venerdì 04/10/2024 • 06:00
Al Convegno Nazionale UNGDCEC 2024 si affronta anche la composizione negoziata. Al fine di salvaguardare la continuità aziendale, anche in stato di crisi o di insolvenza, la combinazione tra lo strumento della composizione negoziata della crisi e quello dell'affitto dell'azienda o di un ramo aziendale può, al netto delle necessarie autorizzazioni, risultare vincente.
La composizione negoziata
Ai sensi dell'art. 12 c. 1 D.Lgs. 14/2019, come modificato dal decreto correttivo-ter del Codice della crisi, reso in attuazione della L. 20/2019 e L. 53/2021, il presupposto oggettivo per l'accesso alla composizione negoziata è rappresentato dall'esistenza di uno stato di crisi o di insolvenza o anche soltanto quando ricorra uno “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rende probabile la crisi o l'insolvenza”, purché risulti “ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa”. Dunque, lo strumento della composizione negoziata consente all'impresa, che si trovi nelle condizioni sopra indicate, non soltanto di preservare la condizione di continuità aziendale di cui eventualmente essa gode nonostante le difficoltà, ma anche di ripristinare tale condizione, mediante la conduzione di trattative con i creditori agevolate dall'intervento dell'esperto, che consentano di risolvere la situazione di crisi.
La modifica sembra risolvere il contrasto giurisprudenziale sorto in merito alla possibilità che potesse accedere alla composizione negoziata anche l'imprenditore insolvente o meno. Una parte della giurisprudenza, infatti, ha avallato la tesi secondo la quale l'accesso alla composizione negoziata dovesse negarsi all'imprenditore insolvente, perché appunto l'art. 12 CCII, prima del correttivo- ter, faceva riferimento solo alla probabilità che si verificasse la crisi o l'insolvenza dell'impresa o perché l'art. 21 CCII discorre dello stato di insolvenza emerso nel corso della composizione, e non al momento dell'apertura
Di contro, altra giurisprudenza prevalente si è orientata in senso opposto (Trib. Arezzo 16 Aprile 2022 e Trib. Bologna 8 novembre 2022) non escludendo che un imprenditore già in crisi, o addirittura già insolvente, potesse chiedere la nomina dell'esperto. E ciò perché il focus, anche rispetto alla conferma delle misure protettive, va posto, non tanto sul momento di partenza della composizione negoziata, quanto piuttosto sull'obiettivo finale, che è quello del risanamento. Del resto, secondo tali pronunce, anche lo stato di liquidazione societaria non è, in sé, incompatibile con la composizione negoziata, ma lo è, invece, la sussistenza di un'insolvenza irreversibile e l'assenza di una concreta prospettiva di risanamento.
In presenza di insolvenza irreversibile, dunque, pare pacifico affermare come sia del tutto superfluo discutere di risanamento, e, a maggior ragione, di misure protettive, funzionali a tal scopo (Trib. Roma 10 ottobre 2022).
Pertanto, soltanto nel caso in cui vi sia l'esistenza di concrete prospettive di risanamento dell'impresa potrà essere intrapreso il percorso della composizione negoziata. L'art. 17 comma 5 del DLgs. 14/2019 prevede infatti che l'esperto valuti l'esistenza di concrete prospettive di risanamento e, in caso positivo, stimoli l'imprenditore ad avviare le trattative con le parti interessate, mentre, in caso negativo, dia notizia all'imprenditore e al segretario generale della camera di commercio per l'archiviazione della pratica. La condizione di risanabilità dell'impresa, che si sostanzia quindi nella conservazione o nel ripristino della continuità aziendale, è inoltre fondamentale affinché vengano confermate dal tribunale le misure protettive e cautelari richieste dall'imprenditore. Anche in questo caso l'esperto dovrà esprimere il proprio parere in ordine alla sussistenza della praticabilità di concrete prospettive di risanamento. Soltanto qualora non dovesse risultare possibile concretizzare piani di risanamento in grado di conservare o ripristinare la continuità aziendale, il percorso della composizione negoziata dovrà essere interrotto proprio per mancanza del presupposto oggettivo per l'accesso a tale strumento, conducendo ad esiti alternativi.
L'affitto d'azienda rappresenta uno degli strumenti a cui può ricorrere l'impresa che versi nella condizione di squilibrio ex art. 12, comma 1, DLgs. 14/2019. A tal proposito è d'uopo porre un focus sulle autorizzazioni di cui all'art. 22, DLgs. 14/2019. L'intervento autorizzativo da parte del tribunale ai sensi del citato articolo è riservato esclusivamente a due casistiche: quella in cui l'imprenditore intenda contrarre, con terzi o con soci, finanziamenti assistiti dalla prededuzione; e quella in cui intenda trasferire in qualsiasi forma l'azienda o uno o più rami di essa senza gli effetti di cui all'art. 2560 comma 2 c.c.. L'autorizzazione si dimostra necessaria in ordine alle suddette casistiche in quanto si tratta di operazioni che possono risultare decisive per la continuità aziendale oltre a generare una maggiore influenza sui diritti dei creditori. L'art. 22, comma 1, lettera d), DLgs. 14/2019, stabilisce espressamente che il trasferimento dell'azienda possa essere realizzato mediante qualunque forma e quindi, anche previa concessione in affitto dell'azienda o dei suoi rami, in deroga al principio di solidarietà di cui all'art. 2560 comma 2 c.c., ovvero senza che si produca la responsabilità solidale del cessionario per i debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, che risultino dai libri contabili obbligatori.
L'affitto d'azienda nell'ambito della composizione negoziata sottostà ad un regime informativo (art. 21, DLgs. 14/2019), ma è discusso che sia oggetto del regime autorizzativo ex art. 22, D.Lgs. 14/2019, non tanto perché l'affitto non rientrerebbe nella nozione di “trasferimento” quanto piuttosto perché l'effetto principale dell'autorizzazione del tribunale, costituito dalla deroga all'art. 2560, comma 2, c.c., in relazione all'affitto perde di significato, e tanto visto che, l'art. 2560 c.c. non trova applicazione all'affitto di azienda. Si ritiene, dunque, che la disciplina di riferimento sia quella relativa appunto agli atti di “straordinaria amministrazione” soggetti al regime informativo che obbliga l'imprenditore, ai sensi dell'art. 21, comma 2, CCII, ad informare preventivamente l'esperto, il quale dovrà verificare se l'atto possa arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento.
Il Tribunale di Piacenza, invero, con sentenza del 1° giugno 2023, ha dichiarato inammissibile la richiesta di autorizzazione alla stipula di contratto di affitto di azienda anche relativamente al cd. affitto ponte, finalizzato alla successiva cessione dell'intero complesso aziendale a favore del conduttore. Le motivazioni adottate dal Tribunale si basavano sul fatto che l'autorizzazione avrebbe avuto quale unico effetto quello della deroga alla responsabilità solidale, ex art. 2560, comma 2, c.c., difatti già garantita dall'affitto, senza ravvisare alcuna funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori o alla continuità aziendale, non consentendo neppure la verifica del principio di competitività.
Esperto: figura terza ed indipendente
Può spesso verificarsi il caso in cui il contratto di affitto di azienda venga stipulato ante presentazione della istanza per la nomina dell'esperto indipendente ai fini dell'accesso della composizione negoziata. Chiaramente anche in questo caso l'operazione non è oggetto di autorizzazione, che casomai sarà necessario richiedere per la successiva vendita in corso di procedura.
In tale contesto, giova ricordare che l'esperto è una figura terza ed indipendente, che non si sostituisce all'imprenditore, né lo surroga nell'ordinaria gestione dell'impresa, ma lo affianca, indicandogli ciò che meglio risponde all'interesse della realtà aziendale, senza ledere gli interessi dei creditori. Pertanto, nell'ambito dell'affitto d'azienda, l'esperto dovrà soprattutto verificare che i proventi consentano la sostenibilità del debito. Così come nella cessione d'azienda, si terrà conto del fatto che, a fronte di una continuità aziendale che distrugge risorse, dell'indisponibilità dell'imprenditore a immettere nuove risorse, dell'assenza di valore del compendio aziendale, le probabilità che l'insolvenza sia reversibile sono assai remote indipendentemente dalle scelte dei creditori, e dunque in questi casi è inutile avviare le trattative.
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Carlo Bertoncello
- Dottore Commercialista e Partner Bertoncello BPARimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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