distaccante possa configurarsi nella necessità di non disperdere il patrimonio professionale e di evitare ai lavoratori la cassa integrazione guadagni in attesa della ripresa dell'attività produttiva (cfr. Circ. Min. Lavoro 24 giugno 2005, n. 24, mai superata).
Proprio con riferimento a quest'ultimo ambito, nell'indirizzo della giurisprudenza di legittimità si registra un nuovo aggiornamento nella definizione del c.d. interesse legittimo al distacco.
Considerato che il distacco integra un'ipotesi di utilizzo alternativo del lavoratore, posto temporaneamente a disposizione di un altro soggetto, la Cassazione – avallando un orientamento che, fin qui, era valso soprattutto per il distacco tra imprese di un medesimo gruppo (Cass. 21 aprile 2016, n. 8068) – ha più recentemente affermato che il fondamento giuridico del distacco può anche sostanziarsi nell'interesse per il datore di lavoro di favorire la crescita professionale del proprio dipendente, intesa quale acquisizione di capacità lavorative differenti, tanto più in situazioni di concreta crisi aziendale che lo avrebbero costretto alla inattività con il concreto rischio di indurlo alla ricerca di una nuova collocazione. In fattispecie del genere, infatti, inviando il dipendente presso un'altra impresa, anche a svolgere mansioni differenti da quelle espletate in forza del contratto di lavoro in essere, il distaccante ottiene una duplice utilità “propria”: il lavoratore non resta inattivo (con detrimento della propria professionalità) e, al contempo, accresce il proprio bagaglio professionale, acquisendo pratiche diverse che potrà mettere a disposizione del datore di lavoro una volta terminato il distacco (Cass. 11 settembre 2020, n. 18959).
Con questo recente indirizzo, la Suprema Corte sposta in avanti il confine dell'utilità della prestazione resa dal lavoratore distaccato presso un'altra impresa; confine che non necessariamente deve coincidere con le esigenze produttive, ma che, anzi, può configurarsi in una circostanza non del tutto coincidente con le ragioni imprenditoriali, superando così quell'impostazione che riteneva invece necessaria la sussistenza di un interesse di “natura oggettiva” volto a fronteggiare esigenze produttive o organizzative del distaccante, e come tale non estraneo al sinallagma negoziale.
L'interesse del distaccante, dunque, può palesarsi nel mantenimento del rapporto di lavoro con il dipendente, così da collocare l'effettiva utilizzazione della prestazione lavorativa da parte del terzo in una dimensione neutra rispetto agli interessi del distaccante; sempreché, ovviamente, alla luce delle risultanze concrete, non si verta nella mera somministrazione di lavoro.
Effetti del distacco contra legem nei rapporti di lavoro: tra tutela costitutiva e tutela risarcitoria
In ordine agli effetti del distacco organizzato in assenza di uno o più requisiti previsti dall'art. 30, d.lgs. n. 276/2003 cit., va messa in risalto la distinzione tra i commi 1 e 3 ai fini della corretta articolazione delle tutele “differenziate” in favore del lavoratore distaccato contra legem.
Il comma 4-bis, infatti, prevede espressamente che soltanto per le ipotesi di violazione dei requisiti di legittimità richiesti dal comma 1 (interesse temporaneo al distacco), il lavoratore distaccato possa chiedere, mediante ricorso giudiziale, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del distaccatario (tutela costitutiva).
La disposizione ripropone quasi interamente il dettato normativo in materia di somministrazione irregolare, confermando la tesi della “simmetria” tra distacco e somministrazione, e relativi impianti sanzionatori: la carenza dell'interesse del distaccante, quale fondamento dell'istituto giuridico, determina una mera messa a disposizione di personale in favore del distaccatario, e dunque un'ipotesi di interposizione vietata di manodopera, con conseguente costituzione del rapporto di lavoro in capo all'effettivo utilizzatore (Trib. Napoli 2 ottobre 2019, n. 6082).
Diversa, invece, è la violazione dei limiti contenuti nel comma 3 della stessa norma. Sia il consenso del lavoratore al distacco che comporti un mutamento di mansioni sia la sussistenza delle comprovate ragioni aziendali per le ipotesi di distacco oltre i 50 km, non costituiscono presupposti di legittimità della fattispecie: essi, se e quando richiesti, operano sul piano del rapporto, quali limiti esterni in grado di interferire sull'esercizio del potere unilaterale del datore di lavoro. In tale ambito, in assenza di un'esplicita indicazione legislativa, si ritiene applicabile una tutela meramente risarcitoria (Cass. 17 settembre 2020, nn. 19414 e 19415; Cass. 18 settembre 2020, n. 19613).
Con una interpretazione logico-sistematica dell'impianto sanzionatorio, dunque, l'indagine sulla legittimità dell'istituto del distacco si disarticola distinguendo tra accertamento dei presupposti fondamentali della fattispecie (comma 1) e verifica delle modalità spazio-temporali attraverso cui il distacco si realizza (comma 3), potendosi così ritenere che soltanto nella prima ipotesi, ritenuta più grave, dell'assenza dei requisiti dell'interesse datoriale e della temporaneità si prefiguri la tutela di tipo “costitutivo” del rapporto di lavoro in capo al distaccatario, mentre invece l'assenza dei requisiti dettati dal comma 3, in quanto afferenti non alla struttura dell'istituto ma alle sue modalità di attuazione, resta suscettibile di una tutela meno forte, di tipo “risarcitorio”.
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