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martedì 04/07/2023 • 06:00

Fisco Dalla Corte di Cassazione

Procedura fallimentare: debiti tributari rottamabili

La possibilità di usufruire della definizione agevolata dei debiti tributari prevista dal DL n. 119/18 non comporta l’obbligo per il giudice fallimentare di rinviare l’udienza al fine di consentire alla società di poter aderire alla rottamazione dei ruoli, e ciò soprattutto quando i termini per la dichiarazione di fallimento sono stringenti.

di Giuseppe Ingrao - Professore ordinario di Diritto tributario presso l’Università di Messina

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  • Tempo di lettura 7 min.
  • Ascolta la news 5:03

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La Corte di cassazione - con la sentenza 27 giugno 2023, n. 18310 - ha offerto una puntuale ricostruzione dei rapporti tra la legge fallimentare, e in particolare l'art. 10, e quella tributaria in tema di definizione agevolata dei debiti fiscali (c.d. rottamazione dei ruoli), di cui al D.L. n. 119/2018. La pronuncia appare di particolare interesse perché il principio ivi affermato può essere applicato anche per regolare i rapporti tra la procedura (pre)fallimentare e i provvedimenti “condonistici” introdotti con la legge di bilancio 2023 (L. n. 197/2022).

Il caso esaminato dai giudici di legittimità riguardava una società cancellata dal registro delle imprese, e quindi estinta ai sensi dell'art. 2495 c.c., per cui l'Agenzia delle entrate riscossione aveva presentato istanza di fallimento, che in base a quanto prevede l'art. 10 della legge fallimentare può essere dichiarato entro un anno dalla cancellazione, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo.

La società era stata cancellata nel 2018, prima dell'approvazione della normativa sulla rottamazione dei ruoli, e durante la fase prefallimentare aveva chiesto al giudice un rinvio dell'udienza per poter definire in modo agevolato i debiti tributari e così evitare il fallimento. Il Tribunale ha escluso l'esistenza del diritto di ottenere il rinvio, in quanto il tempo ristretto previsto per la dichiarazione di fallimento di una società estinta non era conciliabile con gli ampi termini di attuazione della rottamazione fiscale, ed ha in conseguenza dato corso al procedimento.

In sede di reclamo, la Corte di appello ha confermato quanto deciso dal Tribunale. La società fallita ha proposto ricorso in Cassazione per veder riconosciuto il diritto al rinvio dell'udienza prefallimentare e in conseguenza provare di effetti la sentenza dichiarativa di fallimento. 

Le questioni controverse chiarite dalla Cassazione

Le questioni giuridiche affrontate dalla Corte di cassazione sono le seguenti:

  • se la società cancellata dal registro delle imprese potesse, comunque, provvedere all'estinzione del debito tributario beneficiando della legislazione “condonistica” nonostante fosse civilisticamente estinta;
  • se l'Agente della riscossione fosse legittimato a presentare l'istanza di fallimento durante il periodo di vigenza della normativa sulla definizione agevolata dei ruoli di cui al D.L. n. 119/2018;
  • se il giudice fallimentare fosse obbligato a concedere il rinvio della udienza prefallimentare in relazione alla possibilità dell'impresa di avvalersi della rottamazione dei ruoli.

I giudici di legittimità hanno affrontato i punti controversi con argomentazioni del tutto condivisibili.

Sul primo punto, hanno richiamato l'art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014, il quale dispone che la società cancellata dal registro delle imprese possa essere destinataria di atti di accertamento, di riscossione, di contenzioso per il quinquennio successivo all'estinzione. Secondo la ricostruzione della giurisprudenza questa previsione normativa ha determinato la “sopravvivenza” fiscale della società civilisticamente estinta non solo nella prospettiva procedimentale (ai soli fini della efficacia e validità  degli atti ..) , ma anche sostanziale, e pertanto il liquidatore conserva i poteri di rappresentanza della società, tra cui anche quello di presentare istanza per la definizione agevolata e versare le relative somme.

L'affermazione della possibilità di rottamare i debiti fiscali per la società estinta diviene, però, irrilevante nella prospettiva della revoca della dichiarazione di fallimento, in quanto in tale giudizio si deve esclusivamente verificare se sussistevano o meno tutti i presupposti per la dichiarazione di fallimento nel momento in cui essa è stata resa. I giudici hanno, peraltro, rimarcato che la Corte di appello ha acclarato che la società non aveva fornito alcuna indicazione circa l'effettivo reperimento delle fonti di finanziamento necessarie per attuare la rottamazione dei ruoli; profilo centrale nella misura in cui bisogna escludere la sussistenza di una situazione di insolvenza.

Sul secondo punto, la Corte ha opportunamente chiarito che l'art. 3, comma 10, della D.L. n. 119/2018, prevede che gli effetti della presentazione della dichiarazione di adesione alla definizione agevolata dei debiti tributari sono rappresentati esclusivamente dalla sospensione delle attività cautelari ed esecutive; attività rispetto alle quali il procedimento di dichiarazione di fallimento risulta estraneo.  

A ciò possiamo aggiungere che la predetta norma precisa che il debitore non è considerato inadempiente esclusivamente ai fini degli articoli 28-ter e 48-bis del Dpr n. 602/1973, cioè nella prospettiva dell'applicazione degli istituti della compensazione volontaria e della sospensione dei pagamenti della PA, ma non certo ai fini dell'eventuale procedimento di dichiarazione di fallimento che potrebbe involgere il contribuente/debitore.

In merito all'ultima questione, i giudici hanno puntualizzato che la normativa sopra richiamata non assegna alcun diritto al debitore di ottenere, nel corso del procedimento di dichiarazione di fallimento, il differimento della trattazione e così procedere alla definizione debitoria per tributi non versati. Tale ricostruzione non lede il diritto di difesa del soggetto sottoposto alla procedura fallimentare, in quanto il giudice deve bilanciare le esigenze del debitore con quelle di tutela degli interessi pubblicistici sottesi al fallimento. Il bilanciamento fatto nel caso di specie dai giudici fallimentari è stato ritenuto equilibrato in considerazione del ristretto margine temporale entro il quale si poteva procedere con la dichiarazione di fallimento nelle ipotesi di società cancellate dal registro delle imprese.

Conclusioni

La pronuncia dei giudici di legittimità, come detto, appare ineccepibile. Si esclude l'obbligo per il giudice di rinviare l'udienza prefallimentare, ma implicitamente si ammette la possibilità che il rinvio possa essere accordato qualora:

  • non crei un nocumento agli interessi pubblici al soddisfacimento dei quali la procedura è volta;
  • il debitore dimostri di poter reperire le risorse finanziarie necessarie per definire in modo agevolato i debiti fiscali. Sotto quest'ultimo profilo non dovrebbe, quindi, essere sufficiente la mera dichiarazione di volersi avvalere della normativa sulla rottamazione dei ruoli, né la mera presentazione dell'istanza di definizione al Fisco. 

Si osserva da ultimo, che, nel caso esaminato, ove la società estinta avesse dimostrato di potere effettivamente onorare i debiti fiscali con le riduzioni previste dalla legislazione condonistica, a prescindere dalla possibilità per il giudice di accordare il  rinvio dell'udienza, l'Agente della riscossione avrebbe potuto anche desistere dal ricorso per il fallimento, con le modalità previste dall'art. 306 c.p.c., ed ottenere il soddisfacimento del credito erariale mediante il versamento delle somme dovute da parte del contribuente (con la sola esclusione delle sanzioni) e così ricavare un importo di gran lunga superiore a quello ritraibile in sede fallimentare.

Fonte: Cass. 27 giugno 2023 n. 18310

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