La legge delega n. 111/2023, di riforma del sistema fiscale, non poteva trascurare il tema del processo tributario, nonostante nel corso del 2022 sia stata apportata un'importante riforma che - come è noto - ha toccato prevalentemente gli aspetti ordinamentali nella prospettiva di qualificare l'organo giudicante. Se da un lato, quindi, si è istituita la magistratura tributaria togata, che nell'arco circa di un decennio sarà pienamente operativa grazie alla progressiva fuoriuscita degli attuali componenti delle Corti di giustizia tributaria e all'immissione in ruolo dei nuovi giudici reclutati mediante concorso, dall'altro occorreva intervenire con modifiche sul rito, tali da rendere la giustizia tributaria più rapida ed efficace.
I criteri direttivi, contenuti nella citata delega, in merito alla “revisione del contenzioso” sono numerosi e investono vari aspetti del rito. Tra questi ci limitiamo a segnalare quelli che sono ispirati all'esigenza di ridurre sensibilmente i tempi necessari per la conclusione della controversia e, cioè, il potenziamento dell'informatizzazione del giudizio, il rafforzamento del divieto di produzione di documenti nel secondo grado, l'obbligo di comunicare alle parti il dispositivo del provvedimento adottato entro 7 giorni dalla deliberazione di merito e, da ultimo, non per minore importanza, il coordinamento degli istituti a finalità deflativa operanti nella fase antecedente la costituzione in giudizio con la nuova disciplina dell'autotutela.
Tralasciando di descrivere le modalità con cui sono stati attuati i primi criteri direttivi esposti in precedenza, occupiamoci specificamente di quello da ultimo citato; criterio che – come detto - è stato attuato con l‘abrogazione dell'istituto del reclamo/mediazione di cui all'art. 17 bis D.Lgs. 546/92.
La principale criticità dell'istituto: la mancanza del mediatore quale soggetto terzo
Al riguardo giova premettere che il reclamo/mediazione è stato introdotto nel 2011, con il precipuo scopo di limitare l'accesso alla fase giurisdizionale per quelle pretese fiscali di importo contenuto che finiscono per “intasare” le Corti di giustizia tributaria. Come è noto, la normativa ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, in quanto, secondo la Consulta, l'introduzione di una fase preprocessuale è frutto di un corretto esercizio della discrezionalità legislativa non censurabile, né sul piano del diritto alla tutela giurisdizionale, né su quello del rispetto del principio di uguaglianza e ragionevolezza (sent. n. 98/2014 e n. 38/2017). La mediazione tributaria è, in particolare, giustificata sia da esigenze di ordine generale, quali quelle di un meno dispendioso soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di dette controversie, sia da finalità superiori di giustizia, quali la riduzione del numero dei processi attivabili dinanzi le Corti di giustizia tributaria.
La critica più marcata che è stata più volte rivolta dalla dottrina all'istituto della mediazione è che nella sua configurazione è mancata la figura del mediatore quale soggetto terzo. Il riesame è, infatti, gestito da una struttura autonoma dell'Amministrazione finanziaria, diversa da quella che ha emesso l'atto, la quale - al di là della differente ampiezza dei presupposti previsti dalla legge per giungere alla chiusura della controversia (incertezza delle questioni controverse, grado di sostenibilità della pretesa e principio di economicità dell'azione amministrativa, valutabili solo in sede di mediazione) - non è stata in grado di differenziare l'atteggiamento tenuto dai funzionari rispetto a quello adottato in occasione degli istituti deflattivi che operano nel procedimento.
Anche per questa ragione, i risultati concreti sono stati poco soddisfacenti (nel 2021 solo il 6.7% di istanze si è chiuso con un accordo), come peraltro testimonia l'introduzione di provvedimenti di definizione delle liti fiscali pendenti, da ultimo contenuti nella Legge di Bilancio 2023.
Le ragioni su cui si fonda la scelta di abrogare l'art. 17 bis
Orbene, l'abrogazione dell'istituto della mediazione contenuta nello schema di decreto attuativo, già ricavabile chiaramente dalla legge delega (nonostante l'utilizzo del termine “coordinamento”), deve essere analizzata nel contesto delle modifiche (non solo quelle sull'autotutela come dispone la legge delega) apportate al sistema di attuazione dei tributi; modifiche che hanno un impatto sull'eventualità di avvio della fase processuale.
Oltre al rafforzamento dell'istituto dell'autotutela, la riforma fiscale del 2023 interviene – con un chiaro intento di stimolarne l'applicazione – anche sull'istituto dell'accertamento con adesione, il quale ha la medesima finalità di contenere l'intervento del giudice per la risoluzione delle controversie tributarie.
Considerata in modo isolato, quindi, la decisione di “far saltare” la fase del reclamo e della mediazione potrebbe apparire poco ragionevole, in quanto limitativa di una possibilità difensiva del contribuente anticipata rispetto alla discussione in giudizio, e in controtendenza rispetto all'intervento del 2018 che ha ampliato il campo di applicazione dell'art. 17 bis alle liti di valore sino a 50.000 euro (rispetto ai 20.000 euro originari).
Con riferimento all'autotutela, la riforma si propone di ridimensionare la natura discrezionale (l'Ufficio può procedere …) a favore della natura vincolata e obbligatoria (l'Ufficio procede …), sia pur con riferimento a ipotesi riconducibili a vizi macroscopici degli atti impositivi e dell'imposizione. Quanto all'accertamento con adesione, la nuova normativa dispone che al contribuente si inoltri non un “mero invito”, ma uno “schema di provvedimento” (una sorta di bozza di accertamento), contenente l'invito alla definizione del procedimento. La nuova veste formale dell'atto dovrebbe avere l'effetto di rendere maggiormente edotto il contribuente della tipologia di contestazione fiscale, cioè del suo puntuale inquadramento giuridico nell'ambito di un accertamento analitico, sintetico, etc., consentendo maggiori spazi di definizione in sede procedimentale. Vi è poi la possibilità di definire i processi verbali di constatazione e gli avvisi di recupero del credito d'imposta.
Conclusioni
In conclusione, se l'obiettivo di “processare meno per processare meglio” risulta efficacemente perseguito dall'accertamento con adesione e dall'autotutela nella loro rinnovata veste, non ha più senso dilatare i tempi di ottenimento di una sentenza per l'espletamento di una mediazione obbligatoria, quando, peraltro, tale fase non è gestita da un organo terzo e imparziale, ma dalla stessa Amministrazione finanziaria (forse per contenerne i costi).
Ma vi è di più. Occorre tenere in considerazione che il contraddittorio procedimentale, nonché l'accertamento con adesione e l'autotutela eviteranno il ricorso sistematico al giudice non solo per il “rafforzamento normativo”, ma anche perché, grazie all'introduzione del concordato preventivo biennale e al potenziamento dell'adempimento collaborativo, il numero degli avvisi di accertamento notificati dal Fisco dovrebbe subire una netta riduzione. Se l'attività di riesame (nel senso più ampio del termine) degli Uffici andrà ad innestarsi su un numero sempre più ridotto di contestazioni fiscali, i funzionari potranno dedicarsi con maggiore attenzione alla valutazione delle eccezioni sollevate dal contribuente durante la fase procedimentale.
In questa cornice, abrogare la fase “ibrida” del reclamo e della mediazione, che continuerebbe a dare scarsi risultati concreti in termini di accoglimento delle doglianze del contribuente e, allo stesso tempo, un sicuro ritardo dell'intervento del giudice, appare una decisione pienamente condivisibile. D'altra parte, il senso complessivo della riforma è di riportare nella sede propriamente amministrativa la gestione di quelle contestazioni tributarie che possono essere risolte più efficacemente senza l'intervento del giudice, come molto spesso accade per le liti di modesto valore che ad oggi rientrano nel campo di applicazione del reclamo/mediazione.