martedì 25/02/2025 • 06:00
In tema di licenziamento per inidoneità fisica, il datore di lavoro è tenuto a verificare la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o, in assenza, a mansioni inferiori e adottare ogni accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri sproporzionati, sia idoneo a contemperare l'interesse del disabile con quello del datore. Così la Cassazione con ordinanza 9 febbraio 2025 n. 3282.
Nel caso in esame un lavoratore - in forza presso una cooperativa dal gennaio 2009 per cambio appalti con mansioni di addetto alle pulizie ed inquadramento nel 2° livello del CCNL Multiservizi - era stato giudicato invalido civile, dal 2008, con una percentuale di invalidità permanente del 100%.
Il lavoratore, licenziato per inidoneità permanente alle mansioni nell'agosto 2010, aveva impugnato in giudizio il provvedimento affinché venisse dichiarato illegittimo.
La Corte d'appello, nel confermare la sentenza di primo di rigetto dell'impugnativa formulata del lavoratore, aveva osservato che:
- il licenziamento era stato impugnato
(a) in quanto l'incapacità allo svolgimento delle mansioni di pulitore non era sopravvenuta, essendo le sue condizioni di salute risultate incompatibili con l'attività sin dall'inizio del rapporto
(b) per la mancata osservanza dell'obbligo di ripescaggio, senza, però, dimostrare la possibilità di essere adibito a mansioni compatibili con il proprio stato di salute;
- la doglianza relativa all'illegittimità del recesso per mancato espletamento della visita medica pre -assuntiva non era stata specificamente dedotta nel ricorso introduttivo del giudizio, e all'epoca dell'assunzione non sussisteva l'obbligo di effettuarla;
- la cooperativa aveva dimostrato concretamente di non poter reperire mansioni compatibili con il suo stato di salute. Mansioni sedentarie sarebbero state possibili solo nell'ambito di un altro appalto e, avendo il lavoratore già rifiutato il trasferimento della sede di lavoro all'interno dello stesso comune, si doveva presumere che non avrebbe accettato il trasferimento in un'altra Regione, per di più con rapporto a tempo determinato anziché indeterminato;
- la sua grave malattia non era stata ulteriormente aggravata per l'attività lavorativa svolta nel periodo alle dipendenze della cooperativa, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria.
Il lavoratore ricorreva in cassazione, affidandosi a 4 motivi, a cui resisteva la cooperativa con controricorso.
Il lavoratore, tra gli altri, eccepiva
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, innanzitutto, osserva che la decisione impugnata non ha statuito che l'obbligo datoriale di tutelare la salute del lavoratore non sia intrinseco alla natura del rapporto di lavoro né che possa essere derogato in caso di successione di appalti. Piuttosto, evidenzia la Corte di Cassazione, i giudici di merito hanno considerato la mancata visita da parte del medico competente prima del luglio 2010 come dipesa da una condotta omissiva del lavoratore unita a prolungate assenze e, così, non imputabile al datore di lavoro.
Rimarca, anche, la Corte di Cassazione che, per quanto concerne l'onere di ricollocamento del lavoratore e la possibilità di accomodamenti ragionevoli, la posizione della Corte distrettuale è coerente con i principi più volti affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Viene così ribadito che, in tema di licenziamento per inidoneità fisica del lavoratore, il datore di lavoro è tenuto:
(a) a verificare la possibilità di adibirlo a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori, nonché
(b) ad adottare, qualora ricorrano i presupposti di applicabilità dell'art. 3, comma 3-bis, del d.lgs. 216/2003, ogni ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, sia idoneo a contemperare, in nome dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, l'interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all'impresa, anche attraverso una valutazione comparativa con le posizioni degli altri lavoratori (cfr. Cass. n. 6497/2021).
Nel caso di specie, sottolinea la Corte di Cassazione, i giudici di merito hanno valutato in concreto l'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o inferiori e non ricorrenti i presupposti di applicabilità dell'art. 3, comma 3bis, del D.Lgs. n. 216/2003 in materia di ragionevoli accomodamenti organizzativi, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del caso, quali l'oggetto degli appalti e il suo presumibile rifiuto di trasferirsi in un'altra Regione, vista la precedente impugnativa di trasferimento intra-comunale.
In considerazione di quanto sopra, la Corte di Cassazione conclude per il rigetto del ricorso presentato dal lavoratore, con sua condanna al pagamento delle spese del giudizio.
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Giuseppe Gentile
- Avvocato e Professore di diritto del lavoro Università di Napoli Federico IIRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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