sabato 15/03/2025 • 06:00
La Corte di Cassazione, con ordinanza 18 febbraio 2025 n. 4227, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato a un lavoratore per fatti compiuti dallo stesso, anche se risalenti a un precedente rapporto di lavoro con lo stesso datore.
La decisione della Corte di Cassazione affronta il delicato tema della rilevanza disciplinare di condotte pregresse, scoperte successivamente alla stipula di un nuovo contratto, e del loro impatto sul vincolo fiduciario.
La vicenda trae origine dal licenziamento disciplinare intimato a un lavoratore da una società operante nel settore postale. Il dipendente, assunto nel 2006 come portalettere, era stato scoperto in possesso di un'ingente quantità di corrispondenza mai recapitata, risalente agli anni 2007-2008. La scoperta era avvenuta nel 2015, durante una perquisizione domiciliare condotta dalle Forze dell'Ordine, che avevano rinvenuto nell'abitazione del soggetto 7.981 plichi postali, tra cui raccomandate, atti giudiziari e posta prioritaria.
La società, una volta venuta a conoscenza dei fatti, aveva aperto un procedimento disciplinare contro il dipendente, conclusosi con il licenziamento per giusta causa. Il lavoratore, tuttavia, impugnava il provvedimento, sostenendo che la condotta contestata si riferiva a un precedente rapporto di lavoro ormai concluso e che, nel frattempo, tra le stesse parti era sorto un nuovo rapporto. Inoltre, aveva evidenziato di aver attraversato all'epoca dei fatti un periodo di difficoltà personale e psicologica, invocando dunque l'applicazione semmai di una diversa sanzione.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in primo grado, aveva accolto il ricorso del lavoratore, ordinandone la reintegra nel posto di lavoro, Tuttavia, la Corte d'Appello di Napoli, in sede di reclamo, aveva ribaltato la decisione, ritenendo legittimo il licenziamento.
Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'Appello di Napoli, respingendo il ricorso del lavoratore e riconoscendo la validità del licenziamento per giusta causa. Secondo la Suprema Corte, il cuore della questione risiedeva nella possibilità di considerare rilevanti, ai fini dell'accertamento della giusta causa di recesso, fatti risalenti a un precedente rapporto di lavoro, ma scoperti successivamente dal datore. La Cassazione ha ribadito che il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore può essere compromesso non solo da condotte poste in essere durante il rapporto in corso, ma anche da fatti pregressi, a condizione che la loro scoperta avvenga in un momento successivo e che essi siano tali da incidere sulla fiducia necessaria alla prosecuzione del rapporto di lavoro.
Richiamando la propria giurisprudenza, in particolare la sentenza n. 428 del 2019 (che aveva affermato il principio di diritto secondo cui “in tema di licenziamento per giusta causa, il vincolo fiduciario può essere leso anche da una condotta estranea al rapporto lavorativo in atto, benché non attinente alla vita privata del lavoratore e non necessariamente successiva all'instaurazione del rapporto, a condizione che, in tale secondo caso, si tratti di comportamenti appresi dal datore dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate e dal ruolo rivestito dal dipendente nell'organizzazione aziendale”) , la Corte ha sottolineato come il comportamento del lavoratore fosse stato talmente grave da rendere impossibile il mantenimento del rapporto fiduciario.
La mancata consegna della corrispondenza, infatti, non era un semplice inadempimento, ma una condotta dolosa, caratterizzata dalla sottrazione e dall'occultamento di migliaia di plichi postali, alcuni dei quali addirittura manomessi. Il lavoratore, anziché svolgere il proprio incarico con la diligenza richiesta, aveva deliberatamente trattenuto la corrispondenza in un locale di sua pertinenza, privando i destinatari del servizio e violando in modo irrimediabile i suoi obblighi contrattuali.
Un altro aspetto su cui la Corte si è soffermata riguarda le giustificazioni addotte dal lavoratore, che aveva sostenuto di aver attraversato un periodo di difficoltà personale e psicologica, ma senza mai allegare una vera e propria incapacità di intendere e di volere.
La Cassazione ha evidenziato come queste difficoltà non potessero giustificare una condotta di tale gravità. In situazioni di disagio, il lavoratore avrebbe potuto ricorrere ad altri strumenti, come la richiesta di permessi o di assenze per malattia, anziché sottrarre la corrispondenza e occultarla per anni.
Infine, la Corte ha rigettato l'eccezione di sproporzione della sanzione, ritenendo che il licenziamento fosse una misura adeguata rispetto alla condotta accertata.
Le norme contrattuali (l'art. 54, VI comma lett. A), C) e K) e l'art. 80 lett. e) del CCNL di riferimento) applicabili al caso specifico prevedevano il licenziamento per fatti di particolare gravità, e nel caso in esame la gravità era evidente: il lavoratore aveva compromesso in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro, rendendo inconcepibile la prosecuzione del rapporto.
L'ordinanza della Cassazione conferma un principio consolidato: la giusta causa di licenziamento può basarsi anche su fatti pregressi, purché la loro scoperta successiva incida sull'affidabilità del lavoratore.
La decisione sottolinea altresì la centralità del vincolo fiduciario nel rapporto di lavoro e la rilevanza del dolo nella valutazione della proporzionalità della sanzione disciplinare.
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Paolo Patrizio
- Avvocato - Professore - Università internazionale della Pace delle Nazioni UniteRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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