lunedì 09/12/2024 • 06:00
Il preavviso nasce con la funzione di permettere la sostituzione del dimissionario, attenuando le conseguenze legate a un'interruzione del rapporto non sempre facile da gestire. In caso di rinuncia al preavviso da parte dell’azienda, il datore di lavoro non è tenuto al versamento della relativa indennità sostitutiva.
L’articolo 2118 c.c. stabilisce che ciascuno dei contraenti può recedere da un contratto di lavoro dandone preavviso all’altra parte, nei termini e nei modi previsti dalla contrattazione collettiva o, in assenza, secondo usi ed equità.
Non è necessario comunicare con anticipo la cessazione qualora questa avvenga per giusta causa che impedisce la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro in essere.
Qualora non venga rispettato tale principio è prevista, a carico della parte in difetto di comunicazione, la corresponsione al contraente leso di una somma equivalente all’importo della retribuzione spettante per il periodo stesso.
Il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore un’indennità equivalente alla retribuzione a cui avrebbe avuto diritto per la sua durata anche nelle seguenti ipotesi:
Discorso a parte merita il dipendente, indipendentemente dal sesso, che si dimette durante il primo anno di vita del suo bambino che è obbligato a dare il preavviso ma deve ricevere
dal datore di lavoro la relativa indennità sostitutiva.
In caso di cessazione naturale di un contratto a tempo determinato, ovviamente, non si è tenuti ad alcuna comunicazione anticipata dello stesso.
Durata preavviso
La durata del preavviso varia in base a quanto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale applicata dall’azienda e generalmente tiene conto dell’anzianità aziendale, della qualifica del dipendente (operaio/impiegato) e del livello.
Chiaramente figure con elevata anzianità o con livelli di responsabilità notevoli sono sostanzialmente più difficili da sostituire e quindi, gli stessi, sono obbligati a riconoscere periodi più lunghi rispetto ad altre posizioni.
Imponibilità contributiva e fiscale
L’indennità sostitutiva di preavviso corrisposta al lavoratore va a formare la base per il calcolo dell’imponibile previdenziale o contributivo.
Qualora, nel caso opposto, venga detratta allo stesso questa assume il connotato di una trattenuta “secca” dall’importo netto che l’ex dipendente deve ricevere.
Ai fini fiscali tale emolumento viene assoggettato in maniera separata e la relativa imposta viene calcolata deducendo la quota dei contributi conto dipendente.
All’imponibile fiscale verrà poi applicata la stessa aliquota utilizzata per la tassazione del TFR.
Le funzioni del preavviso
L’istituto del preavviso, ravvisabile nella maggior parte dei contratti di lavoro stipulati a tempo indeterminato, ha la funzione di attenuare le conseguenze legate da una cessazione del contratto unilaterale.
Un altro compito, non di secondaria importanza, è quello di garantire alla parte che in sostanza lo subisce di provvedere in tempi rapidi e, soprattutto in maniera efficace, alla sostituzione del dipendente dimissionario.
Ma cosa può succedere in caso di dimissioni del lavoratore, nel rispetto del preavviso, con conseguente rinuncia dello stesso da parte del datore di lavoro?
LA SOLUZIONE
Diversi orientamenti giurisprudenziali, anche di ultima pronuncia, ritengono che l’azienda non debba riconoscere l’indennità sostitutiva all’ex dipendente.
Il punto di partenza è che, nonostante la natura obbligatoria, la rinuncia del datore di lavoro non fa sorgere il diritto per il lavoratore al conseguimento della medesima.
La possibilità che l’azienda non si avvalga del rispetto di tale istituto è strettamente connessa con l’efficacia dello stesso che può essere considerata reale o obbligatoria.
Le prime pronunce giurisprudenziali sostenevano l’efficacia reale del preavviso: durante la durata dello stesso si producono gli effetti del rapporto di lavoro ed il recesso opera esclusivamente decorsi i termini indipendentemente che questo venga lavorato o meno.
Se le parti non trovano un accordo riguardo la cessazione immediata del rapporto questo rimane in piedi con tutte le conseguenze fino alla scadenza del termine.
Andando a sostenere, invece, la tesi dell’efficacia obbligatoria del preavviso, quest’ultimo viene ritenuto obbligatorio per la parte recedente con conseguente e corrispondente diritto della parte che subisce il recesso.
In conseguenza di ciò si può pensare che la parte lesa possa, senza che sia necessario il consenso dell’altra parte, pretendere la relativa indennità sostitutiva.
Il rapporto si conclude immediatamente con il pagamento della stessa che rimane l’unico obbligo a carico della parte recedente.
Per contro la stessa può continuare il rapporto lavorativo fino alla conclusione del periodo di preavviso stabilito.
In quest’ottica l’istituto viene visto come obbligo accessorio ed alternativa per chi intende cessare il rapporto al quale corrisponde un diritto della controparte che può decidere di accettarlo o meno.
Proprio sulla base di queste motivazioni, per chi rinuncia volontariamente al preavviso non può sorgere l’obbligazione di riconoscere l’indennità sostitutiva.
La presenza di una clausola specifica nel contratto, individuale o collettivo che esso sia, che preveda espressamente l’obbligo di corresponsione della stessa a fronte della rinuncia è l’unica soluzione che potrebbe ribaltare il discorso fatto fin d’ora.
Concludendo si può affermare che in caso di dimissioni del dipendente la rinuncia aziendale al preavviso non fa scattare l’obbligo per la stessa di elargire la relativa indennità sostitutiva, salvo l’applicazione di una specifica clausola contenuta nel contratto individuale o collettivo applicato al rapporto.
Onde evitare discussioni in merito, è sempre consigliabile apporre nei contratti individuali, sempre che non vi sia contraddizione con quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, una esplicita clausola che permetta al datore di lavoro di rinunciare al preavviso senza essere costretto ad erogare alcuna indennità sostitutiva dello stesso al dimissionario.
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Mario Cassaro
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