L'equo compenso per i liberi professionisti è legge (con applicazione dal 20 maggio 2023).
L'articolo 1 della legge n. 49 del 2023, recante “disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” definisce il concetto di “equo compenso” come la corresponsione di un importo che sia proporzionato “alla quantità e alla qualità del lavoro svolto” nonché al suo “contenuto e alle caratteristiche delle prestazioni professionali” conformemente ai parametri stabiliti per la determinazione dei compensi delle libere professioni contenuti nei rispettivi decreti ministeriali (si pensi, ad esempio, ad avvocati, professionisti iscritti agli ordini e ai collegi, etc.).
Quanto riportato nel periodo di apertura della legge in parola (legge n. 49 del 2023) non rappresenta un elemento di difformità rispetto a quanto stabilito dal Legislatore nell'articolo 36 della Costituzione laddove dispone che “il lavoratore abbia diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”.
Campo di applicazione
Il provvedimento concerne prestazioni d'opera intellettuale disposte o contrattualizzate da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di specifici soggetti (art. 2 comma 1):
- la pubblica amministrazione.
- le imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie.
- le imprese che nell'anno precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.
Il tutto con esclusione delle prestazioni rese dai professionisti in favore di società veicolo di cartolarizzazione e a quelle rese in favore degli agenti della riscossione.
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Ovviamente qualsiasi società potrebbe, se volesse, applicare tale disposto, anche se non obbligata dal campo di applicazione di cui all'art. 2 appena citato.
Compenso equo e proporzionale
La scelta utilizzata è quella di legare la definizione di “equo compenso” alla “proporzionalità” dello stesso.
In particolare, nel testo in parola, questo filo conduttore si manifesta attraverso l'individuazione di compensi che siano sufficienti (da intendersi, per l'appunto, secondo l'accezione di “proporzionati”) a garantire la qualità delle prestazioni professionali e che, congiuntamente, “tengano conto dei costi sostenuti dal prestatore d'opera” nello svolgimento delle attività in oggetto (comma 1, art. 3).
Invero, come peraltro riportato anche dal parere della fondazione Studio Consulenti del Lavoro del 16 maggio 2023, la posizione del Legislatore odierno risulta in linea con quanto promosso a livello comunitario in tema di tariffe salariali e compensi minimi laddove la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) si è espressa stabilendo che la fissazione di “tariffe minime o massime nello svolgimento delle libere professioni può essere ammessa solo nella misura in cui le stesse siano fondate su un motivo di interesse generale nel rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità”. La finalità principale, come riportato dalla CGUE, è rappresentata anzitutto dalla volontà di “impedire che le prestazioni siano offerte a prezzi insufficienti per garantire la qualità delle stesse, ossia che si realizzi una concorrenza che si traduca nell'offerta di prestazioni al ribasso”.
Sulla scorta di quanto sopra, la legge n. 49 del 2023 (art. 12) ha disposto l'abrogazione della lettera a) del comma 1 dell'articolo 2 del Decreto legge n. 223 del 2006 laddove il testo escludeva, invocando i concetti di libera concorrenza e libera circolazione dei servizi, “l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime” nell'ambito delle libere professioni.
Perché, si badi bene, anche di questo, in parte, tratta la norma in parola. Ovvero il mutamento storico tra:
- L'abrogazione delle tariffe minime degli ordini professionali (nella logica che il mercato avrebbe determinato i compensi);
- Sino all'attuale loro reviviscenza, legata appunto al concetto di equità del compenso (e rimessa ai decreti Ministeriali di cui all'art. 1);
Il parziale ritorno all'obbligatorietà di adeguamento ai parametri ministeriali riconosce in seconda istanza la possibilità in capo al professionista di adire ad un'azione giudiziaria nei confronti del contraente laddove ravvisi l'assenza di un compenso “equo”.
Ai sensi dell'articolo 4 della legge in esame, laddove il giudice accerti la non equità del compenso pattuito, può intimare al cliente il “pagamento della differenza tra l'equo compenso così determinato e quanto già versato al professionista”. In tale sede, viene altresì riconosciuta in capo al giudice la facoltà di condannare il cliente al pagamento di un indennizzo fino al doppio della differenza tra gli importi predetti e dunque oltre il raggiungimento della tariffa minima individuata.
Durante l'istruttoria, al fine di acquisire la documentazione necessaria per procedere alla rideterminazione, “il Giudice potrà chiedere, se necessario, al professionista di acquisire dall'Ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso, che costituisce elemento di prova” sulle caratteristiche, sul pregio, sulla naturale nonché sul valore e i risultati conseguiti della prestazione. Come evidenziato dall'Approfondimento redatto dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro del 16 maggio 2023 “va sottolineato il ruolo di garanzia dell'Ordine professionale, che realizza il soddisfacimento della fede pubblica in un contesto di piena realizzazione del principio di sussidiarietà”.
In aggiunta a quanto predetto, a rafforzare ulteriormente la posizione del professionista nell'ambito delle controversie giudiziarie scaturite dai diritti di cui alla legge n. 49 del 2023, si riportano di seguito due significative disposizioni del Legislatore che lasciano trasparire la posizione promossa dal medesimo in favore del libero professionista.
La prima, riguarda l'accezione che il Legislatore riconosce al concetto di nullità.
Infatti, pur ammettendo che la nullità delle singole clausole non comporti la piena “nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto” specifica che la medesima possa agire “solo a vantaggio del professionista”.
In secondo luogo, si richiama l'attenzione sulla previsione di cui al comma 1, articolo 5, laddove il Legislatore dispone che “gli accordi preparatori o definitivi, purché vincolanti per il professionista, conclusi tra i professionisti e le imprese” si possano presumere come “unilateralmente predisposti dalle imprese stesse” realizzando pertanto una presunzione di causa pienamente in favore del libero professionista.
Sanzioni e conclusioni
La norma, chiaramente, risponde ad una logica di tutela del lavoro professionale che, chiaramente, non può che dirsi condivisibile nei suoi aspetti finalistici.
Concretamente deve però rilevarsi un quadro di applicazione che potrebbe risultare complesso.
- In prima battura, il campo di applicazione disposto dal già citato art. 2 sembra destinare “l'equo compenso” a realtà che, forse, nella pratica già comunemente lo applicavano (ovvero a realtà mediamente strutturate) lasciando esclusi i rapporti professionali con la piccola/media impresa;
- Secondariamente, il comma 5 dell'art. 5 della norma in discussione introduce ripercussioni direttamente verso il professionista a cura degli Ordini professionali stabilendo che gli stessi “adottano disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell'obbligo di convenire o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri previsti dai pertinenti decreti ministeriali”.Non solo. Si prevede addirittura la possibilità di sanzionare il professionista che non avverte il cliente “che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, pena la nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalle disposizioni della presente legge”.
C'è da chiedersi quale convenienza potrebbe avere il professionista nell'azionare un compenso equo (qualora non previsto) se lo stesso potrebbe essere sanzionato dal proprio Ordine professionale (e probabilmente perdere il cliente con il quale aveva sottoscritto un mandato professionale).
Da ultimo deve segnalarsi come alternativamente alle procedure di cui all'articolo 633 del codice di procedura civile (procedimento di ingiunzione) e di cui all'articolo 14 D.Lgs. 150 del 2011 (controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato) il Legislatore dispone che “il parere di congruità emesso dall'ordine o dal collegio professionale” può costituire “titolo esecutivo” se il debitore “non propone opposizione innanzi all'autorità giudiziaria entro quaranta giorni dalla notificazione del parere stesso”. In sostanza, come riportato nell'Approfondimento redatto dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “il Legislatore introduce un nuovo titolo esecutivo stragiudiziale di natura amministrativa (art. 474, comma 2, n. 1, c.p.c.) avente ad oggetto la liquidazione del compenso dei professionisti ordinistici”.