martedì 21/03/2023 • 06:00
Il D.Lgs. 24/2023, pubblicato in GU il 15 marzo, impatta sulla disciplina del whistleblowing anche nelle aziende che hanno già adottato sistemi per la segnalazione delle violazioni o degli illeciti rilevanti ai sensi del D.Lgs. 231/2001. Al termine del periodo transitorio, tali sistemi dovranno infatti tenere in considerazione esclusivamente quanto disposto dal nuovo Decreto.
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Il tema del whistleblowing nell'ambito del “sistema 231” è stato normato per la prima volta alla fine del 2017, allorquando la Legge 179/2017 ha introdotto all'art. 6 D.Lgs. 231/2001 i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, al fine di obbligare gli enti dotati di modelli organizzativi a prevedere canali per le segnalazioni di illeciti rilevanti ai sensi del D.Lgs. 231/2001 ovvero di violazioni del modello tali da garantire la riservatezza dell'identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione.
Allo stato attuale, i modelli devono altresì prevedere il divieto di atti discriminatori o di ritorsione nei confronti del segnalante, nonché le sanzioni – all'interno del sistema disciplinare – nei confronti sia di chi viola le misure di tutela del segnalante, sia di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate. L'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei segnalanti può essere denunciata all'Ispettorato nazionale del lavoro e sono nulli il licenziamento ritorsivo nei confronti del segnalante, il mutamento di mansioni e ogni altra misura ritorsiva.
L'ambito applicativo per i soggetti 231
Nel recepire la direttiva europea 2019/1937, il D.Lgs. 24/2023 riforma il sistema del whistleblowing nel settore pubblico e privato, agendo quindi anche sul D.Lgs. 231/2001.
In primo luogo, l'art. 2, co. 1, lett. q), n. 3, D.Lgs. 24/2023 ricomprende tra i soggetti del settore privato anche quelli che, pur non avendo impiegato nell'ultimo anno la media di almeno 50 lavoratori subordinati – a tempo indeterminato o determinato – rientrano nell'ambito applicativo del D.Lgs. 231/2001 e adottano i modelli di organizzazione e gestione ivi previsti. Per l'effetto, si determina una inclusione indiretta nell'ambito soggettivo di applicazione della disciplina del whistleblowing anche di soggetti che ne sarebbero esclusi laddove non dotati di modelli 231.
E siccome allo stato attuale l'adozione dei modelli organizzativi – ancorché senza alcun dubbio opportuna – resta una facoltà e non un obbligo, resteranno escluse dal whistleblowing soltanto le aziende con meno di 50 dipendenti che non intendono dotarsi di un modello 231.
Invero, il medesimo effetto si era già prodotto con l'avvento della L. 179/2017, che rendeva obbligatorio il whistleblowing nel settore privato solo per le aziende dotate di modelli 231, a prescindere dal numero di dipendenti; in tal senso, il recepimento della direttiva europea avrebbe potuto costituire l'occasione per porre rimedio ad una evidente anomalia. È invece del tutto evidente il rischio che le nuove previsioni possano disincentivare l'adozione dei modelli da parte delle imprese di minori dimensioni. L'implementazione di sistemi di whistleblowing, quale diretta conseguenza del sistema 231, comporterebbe infatti un costo ulteriore connesso alla necessità di munirsi di canali informatici idonei a garantire la riservatezza del segnalante.
I canali di segnalazione previsti dai modelli 231
La disciplina dei canali di segnalazione interna prevista dal D.Lgs. 24/2023 è estesa, ai sensi dell'art. 4, anche ai sistemi previsti dai modelli 231: lo si evince chiaramente dalla nuova formulazione del comma 2-bis dell'art. 6 del D.Lgs. 231/2001, ove è stabilito che i modelli prevedono «ai sensi del decreto legislativo attuativo della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019» i canali di segnalazione interna, il divieto di ritorsione e il sistema disciplinare. Di conseguenza, il successivo art. 23 abroga i commi 2-ter e 2-quater dell'art. 6 che, come già accennato, contengono una disciplina dettagliata delle segnalazioni nell'ambito dei modelli organizzativi. Al netto del comma 2-bis, che nella versione emendata contiene di fatto un rinvio tout court al Decreto whistleblowing, l'art. 6 torna quindi ad assumere la formulazione antecedente alla L. 179/2017.
Inoltre, il riferimento al sistema disciplinare, attualmente contenuto nell'art. 6, co. 2-bis, lett. d) del D.Lgs. 231/2001, è puntualmente riproposto dall'art. 21, co. 2, del D.Lgs. 24/2023, ove è disposto che i soggetti del settore privato dotati di modelli organizzativi prevedono nel sistema disciplinare, adottato ai sensi dell'art. 6, co. 2, lett. e), sanzioni nei confronti di coloro che accertano essere responsabili degli illeciti segnalati.
Le disposizioni transitorie e di coordinamento
Del tutto peculiare, infine, è la disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. 24/2023, in vigore dal prossimo 30 marzo.
Per iniziare, l'art. 24 del Decreto differisce al 15 luglio 2023 l'operatività delle disposizioni in esso contenute, prevedendo al contempo l'applicabilità dei commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell'art. 6 alle segnalazioni o alle denunce effettuate fino al 14 luglio 2023.
Per quanto concerne i soggetti del settore privato che hanno impiegato nell'ultimo anno una media di lavoratori subordinati fino a 249, l'obbligo di istituire canali di segnalazione interna conformi al nuovo Decreto decorrerà dal 17 dicembre 2023. Fino a quella data continuerà a trovare applicazione l'art. 6, co. 2-bis, lettere a) e b), del D.Lgs. 231/2001, nella formulazione vigente fino al 30 marzo 2023.
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