giovedì 02/11/2023 • 06:00
L’efficacia generale dell’accordo di prossimità, proprio perché eccezionale, sussiste solo se stipulato a maggioranza dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In difetto, il contratto collettivo non è efficace in caso di espresso dissenso di associazioni sindacali o di lavoratori. A chiarirlo è la Cassazione con la sentenza n. 27806 del 2 ottobre 2023.
Nel caso in esame una società aveva stipulato nel luglio del 2015 con una organizzazione sindacale, in considerazione della crisi che stava attraversando, un accordo aziendale con cui era stata concordata la trasformazione dell'orario di lavoro dei dipendenti full time in orario di lavoro part time di 32 ore settimanali per un periodo di 24 mesi. Un lavoratore aveva manifestato il proprio dissenso rispetto all'accordo de quo, impugnandolo giudizialmente.
La Corte d'appello confermava la decisione di primo grado che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dal lavoratore affinché venisse dichiarata illegittima la riduzione dell'orario di lavoro disposta unilateralmente dalla società, con la sua condanna a ripristinare l'orario di lavoro ordinario e a corrispondergli la somma di Euro 3.951,71 per le conseguenti differenze retributive maturate sino a maggio 2016, oltre accessori e spese.
La Corte distrettuale rigettava così il gravame proposto dalla società che invocava l'applicabilità dell'art. 8 del DL 138/2011, conv. nella Legge 148/2011. Secondo la Corte stessa non erano stati adeguatamente provati il requisito di rappresentatività ed il criterio maggioritario delle rappresentanze sindacali firmatarie dell'accordo, “risultando irrilevante la postuma manifestazione da parte dei lavoratori, trattandosi di requisiti di natura formale non surrogabili attraverso la dimostrazione dell'adesione maggioritaria dei lavoratori al contenuto dell'accordo”.
Pertanto, la Corte d'appello, escludendo che l'accordo aziendale potesse qualificarsi come un contratto di prossimità, riteneva operante la normativa sul punto, la quale disponeva che la trasformazione dell'orario di lavoro doveva necessariamente transitare in un accordo tra lavoratore e datore di lavoro.
Sempre la Corte respingeva, nel contempo, la domanda di condanna della società al pagamento delle differenze retributive maturate sino al ripristino dell'orario di lavoro, “stante la mancanza di uno specifico appello incidentale su una espressa domanda accolta dal Giudice di primo grado”.
La società ricorreva così in cassazione con un unico motivo, eccependo che il criterio formale della stipula dell'accordo aziendale di prossimità ad opera di organizzazioni sindacali dotate dei requisiti di rappresentatività descritti dall'art. 8, c. 1, Legge 148/2011 “possa (ndr potesse) essere sostituito dalla volontà direttamente espressa dai lavoratori”. Altrimenti, la disposizione in esame sarebbe costituzionalmente illegittima poiché in palese violazione degli artt. 3 e 4 Cost., essendo ingiustificatamente discriminante nei confronti dei lavoratori e delle aziende “che si trovino ad affrontare eguali situazioni di necessità derivante da constatata crisi, senza la possibilità di utilizzare uno strumento decisivo atto ad evitare più gravi conseguenze per i rapporti di lavoro”.
Normativa di riferimento
L'art. 8 DL 138/2011, conv. con modificazioni dalla L. 148/2011, intitolato “Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”, al comma 1 dispone che “i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giungo 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività”.
Al comma 2 l'art. 8 precisa che le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:
L'articolo in esame continua al comma 2bis, statuendo che “fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 e dalle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.
Il predetto articolo conclude al comma 3, disponendo che “le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori”.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha osservato che, stando al tenore letterale dell'art. 8 DL 138/2011, la validità delle “intese” collettive stipulate a livello aziendale o territoriale, affinché possano consentire la deroga alle norme di legge e di contratto collettivo con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori coinvolti, soggiace alla garanzia della sussistenza di una serie di condizioni.
Occorre, infatti, che l'accordo aziendale venga sottoscritto da “associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda”. Ed è, altresì, necessario che:
In merito a detta disposizione, la Corte di Cassazione ha sottolineato che, trattandosi di una norma avente “carattere eccezionale”, non può applicarsi oltre i casi e i tempi in essa considerati (art. 14 disp. Gen.)” (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 221/2012).
A sostegno di questa tesi la Corte di Cassazione ha anche richiamato una recente pronuncia della Corte Costituzionale secondo la quale “tale eccezionalità è ancor più marcata in ragione della prevista possibilità che il contratto collettivo aziendale di prossimità deroghi alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 dell'art. 8 e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, pur sempre nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dal diritto Europeo e dalle convenzioni internazionali sul lavoro” (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 52/2023).
Pertanto, l'efficacia generale dell'accordo di prossimità, proprio perché “eccezionale”, sussiste solo ove concorrano tutti “gli specifici presupposti ai quali l'articolo 8 la condiziona”. Solo la ricorrenza delle condizioni previste dal predetto articolo consente di distinguere il contratto collettivo ivi disciplinato e dotato di efficacia erga omnes da un ordinario contratto aziendale, provvisto di efficacia solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori in azienda, ma che non supera l'eventuale espresso dissenso di associazioni sindacali o di lavoratori (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 33131/2021; Corte di Cassazione, sentenza n. 16917/2021; Corte di Cassazione, sentenza n. 19660/2019).
Sul punto la Corte di Cassazione rammenta che, secondo costante giurisprudenza di legittimità, “l'efficacia generale degli accordi aziendali è tendenziale (…) trovando un limite nell'espresso dissenso di lavoratori o associazioni sindacali. Limite questo coessenziale alla riconducibilità anche di tali accordi, non diversamente da quelli nazionali o territoriali, a un sistema di contrattazione collettiva fondato su principi privatistici e sulla rappresentanza negoziale - non già legale o istituzionale - delle organizzazioni sindacali. L'accordo aziendale ordinario, quindi, non estende la sua efficacia anche nei confronti dei lavoratori e delle associazioni sindacali che, in occasione della stipulazione dell'accordo stesso, siano espressamente dissenzienti. Il loro dichiarato dissenso non inficia la validità dell'accordo aziendale, ma incide sull'efficacia, la quale quindi, in tale evenienza, risulta non essere “generale” (cfr. Cass. n. 31201 del 2021; Cass. n. 27115 del 2017; Cass. n. 6044 del 2012; Cass. n. 10353 del 2004).
In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha considerato priva di fondamento la tesi della società in base alla quale il mancato rispetto dei modi di approvazione degli accordi di prossimità, così come previsti dall'art. 8 DL 138/2011, possa essere sostituito “dalla volontà direttamente espressa dai lavoratori”. Oltretutto siffatta interpretazione, sempre a parere della Corte di Cassazione, non suscita dubbi di legittimità costituzionale, “rientrando evidentemente nella discrezionalità del legislatore subordinare la deroga a disposizioni poste a protezione dei lavoratori - deroga efficace anche nei confronti di chi non aderisce alle organizzazioni sindacali stipulanti - ad un accordo che sia stipulato da associazioni dotate di adeguata rappresentatività”.
La Corte di Cassazione, per quanto di nostro interesse, ha così considerato infondato il motivo formulato dalla società, rigettando il suo ricorso.
Fonte: Cass. 2 ottobre 2023 n. 27806
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Giuseppe Buscema
- Consulente del lavoro e revisore legaleRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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