lunedì 04/11/2024 • 06:00
La mancanza di un'effettiva sede operativa e del personale dipendente costituiscono validi e qualificati elementi presuntivi di una frode IVA che potrà essere “smontata” dal contribuente dimostrando di aver agito in assenza di consapevolezza di aver partecipato a un'evasione fiscale realizzata dal soggetto emittente la fattura.
In materia di operazioni soggettivamente inesistenti si presuppone, da un lato, l'effettività dell'acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell'impresa utilizzatrice della fattura o della prestazione dei servizi in essa indicati e, dall'altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce o la prestazione del servizio da soggetto economico diverso da quello risultante dalla fattura emessa. Ricade sull'amministrazione finanziaria l'onere di provare che l'operazione commerciale documentata dalla fattura è stata posta in essere dal soggetto diverso dall'emittente della fattura (senza necessità di individuazione del diverso soggetto), indicando gli elementi presuntivi o anche solo indiziari sui quali si fonda la contestazione. Elementi che devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l'operazione non sia stata realizzata dal soggetto che risulta documentalmente (Cass. 9851/2018; 5339/2020; 15369/2020; 25891/2023; CGUE, Ppuh, C-277/14; Kemwater ProChemie, C-281/20).
Sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il cedente o prestatore del servizio, emittente la fattura, sia privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che sia ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per poter operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell'operazione indicata in fattura da parte del soggetto emittente (Cass. 9851/2018).
L'amministrazione finanziaria deve inoltre provare la consapevolezza del destinatario che l'operazione si innestava in un'evasione IVA, che non si sostanzia nella prova della partecipazione del soggetto all'accordo criminoso né nella prova della sua piena consapevolezza della frode, ma solo che il contribuente “sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l'operazione si inseriva in una evasione fiscale”.
In altri termini, non è richiesta la dimostrazione di un puntuale elemento volitivo o, anche, la conoscenza e volontà della partecipazione e/o dell'esistenza della frode ma l'osservanza di un parametro di diligenza rapportato alla professionalità richiesta per l'attività svolta e al contesto (allineandosi così alla CGUE, secondo cui “disponeva di indizi idonei a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente”).
Se è pur vero che in presenza di indizi di evasione IVA ci si possa attendere una maggiore diligenza dal soggetto passivo, spetta sempre al giudice di merito verificare che le prescrizioni del fisco non abbiano l'effetto di imporre a quest'ultimo di intraprendere verifiche complesse e approfondite relative al suo fornitore, trasferendo di fatto in capo a tale soggetto passivo il compimento degli atti di controllo spettanti all'Amministrazione fisale che non potrà esigere, in termini generali, che un soggetto passivo, che intenda esercitare il diritto alla detrazione IVA, verifichi che l'emittente della fattura correlata ai beni ed ai servizi a titolo dei quali venga richiesto l'esercizio del medesimo diritto abbia soddisfatto i suoi obblighi dichiarativi e di pagamento IVA (Vikingo, C-610/09 e Crewprint, C-611/19).
Nel caso Global Ink Trade (C-537/22), la CGUE ha concluso che gli artt. 167, 168, lett. a e 178, lett. a), Direttiva IVA non ostano ad una prassi mediante la quale il fisco neghi ad un soggetto passivo di detrarre l'IVA relativa all'acquisto dei beni che sono stati ceduti a quest'ultimo con la motivazione che le fatture riguardanti tali acquisti siano inattendibili, a causa di circostanze attestanti una mancanza di diligenza imputabile a detto soggetto passivo: circostanze che, in linea di principio, sono valutate in considerazione di una circolare pubblicata dal fisco all'attenzione dei soggetti passivi, a condizione che tale prassi e circolare:
Una volta accertato che l'amministrazione finanziaria abbia assolto al proprio onere probatorio, ricadrà in capo al contribuente la dimostrazione che la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, ovvero che l'operazione sia effettivamente intercorsa tra i soggetti risultanti dalla fattura, con la precisazione però che non sia sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono solitamente adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia. Al contribuente che non riesca a fornire tale prova, per non essere coinvolto in una tale situazione, e quindi, per poter contabilizzare la relativa fattura all'operazione contestata, non rimane che provare di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale messa in atto dal colui che ha emesso la fattura, e ciò deve fare dimostrando di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, in base a criteri di ragionevolezza e proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
LA SOLUZIONE
La mancanza di un'effettiva sede operativa e l'inesistenza di personale dipendente, purché accertate dal giudice di merito e non contestate, costituiscono validi e qualificati elementi presuntivi dell'inesistenza delle operazioni, risultando così impossibile che le forniture venissero realizzate dalle società emittenti le fatture, ma anche la consapevolezza della società contribuente di inserirsi in un sistema di frode fiscale giacché, a prescindere dalla verifica dell'esistenza meramente formale delle società, non è giustificabile, sul piano della diligenza qualificata richiesta, la mancata verifica dell'effettiva esistenza ed operatività delle società con le quali si intrattengono i rapporti commerciali (Cass. 26326/2024).
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