martedì 10/12/2024 • 06:00
Il Tribunale di Bari, con sentenza 12 novembre 2024 n. 4350, rileva come la reiterata assenza dal domicilio nelle fasce di reperibilità durante la malattia assuma rilievo disciplinare che può arrivare alla lesione del vincolo fiduciario e quindi anche al licenziamento del dipendente.
La giurisprudenza sui licenziamenti – come noto – è spesso “variabile”, nel senso che – vista la delicatezza della materia e gli effetti così importanti nella vita delle persone – una parte fondamentale nella valutazione del giudice concerne il comportamento concreto del lavoratore e spesso la reiterazione dei fatti contestati.
Nella fattispecie in esame, il Tribunale di Bari, con sentenza n.4350 del 12 novembre 2024, conferma la legittimità del licenziamento di una lavoratrice per una serie di motivi, tra cui soprattutto l'assenza dal suo domicilio nelle fasce di reperibilità.
Il fatto
I fatti contestati sostanzialmente vertono sull'insussistenza di uno stato di malattia e comunque sulla perpetrazione di condotte suscettibili di influire negativamente o rallentare il recupero dalla malattia in diverse giornate lavorative, sulla continuativa assenza dal proprio domicilio durante le fasce di reperibilità, sull'assenza ingiustificata in una specifica giornata, ed infine sulla mancata presentazione alla visita medico-collegiale ex art.5 dello Statuto dei lavoratori, verificate anche attraverso l'utilizzo di un'agenzia investigativa.
Dalla lettura del dispositivo appare chiaro come, nella valutazione complessiva, il magistrato abbia tenuto conto sia di dichiarazioni contraddittorie di alcuni testimoni sia dell'insieme dei comportamenti succitati.
Tralasciando alcuni aspetti di dettaglio, una delle principali motivazioni della sentenza sfavorevole al dipendente si basa sulle assenze dal domicilio nelle c.d. fasce di reperibilità.
I principi giuridici
Concentrandoci quindi in particolare su quest'ultimo aspetto, il giudice parte dal fatto che tale comportamento viola sia quanto previsto in materia dal contratto collettivo nazionale di lavoro sia l'art.5 della Legge n.638/1983e il D.M. 15 luglio 1986.
Il Tribunale parte dal ricordare che l'art. 5 della legge 300/1970, al comma 1, da un lato fa divieto al datore di lavoro di disporre visite di controllo sull'infermità per malattia tramite medici di propria fiducia (al fine di garantire l'imparzialità del controllo medico) dall'altro, al comma 2 dello stesso articolo, prevede il potere del datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità dei dipendenti attraverso i servizi ispettivi degli enti previdenziali competenti (che sono obbligati a svolgere siffatto controllo a richiesta del datore di lavoro).
L'art.5 della Legge 638/1983 delimita temporalmente lo svolgimento delle c.d. “visite fiscali”, imponendo al dipendente l'obbligo di reperibilità domiciliare all'interno di fasce orarie previste su quattro ore (in genere dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19) giornaliere (giorni festivi e non lavorativi compresi).
La sentenza ricorda come la reperibilità del lavoratore ammalato nel domicilio durante le prestabilite ore della giornata costituisce un onere all'interno del rapporto assicurativo con l'ente previdenziale ed un obbligo accessorio alla prestazione principale del rapporto di lavoro, la cui violazione assume rilievo disciplinare all'interno del rapporto stesso, salva la prova, da parte del lavoratore, dell'esistenza di un ragionevole impedimento all'osservanza del comportamento dovuto (cfr., per esempio, Cass. civ., Sez. Lav., 6618/2007 e Cass. 24 luglio 2000 n. 9709).
La violazione dell'obbligo di reperibilità può arrivare a ledere il vincolo fiduciario: tale valutazione, ricorda il Tribunale, dovrà comunque essere operata in concreto dal giudice, anche senza la necessità che risulti la falsità della malattia allegata (in tal senso Cass. civ., Sez. Lav., 3226/2008).
Il dipendente – prosegue la sentenza - non può limitarsi a produrre il certificato medico attestante l'effettuazione di una visita specialistica o di un trattamento terapeutico durante l'orario di reperibilità, ma deve dare dimostrazione della loro urgenza e indifferibilità e cioè di una necessità di effettuarli sorta durante le ore della possibile visita di controllo (cfr., per esempio, Cass. 1° marzo 2004 n. 4163), così come sussiste sempre l'obbligo di preavviso al datore di lavoro. “…Opinando diversamente si verrebbe a dilatare pericolosamente il concetto di giustificato motivo anche a ipotesi di mera opportunità e a consentire al lavoratore di sottrarsi al legittimo controllo della visita fiscale, senza che possano costituire un freno all'eventuale abuso l'onere della prova a carico del lavoratore e il controllo del giudice di merito”.
Nella fattispecie concreta, prosegue il magistrato, va osservato che non risultano accertate né in alcun modo allegate quali sarebbero state le ipotetiche improvvise e cogenti situazioni di necessità che abbiano reso indifferibile la presenza della sig.ra in luogo diverso dal suo domicilio proprio durante le fasce orarie di reperibilità (e non in altri frangenti). In altri termini, anche volendo ammettere che gli allontanamenti dal domicilio fossero avvenuti (come indicato dal perito nominato) allo scopo di ritrovare aspetti della normale vita quotidiana nell'ottica di una guarigione, “non risulta (né è stato, a dire il vero, allegato) il perché la lavoratrice abbia dovuto svolgere tali attività proprio nelle giornate e nelle ore interessate dall'obbligo di reperibilità”.
L'altro principio giuridico affrontato dalle motivazioni della sentenza è la proporzione della sanzione irrogata. Il giudice osserva il fatto che la sig.ra è stata responsabile dell'allontanamento dal domicilio in ben sei giornate, peraltro all'interno di un arco temporale di soli due mesi.
Alcune considerazioni
Le motivazioni alla base della decisione del giudice sono molto di dettaglio e la sentenza è ben articolata, su ognuno degli aspetti contestati al lavoratore.
Al di là di tutti gli aspetti tecnico/giuridici, risulta evidente come il Tribunale, in linea generale, abbia rilevato una successione di comportamenti del dipendente che hanno evidenziato la completa assenza di correttezza e buona fede del lavoratore: “…la ripetizione della condotta in argomento, che conculca la possibilità (legittimamente riconosciuta) di controllo datoriale in ordine alla effettività dello stato di malattia, è sicuramente grave ed evidenzia noncuranza della dipendente per le prerogative datoriali”.
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Francesco Geria
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