sabato 18/11/2023 • 06:00
Dalla bozza di decreto sul processo tributario, approvata il 16 novembre 2023 dal Consiglio dei Ministri, emergono alcune soluzioni non condivisibili e che si pongono in contraddizione anche con gli obiettivi posti dalla legge delega n. 111/2023.
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I plurimi riferimenti al processo amministrativo, a volte esplicitati nella relazione di accompagnamento ed altre volte impliciti, sono indicativi di un rinvio che tradisce la precisa disposizione di cui all'art. 1 c. 2 D.Lgs. 546/92, ai sensi del quale la norma integrativa è il codice di procedura civile e non quello del processo amministrativo.
Nel merito, molte soluzioni adottate non sono convincenti e sembrano non tener conto della realtà in cui i processi tributari si svolgono, con giudici non professionali, che si occupano della materia con encomiabile spirito di servizio ma in via sussidiaria rispetto alla loro occupazione principale, avendo peraltro un background differente. Una giustizia tributaria che non ha arretrati significativi (circa 270.000), nella quale semmai la qualità media delle sentenze può esser migliorata, sebbene debbano esser riconosciute in alcuni casi punte di eccellenza.
La bozza di decreto sul processo tributario, approvata il 16 novembre 2023 dal Consiglio dei Ministri, intende consegnare uno strumento come quello previsto dall'art. 34-bis, vale a dire la sentenza in forma semplificata (“in analogia con l'art. 74 c.p.a.”, ricorda la relazione), con la possibilità di redigere una motivazione stringatissima nei casi di manifesta fondatezza, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso.
È uno strumento del tutto inutile e pericoloso. Inutile, poiché la bozza ha dimenticato che in caso di manifesta inammissibilità esiste già il filtro del presidente del collegio ex art. 27 e che nel caso di fondatezza il giudice può ben accogliere il motivo (anche quello più liquido, prescindendo dall'ordine di esposizione), ritenendo assorbiti gli altri. E che l'improcedibilità è difficilmente riscontrabile nel rito tributario, se si espunge (come incondivisibilmente la bozza fa) l'istituto della mediazione-reclamo.
Resta l'ipotesi della manifesta infondatezza del ricorso, rispetto alla quale l'attuale previsione della condanna alle spese è già sufficiente a fungere da deterrente rispetto alla proposizione di ricorsi senza valide ragioni. E si osservi il dissonante riferimento al precedente conforme, che, mentre nell'art. 118 disp. att. al c.p.c. funge da elemento ausiliare di giustificazione delle ragioni della sentenza (“anche con riferimento a precedenti conformi”), nella bozza diventa elemento alternativo (“ovvero …”), con buona pace dell'intellegibilità e del diritto di difesa nell'ipotesi in cui il precedente non abbia riguardato le stesse parti. Il tutto mentre, per altro verso, la bozza potenzia la motivazione della sentenza modificando condivisibilmente l'art. 36.
Definizione del giudizio in esito alla domanda di sospensione
Con mossa a sorpresa la bozza del decreto in commento ha inserito un art. 47-ter con cui il giudice, monocratico o collegiale, che tratta la cautelare, può decidere in quella sede anche il merito (“analogamente a quanto previsto dall'art. 60 c.p.a.”, aggiunge la relazione) “accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria”. Sfugge alla bozza che, allorquando si discute la cautelare, i termini per il deposito di documenti sono ancora in corso, poiché il loro decorso come noto è fissato dall'art. 32 per la data di venti giorni prima dell'udienza di merito (e non della cautelare).
Se l'intento della bozza era quello di disincentivare fortemente la richiesta di misure cautelari, esso può dirsi raggiunto: il pericolo di decisioni a sorpresa pare veramente sussistente. E le misure cautelari per definizione sono previste a tutela del contribuente e non della parte pubblica.
Spese del giudizio
L'attenzione nei confronti della parte pubblica continua con la modifica proposta dalla bozza all'art. 15 in tema di spese del giudizio, prevedendo nel comma 1-bis la non applicazione del principio di addossamento delle spese al soccombente nel caso in cui vi sia stato contraddittorio e la decisione si basi su elementi forniti per la prima volta dal contribuente in sede di giudizio; e, nel modificato comma 2, la compensazione obbligatoria delle spese quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi prodotti solo nel corso del giudizio (si noti: in questo caso indipendentemente dalla previa effettuazione di un contraddittorio procedimentale). Il tutto, aggiunge la relazione, in un'ottica di deflazione del contenzioso.
Ebbene, a prescindere dalla svilente denominazione del processo tributario (il termine “contenzioso”, più volte adoperato, è decisamente svalutativo) è noto come l'attuale art. 15 sia norma frequentemente male applicata nelle sentenze. Se si facesse un raffronto tra le sentenze totalmente favorevoli al contribuente e le disposizioni in termini di spese di lite ivi contemplate, se ne avrebbe una facile conferma. Si dovrebbe semmai aggiungere una norma che rafforzi l'art. 15 e non che lo depotenzi, in favore di una sola delle parti. Del resto già esiste l'art. 46, che costituisce comoda via d'uscita per l‘amministrazione finanziaria nei casi in cui si accorga tardivamente delle ragioni del contribuente; articolo che è stato a suo tempo criticato per la benevolenza nei confronti dell'a.f., ma che ha una funzione di stimolo all'adozione di provvedimenti che scoraggino la coltivazione di processi infondati. L'aggiunta ora prevista dalla bozza è invece un vigoroso incentivo in senso opposto, per l'amministrazione finanziaria, a continuare le controversie, certa che non pagherà spese di lite. Se mai si vedesse, come dicevano suggestivamente alcuni antichi processualisti, il processo come gioco, giocare non costerebbe nulla e non avrebbe alcun rischio per l'amministrazione finanziaria. Ad onta del dichiarato fine di deflazionare.
Atti e documenti del fascicolo telematico
Anche molte altre aggiunte sono incondivisibili e si muovono in direzione contraria rispetto alla semplificazione ed alla digitalizzazione.
Ad esempio, all'art. 25-bis è aggiunto un comma 5-bis con il quale è previsto tra l'altro che il giudice non tiene conto degli atti e documenti su supporto cartaceo dei quali non è deposita nel fascicolo telematico la copia informatica, anche per immagine, munita di attestazione di conformità all'originale (ai sensi dell'art. 22 CAD, aggiunge la relazione). Questa regola aggiunge (e non toglie) formalità ad un rito nel quale da poco era stata conquistata la mancanza di sottoscrizione digitale di tutti gli atti. Peraltro, è evidente che sull'immagine del documento non può esser apposta alcuna dichiarazione di conformità, a pena di alterazione dell'immagine stessa. Quindi, l'attestazione in questione deve consistere in un documento ulteriore, in cui si dichiara che quell'immagine è conforme all'originale cartaceo. Era stato proposto (si veda il documento dell'8.9.2023 del gruppo di ricerca dell'AISPDT) che questa formalità fosse eliminata, proprio in ossequio di una semplificazione del rito. Il suggerimento non è stato accolto. Magari si potrebbe attribuire alla sottoscrizione digitale del documento da parte del difensore una valenza certificativa della conformità all'originale, senza necessità di produrre altre certificazioni ed attestazioni.
Non risulta nemmeno condivisibile la soppressione dell'istituto della mediazione-reclamo, che invece ha dato buona prova di sé in gran parte del Paese, deflazionando, esso sì, il ricorso alla giustizia tributaria. Semmai, chiedendosi le ragioni per le quali l'adozione di esso sia talmente differenziata tra le varie aree del Paese, occorrerebbe stimolarlo e non abrogarlo. Se non si desidera che gli organi di giustizia tributaria siano ingolfati da tutte le cause di valore non eccessivo che oggi riescono a definirsi prima di andare in giudizio.
Nuove prove in appello
Da ultimo, in questa prima carrellata, il punto che ha dato luogo a maggiori discussioni: la modifica all'art. 58, mediante l'eliminazione della possibilità di depositare nuovi documenti in appello e la possibilità di proporre motivi aggiunti in grado di appello nel caso in cui la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti, da cui emergano vizi degli atti o dei provvedimenti impugnati.
Certamente l'attuale previsione della possibilità di produrre nuovi documenti in appello è dissonante rispetto alle vigenti regole processualcivilistiche.
Tuttavia, esiste una consistente differenza tra il giudice di appello civile e quello tributario quanto al carico di lavoro: in ragione del numero di processi iscritti a ruolo, è facile intravedere come le modifiche apportate al codice di rito civile alla disciplina dell'appello siano funzionali alla necessità di alleggerimento dei carichi di quei giudici.
Necessità che non risulta sussistere per i giudici tributari, che non solo svolgono tempestivamente il loro lavoro (si vedano le relazioni annuali), ma rischiano persino di rimanere sottooccupati. Il quantum di giustizia che si può chiedere al sistema giudiziario dipende anche dalla disponibilità esistente dei giudici.
Il mantenimento della regola attuale circa la possibilità di produrre nuovi documenti in grado di appello terrebbe conto, in primo luogo, dell'ampia e diversificata platea di difensori abilitati nella giustizia tributaria (non tutti, ovviamente, specializzati) ed anche della diversità di formazione degli esistenti giudici tributari, consentendo alle parti un'altra opportuna chance difensiva, nella prospettiva di una migliore giustizia. A tacer della circostanza che, soprattutto da parte dei contribuenti non strutturati (e non è possibile ritenere che tutti abbiano uffici amministrativi efficienti, come nelle grandi aziende), è quasi una consuetudine fornire ai difensori i documenti in tempi ritardati e dilatati.
La modificazione proposta dalla bozza, se da un lato si muove nell'ottica elegante dell'eliminazione di una distonia rispetto alla configurazione dell'appello come revisio prioris instantiae (ma il previsto ampliamento del thema decidendum con i motivi aggiunti va esattamente in senso opposto), d'altro canto ha un impatto negativo in termini di giustizia sostanziale.
L'augurio è che anzitutto su questi temi vi sia un ripensamento delle proposte contenute nella bozza.
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Massimo Romeo
- Esperto fiscale e pubblicistaRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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