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venerdì 24/06/2022 • 06:00

Lavoro Festival del Lavoro 2022

Inclusione lavorativa e PNRR: una sfida difficile

L’esperienza pandemica e l’utilizzo “forzato” dello smart working ha indotto le aziende a mettere al centro del mondo del lavoro il lavoratore, che attraverso il lavoro agile, può conciliare le esigenze personali con quelle di lavoro. Quali sono le altre politiche di inclusione da promuovere per dare attuazione al PNRR?

di Ciro Cafiero - Avvocato - Studio Cafiero Pezzali & Associati

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  • Tempo di lettura 5 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Lo smart working

Con lo smart working, che ha una vocazione naturale all'inclusione, la persona vive un'inedita centralità nel mondo del lavoro. Includere significa guardare al lavoro come un luogo popolato, prima ancora che da operai, impiegati, quadri e dirigenti, da padri, madri, caregivers, anziani. Significa guardare al lavoratore, in un'ottica olistica, in quanto persona e, come tale, ricca di peculiarità, di diversità uniche.

Lo smart working include perché concilia le esigenze di vita personale con quelle di lavoro. Se maneggiato con cura, i risultati sono formidabili.

Lo dimostra il Report pubblicato sul sito del Dipartimento delle Pari Opportunità (http://www.pariopportunita.gov.it/news/indagine-sullo-smart-working-nel-settore-privato-buone-pratiche-e-proposte-per-potenziare-i-benefici-sul-lavoro-femminile/). Inoltre, le aziende inclusive registrano ricavi di fatturato più alti del 23%.

E' chiaro che lo smart working, da solo, non basta. Si tratta soltanto di una delle politiche di inclusione possibili.

Secondo i dati, nel dicembre del 2020, sono state in 99 mila le donne a dimettersi. L'FMI ha ribattezzato “she-cession” questo fenomeno. Mentre, nel secondo trimestre del 2021, le dimissioni sono aumentate del 37% rispetto al trimestre precedente, e del 85% rispetto al secondo trimestre del 2020. La fascia d'età maggiormente coinvolta è quella tra i 26 e i 35 anni, che rappresenta il 70% delle dimissioni totali. Il fenomeno, negli Usa, ha preso il nome di great resignation .

Le politiche di inclusione

La domanda che, di conseguenza, deve interrogarci è quali altre politiche di inclusione è necessario promuovere.

Alcune verticali, a tutela della parità di genere, sono stata già definite dall'attuale decisore politico. Si tratta, ad esempio, delle modifiche legislative al Codice delle Pari Opportunità (in combinato disposto con quelle al Codice degli Appalti: artt. 93 e 95 D.lgs. 50/2016), del Family Act, Legge 32/2022con misure in favore delle famiglie, della prassi Uni PdR 125/2022 ai fini della certificazione sulla parità di genere.

Altre, almeno quattro, di orizzonti più ampi, attendono attuazione.

Collaborazione dei lavoratori

Prima. Sono maturi i tempi per l'attuazione dell'art. 46 Cost., secondo cui “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende'' .

Includere significa fare dei lavoratori lievito dell'impresa e delle imprese comunità di persone, nel segno di un'alleanza inossidabile.

Sicurezza sul lavoro

Seconda. Per includere, le aziende devono prendersi cura non solo della collettività aziendale ma anche della collettività generale, perché ad essa appartengono le persone “care” ai lavoratori. Se l'impresa calpesta il territorio, calpesta famiglie e amici di costoro e dunque il loro senso di appartenenza alla comunità aziendale. In parole più semplici, li “esclude”. E' emblematico il caso dell'Ilva di Taranto.

L'esperienza pandemica è stata virtuosa.

I Protocolli sulla Sicurezza dell'aprile del 2020 e dell'aprile 2021 e i provvedimenti sul Green pass, nel segno di una nuova stagione concertativa tra le Parti sociali, hanno fatto delle imprese “sentinelle” dei territori. Come voleva Adriano Olivetti.

Si è inverata quella lettera n) dell'art. 2 D.Lgs. 81/2008 che assegna alla prevenzione il compito di “evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno”. Ad essa, fa eco l'art. 20 del D.Lgs. 81/2008, che, di riflesso, responsabilizza il lavoratore sugli obiettivi di “cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni”.

Lavorare per obiettivi

Terza. Come dimostra il successo dello smart working, il lavoratore, per sentirsi incluso, deve essere “ingaggiato” sugli obiettivi. I tempi sono maturi per traghettare sul terreno dell'obbligazione di risultato quella di mezzi, tipica della subordinazione. Può immaginarsene una di natura ibrida. Già è accaduto in banche come Intesa San Paolo, grazie ad una contrattazione collettiva illuminata.

Welfare

Quarta. Includere impone anche la personalizzazione dei servizi sui bisogni dei singoli. Con il ribaltamento dell'idea di un welfare cucito a misura di bisogni collettivi.

I tempi sono maturi, ad esempio, per un welfare cucito a misura dei caregivers, oppure che si traduca in investimenti per aumentare il comfort di abitazioni rumorose, scure e di spazi modesti, da cui gli smart workers lavorano, in interventi contro il caro energia.

In definitiva, perché fiorisca l'inclusione, occorre un'articolata combinazione di politiche. Verticali e orizzontali. Di un sotterraneo e silenzioso processo culturale, perché fiorisca quello sguardo sul mondo del lavoro.

Del resto, come insegna il sonetto di un poeta argentino, Francisco Luis Bernárdez, “ciò che l'albero ha di fiorito vive di ciò che tiene sepolto”.

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