sabato 24/09/2022 • 06:00
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 26532 dell'8 settembre 2022, ha confermato la nullità del licenziamento la cui forma scritta è provata per testimoni. Il potere del giudice di ammettere d'ufficio ogni mezzo di prova non può infatti essere riferito ai requisiti legali ad substantiam dell'atto o contratto.
redazione Memento
È nullo il licenziamento del lavoratore dipendente comunicato durante una riunione, la cui forma scritta viene provata per testimoni. Il potere attribuito al giudice del lavoro di ammettere d'ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, non può, infatti, essere riferito anche al requisito di forma scritta previsto ad substantiam per la lettera di licenziamento.
È quanto emerge dall'ordinanza di Cassazione n. 26532 depositata lo scorso 8 settembre.
I fatti di causa
La vicenda giudiziaria riguarda una lavoratrice, inquadrata come dirigente, licenziata in occasione di una riunione tenutasi nei locali aziendali nel settembre 2017, alla presenza dell'amministratore delegato e di due dipendenti. Il licenziamento veniva impugnato dalla donna che vedeva soddisfatte le sue ragioni sia in primo che secondo grado: la Corte d'Appello confermava la sentenza del Tribunale, che a sua volta aveva sostanzialmente confermato l'ordinanza resa in esito alla fase sommaria, per non avere la società provato, come era suo onere, di avere adempiuto con la forma scritta richiesta ad substantiam, e non essendo ammissibile la prova testimoniale (pur assunta in primo grado) sul punto. Contro la sentenza di secondo grado la società proponeva proposto ricorso per cassazione.
La decisione della Suprema Corte
La Cassazione ha confermato la pronuncia di merito, ritenendola conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo cui non è consentita la prova testimoniale di un contratto (o di un atto unilaterale, ex art. 1324 c.c.) di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità se non nel caso, previsto dall' art. 2724 n. 3 c.c, in cui il documento sia andato perduto senza colpa (Cass. n. 11479/2015). Come chiarito dagli Ermellini, “si tratta di divieto di testimonianza che ne importa inammissibilità rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio (attenendo a norma di ordine pubblico), a differenza di quanto avviene in ipotesi di violazione degli artt. 2721 e ss. c.c. o di testimonianza assunta in materia di atti unilaterali e contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad probationem tantum; né tale divieto è superabile ex art. 421 co. 2°, prima parte, c.c., noto essendo che esso, nell'attribuire al giudice del lavoro il potere di ammettere d'ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce non ai requisiti di forma previsti (ad substantiam o ad probationem) per alcuni tipi di contratti, ma ai limiti fissati alla prova testimoniale, in via generale, dagli artt. 2721, 2722 e 2723 stesso codice”.
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