sabato 07/01/2023 • 06:00
Per le liti tributarie pendenti al 1° gennaio scorso, nelle quali è parte l’Agenzia delle Entrate o l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, le disposizioni introdotte dalla Legge di bilancio offrono decisi vantaggi a chi rinuncia alla prosecuzione della controversia, con diverse possibilità di ridurre anche le maggiori imposte oggetto di contestazione.
Nell’ambito del corposo pacchetto di definizioni agevolate varate dalla L. 197/2022 spicca quella concernente le liti fiscali pendenti, sulla quale il Governo punta le sue carte anche al fine di permettere alle Corti di Giustizia tributarie di smaltire lo stock dei ricorsi pendenti.
In questo primo intervento ripercorriamo tutta la definizione evidenziandone la struttura, per approfondire successivamente gli aspetti meritevoli di disamina, anche tenendo conto delle precedenti posizioni di prassi diramate in occasione dei diversi provvedimenti, di medesima natura, succeduti nel tempo.
Ambito applicativo
Per i contribuenti è dunque possibile la definizione delle sole controversie tributarie in cui è parte l’Agenzia delle Entrate o l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che risultano pendenti in ogni stato e grado del giudizio al 1° gennaio scorso (data di entrata in vigore della legge di bilancio).
Per darsi lite “pendente” è necessario che il ricorso in primo grado sia stato notificato alla controparte entro la predetta data e, attenzione, a condizione che alla data della presentazione della domanda di definizione il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva.
Va prestata attenzione al fatto che, per espressa previsione normativa, la definizione è esclusa laddove la controversia, anche soltanto parzialmente, riguardi:
La definizione, alla quale si accede previa domanda del soggetto legittimato al giudizio, comporta il solo pagamento dell’importo del valore della lite (ex art. 12 c. 2 D.Lgs. 546/92): in sostanza, l’importo in relazione al quale il contribuente commisura l’ammontare del contributo unificato dovuto per la controversia.
Importi dovuti
Le somme da versare per estinguere la lite variano tanto in ragione dello stato della controversia quanto del divenire delle decisioni che l’anno interessata.
Pertanto:
- in caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della controversia;
- in caso di soccombenza dell’Agenzia fiscale nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data di entrata in vigore della legge di stabilità, le controversie possono essere definite con il pagamento:
Laddove la controversia registri una decisione di cosiddetta “soccombenza ripartita” tra il contribuente e l’Agenzia fiscale, l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni è dovuto per intero relativamente alla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale e in misura ridotta per la parte di atto annullata (in sostanza, nessuna riduzione per la parte del giudizio in cui il contribuente risulta soccombente).
Infine, le liti avente per oggetto esclusivamente sanzioni non collegate al tributo possono essere definite con il pagamento del 15 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia fiscale nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, depositata alla data del 1° gennaio scorso e con il pagamento del 40 per cento in tutti gli altri casi.
In caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo relativo alle sanzioni laddove il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla definizione agevolata in commento.
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