Avremmo visto con favore, ma non ce n'è traccia, la fine della devoluzione dell'IMU all'erario nazionale per gli immobili produttivi, cioè quelli classificati in D6 (art. 1 c. 744 L. 160/2023). Data la diversa distribuzione di questi immobili nell'ambito nazionale, la disposizione determina una discriminazione territoriale a danno dei comuni dove questa tipologia è ricorrente, obbligandoli a gravare questi immobili – la cui aliquota base è il non trascurabile 7,60 per mille del valore – con una ulteriore addizionale.
La fiscalità dei comuni viene alimentata in primis dalle imposte sugli immobili, per i quali esiste un radicamento territoriale orientato al finanziamento dei servizi resi dall'amministrazione locale.
Una disposizione della delega parla di progressività fiscale (attuabile solo per le decisioni relative all'addizionale IRPEF), “escludendo, in ogni caso, la doppia imposizione tra Stato ed enti locali”. Qui la “colpa” non è dei comuni ma dello Stato. Alludiamo all'indeducibilità dell'IMU pagata dai privati.
Vediamo un caso concreto (gli importi sono stati arrotondati per semplicità): canone di locazione di un immobile non abitativo, quindi senza possibilità di optare per la cedolare secca: € 16.000,00 – IMU € 4.500,00 – Reddito disponibile € 11.500,00 – IRPEF più addizionali 45% su € 16.000,00 = € 7.200,00 – Reddito netto (16.000 – 4.500 – 7.200) = 4.300. Aliquota fiscale complessiva 73,12%.
Ovvia la conferma del principio di autonomia finanziaria, cui consegue la regola di non chiedere fondi all'erario centrale. In merito al sistema di rilevazione dei dati, si prevedono strumenti idonei a facilitare la circolazione delle informazioni: i comuni hanno da tempo accesso alle banche dati catastali, che sono il riferimento più significativo per la fiscalità locale.
Un elemento che sta per essere perfezionato riguarda la normativa sul controllo delle locazioni brevi, che il Ministero del Turismo ha già annunciato da alcuni mesi, ma che non ha ancora iniziato l'iter parlamentare. In questo ambito chi incassa il corrispettivo è responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno (art. 4 c. 5-ter DL 50/2017), e già oggi l'ente locale conosce chi concede i suoi immobili per questo tipo di utilizzo, in quanto deve rilevare l'esercizio dell'attività, cui viene attribuito un numero di iscrizione, che deve essere esposto in strada vicino al portone.
L'altra grande imposta comunale è la TARI – tassa sui rifiuti – che ha una declinazione fiscale per la generalità dell'entrata, mentre la cd. TARIP – tariffa puntuale con misurazione del conferimento – ha natura commerciale ed è soggetta ad IVA (Cass. SS.UU. 29 aprile 2021 n. 11290).
Riscossione delle entrate di comuni, province e città metropolitane
La riscossione delle entrate di questi enti è un tema delicato in alcune circostanze, come nei comuni, ovviamente pochi, in cui il gestore è scappato con la cassa. Fermo restando che l'ente locale può affidare la riscossione al soggetto che gestisce i tributi erariali, la delega ribadisce la necessità di vigilanza sui soggetti abilitati ad effettuare l'attività di accertamento e riscossione dei tributi locali. Al riguardo alcuni di questi soggetti avevano ottenuto ragione dalla Corte di Giustizia europea rispetto alla norma nazionale, non più vigente, che richiedeva sempre un capitale minimo di 10 milioni di euro. Questa soglia era stata ritenuta lesiva della concorrenza, anche transnazionale, e la norma attuale prevede importi differenziati in funzione dell'attività svolta (supporto e/o riscossione) e della dimensione del comune, concedendo la possibilità di garantire l'attività non tanto con il capitale (nell'albo attuale ci sono anche enti del terzo settore) ma con polizze assicurative o fideiussioni bancarie (art. 1 c. 807 L. 160/2019).
Le imposte locali sono di regola richieste con modelli di autoversamento, come gli F24. Alcuni comuni eseguono addebiti diretti sul conto del contribuente, che autorizza il RID: questo sistema dovrebbe essere opportunamente esteso.
Alquanto criptico è il comma 2 dell'articolo 14, che prima parla di separazione in due distinti comparti, relativi rispettivamente alle province e alle città metropolitane, per poi adottare due distinte lettere a) e b), che contengono esattamente le stesse parole.
Fonte: L 111/2023; GU 14 agosto 2023 n. 189