mercoledì 22/01/2025 • 14:30
La Corte di Cassazione, con sentenza 19 gennaio 2025 n. 1274, ha riaffermato la legittimità costituzionale del divieto di retroattività per le norme più favorevoli in materia di sanzioni tributarie, bilanciandola con le altre esigenze di rango costituzionale.
La norma contestata e l'evoluzione della normativa sanzionatoria
L'art. 5 D.Lgs. 87/2024 ha disposto che il regime sanzionatorio più favorevole, introdotto con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 2, trovi applicazione alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024, con ciò derogando espressamente al principio della retroattività della sanzione più favorevole, sancito dall'art. 3 c. 3 D.Lgs. 472/97.
Pertanto, la norma che esclude il favor rei nel sistema tributario (il citato art. 5 D.Lgs. 87/2024) è frutto di una scelta legislativa razionale e non è una creazione giurisprudenziale. La legislazione tributaria, per almeno cinquant'anni, ha adottato un principio di non operatività della retroattività in bonam partem per le leggi eccezionali e finanziarie, specie prima della riforma del 1997. Prima del D.Lgs. 471/97, D.Lgs. 472/97 e D.Lgs. 473/97, in vigenza dei principi generali degli illeciti amministrativi (tributari e non tributari) contenuti nella L. 689/81, non era previsto il favor rei. Pertanto, la scelta di limitare l'applicazione di tale principio, seppur ben radicato nella tradizione normativa sanzionatoria dopo il 1997, si fonda comunque sulla discrezionalità legislativa, che è pienamente compatibile con il dettato costituzionale.
Non va dimenticato che prima della riforma delle sanzioni del 1997 non si applicava affatto il principio di personalità della sanzione amministrativa. Le sanzioni tributarie erano attribuite direttamente ai trasgressori, in virtù di una responsabilità oggettiva con colpa presunta del comportamento, senza alcuna valutazione di ambito soggettivo sulla volontà o meno di compiere l'illecito. Questa impostazione aveva conseguenze significative sia sulla retroattività delle norme sia sull'applicazione del favor rei, che risultava di fatto escluso. Il regime previgente, nonostante la sua rigidità, era costituzionale e in linea con le esigenze dell'ordinamento dell'epoca. Pertanto, anche l'attuale limitazione del favor rei non poteva essere incostituzionale.
In sintesi, nonostante la mancanza di una vera costituzionalizzazione del favor rei, la sua applicazione selettiva riflette l'equilibrio tra l'interesse pubblico al mantenimento del gettito fiscale e i diritti dei contribuenti. Tuttavia, è importante riconoscere che, storicamente, l'esclusione della retroattività favorevole non ha mai creato un problema insormontabile di legittimità, ma si è radicata come un approccio coerente con le necessità del sistema tributario.
La comparazione di valori costituzionalmente tutelali nella sentenza
L'elemento chiave emerso nella sentenza in argomento è la vera ragione dietro l'esclusione del favor rei in ambito tributario. Molti commenti a questa pronuncia semplificano eccessivamente la questione dicendo che la Cassazione ha ritenuto prevalente la salvaguardia del bilancio dello Stato quale principio costituzionale opponibile alla deroga al favor rei.
In realtà, la pronuncia è molto più articolata e sofisticata.
Il passaggio della sentenza in esame non si limita a equiparare il gettito fiscale al principio del favor rei come valore costituzionale. Piuttosto, sviluppa un ragionamento articolato che pone al centro la comparazione tra diversi interessi costituzionali, sottolineando la necessità di un bilanciamento tra principi di rango pari. La Corte specifica che la deroga alla lex mitior deve trovare giustificazione in una comparazione puntuale con altri diritti o interessi costituzionali o eurounitari.
In particolare, il collegio distingue il caso in esame da precedenti pronunce, evidenziando che la deroga alla lex mitior nella giurisprudenza costituzionale il sacrificio del principio della legge più favorevole era stato motivato da situazioni peculiari, come la tutela dell'equilibrio di bilancio in relazione a tributi dichiarati incostituzionali. La natura di queste deroghe si basava su esigenze straordinarie e non su una generale applicazione legislativa.
Nel caso di specie, la cassazione va oltre la mera tutela del gettito, evidenziando la specificità del tema delle sanzioni. La Corte sottolinea che il sacrificio della sanzione più mite non è un atto automatico, ma una scelta eccezionale, giustificata solo quando un interesse di rango costituzionale sovrasta il principio del favor rei.
Limitare la scelta tra favor rei e bilancio Dello Stato è una ingiusta semplificazione della sentenza in argomento. Quest'ultima richiama la pronuncia della Corte Costituzionale, 13 gennaio 2015, n. 10 che ha operato una scelta simile ma precisa che “Il richiamo a quest'ultima pronuncia è al più utile a individuare nella preservazione delle ragioni di equilibrio finanziario una delle ipotesi in cui un diverso e contrapposto interesse di rango costituzionale assurge a ragione che può indurre il Legislatore a “sacrificare”, eccezionalmente, la lex mitior. Ma, ciò detto, quest'ultima pronuncia si rivela non certo decisiva rispetto alle conclusioni cui questo collegio perviene”.
Pertanto, semplificare questa sentenza riducendola a un'affermazione del valore costituzionale del gettito rispetto alla lex mitior non coglie la complessità del ragionamento. La Corte, infatti, non si limita a considerare il gettito come un valore costituzionale equivalente, ma lo inserisce in un contesto di bilanciamento più ampio, riconoscendo che solo interessi di particolare rilevanza possono giustificare una deroga al principio generale. Questa lettura più approfondita aiuta a evitare interpretazioni riduttive e a comprendere l'approccio metodico adottato nel caso specifico.
La discrezionalità legislativa e la razionalità del divieto di retroattività
Secondo la suprema corte, la norma che esclude la retroattività favorevole è espressione della discrezionalità legislativa, pienamente razionale e costituzionale. Come evidenziato nei recenti dibattiti, le sanzioni tributarie hanno una funzione ibrida: da un lato, garantire l'adempimento degli obblighi fiscali; dall'altro, fungere da deterrente per le violazioni.
Affermare che la riduzione delle sanzioni comporti una perdita di gettito diretto è fuorviante. Il gettito derivante dai controlli fiscali è già il risultato di un sistema complesso che include accertamenti, verifiche e sanzioni, ma il loro obiettivo principale è indurre comportamenti virtuosi e conformi alla legge. Il gettito delle sanzioni non è un elemento di economia pubblica particolarmente rilevante, ma l'apparato sanzionatorie ha comunque una funzione disincentivante verso gli illeciti fiscali. Questo spiega perché l'Agenzia abbia spesso giustificato l'esclusione del favor rei (anche)con motivazioni legate al gettito, pur avendo altre finalità più concrete, come preservare un potere di valutativo ampio nei confronti dei contribuenti, facendo leva anche sui benefici premiali in ambito sanzionatorio. Più le sanzioni sono ridotte e meno risultano attrattive forme di acquiescenza o di adesione con gli Uffici.
In questo contesto, il favor rei in ambito tributario non può essere considerato un feticcio. Tale principio, al di fuori del diritto penale, deve essere calato in un diverso sistema di valori costituzionali, tanto che il suo recepimento in ambito amministrativo/tributario richiede attenzione per diverse ragioni. Prima di tutto, le sanzioni tributarie, pur avendo una componente punitiva, sono principalmente orientate a garantire la conformità alle norme fiscali e la certezza del gettito, piuttosto che perseguire una finalità strettamente retributiva o rieducativa, come accade nel diritto penale.
Di tale differenza valoriale prende atto anche la sentenza in oggetto, precisando: “Deve intanto riaffermarsi che l'equivalenza tra sanzione amministrativa e sanzione penale costituisce una regola tendenziale ineludibile e inevitabile, che tuttavia non giunge ad una perfetta sovrapposizione dei piani. Se è vero che […] la sanzione amministrativa può assumere sostanza e natura penale, è altrettanto utile ricordare che la stessa natura penale delle sanzioni ha necessità d'essere perimetrata.
Per giustificare meglio questo ragionamento, la cassazione ricorda che, se è costituzionalmente lecito applicare sanzioni anche “quando leggi successive escludano in radice il disvalore di una condotta” deve considerarsi altrettanto costituzionale che la riduzione delle sanzioni non applicabile retroattivamente comporti deroghe all'applicazione del principio del favor rei.
In conclusione, è proprio la complessa revisione della disciplina che in sé porta a reputare come il legislatore delegato delle sanzioni tributarie, nella ponderazione complessiva dei valori e degli interessi di rilevanza costituzionale, abbia agito nel legittimo perimetro della delega conferita.
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Giovanni Incerto
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