La fuoriuscita fisiologica dal concordato preventivo biennale
Nel contesto della disciplina del concordato preventivo biennale (CPB) di cui al D.Lgs. 13/2024, il tema della possibilità di fuoriuscita fisiologica dal regime rappresenta uno dei punti nodali, in quanto anche su di esso si misura la ragionevolezza dell'istituto sul piano giuridico e pratico, posto che l'ampliamento o la restrizione delle ipotesi di cessazione del concordato, con particolare riguardo a eventi non contemplati al momento dell'adesione alla proposta, ne condiziona la buona riuscita in termini di numero di professionisti ed imprese minori che verranno in concreto “attratti” nella tassazione concordata.
L'istituto del CPB, come è noto, è ispirato a logiche di premialità giustificate dal fatto di “razionalizzare gli obblighi dichiarativi e di favorire l'adempimento spontaneo, i contribuenti di minori dimensioni”, come recita l'art. 6 del citato decreto; premialità attuate tramite forme di tassazione sostitutiva incrementale, rispetto a quanto dichiarato nel 2023, spettanti a coloro che appunto sono disposti a spostare verso l'alto l'asticella dei redditi imponibili e prestare adesione alla proposta in tal senso formulata dall'Agenzia delle entrate. In questo contesto, è evidente che il legislatore non si può limitare a decidere la sorte (in termini di imponibilità piena o parziale, ovvero non imponibilità) di eventuali redditi effettivi superiori a quelli presunti/concordati, ma deve regolare anche il caso contrario, cioè dell'esistenza di minori redditi effettivi rispetto a quelli concordati. Al riguardo, le scelte praticabili sono variegate: imporre, comunque, il pagamento dei tributi sui redditi concordati, trascurando l'esistenza di redditi effettivi più bassi; procedere ad una revisione dell'accordo, cercando di mantenere forme di tassazione di favore nonostante si discuta di importi minori; stabilire la cessazione dal concordato, con applicazione della tassazione ordinaria.
La prima soluzione appare palesemente contraria all'art. 53 Cost. e in totale disarmonia con le rationes premiali e di contrasto all'evasione della legislazione sul CPB. La seconda potrebbe risultare eccessivamente vantaggiosa per i contribuenti e troppo costosa per l'Erario, oltre che priva di adeguate ragioni che giustificherebbero comunque la riduzione della pretesa impositiva. L'ultima soluzione, cioè la cessazione dal concordato è, invece, quella più agevolmente praticabile, e giuridicamente sostenibile, in quanto risulta neutrale sul fronte dell'imposizione tributaria.
Non a caso la scelta fatta dal D.Lgs. 13/2024 è stata quella di prevedere la cessazione dal concordato, sia pur con delle limitazioni (su cui ci soffermiamo in seguito) che finiscono, a mio avviso, per mettere in crisi la tenuta dell'istituto dal punto di vista sia della coerenza con i principi costituzionali della materia tributaria, sia dell'effettiva appetibilità del regime, divenendo troppo rischioso in termini di oneri tributari “ingiusti” a cui si può andare incontro con l'adesione.
Orbene, l'art. 19, comma 2, del decreto dispone che “in presenza di circostanze eccezionali, individuate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, che determinano minori redditi effettivi o minori valori della produzione netta effettivi, eccedenti la misura del 30% rispetto a quelli dichiarati oggetto di concordato, quest'ultimo cessa di produrre effetti a partire dal periodi di imposta in cui tale differenza si realizza”.
Che la soluzione prospettata dal legislatore fosse poco meditata lo dimostra, innanzitutto, l'intervento attuato con il D.Lgs. 108/2024 (c.d. correttivo), con cui è stata abbassata la soglia di rilevanza del predetto scostamento dal 50% al 30%. Questo intervento, seppur apprezzabile, risulta a ben vedere asfittico. Restano, infatti, ulteriori limitazioni sulle quali si sarebbe potuto intervenire.
Innanzitutto, non si comprende perché la normativa dia rilevanza al calo dei redditi solo in presenza di circostanze eccezionali. Posto che non vi sono esigenze di cautela fiscale da bilanciare con il principio della effettività dell'imposizione, la scelta del legislatore appare discutibile; ciò soprattutto considerando che la contrazione dei redditi effettivi rispetto a quelli presunti è spesso dovuta ad aspetti fisiologici dell'attività esercitata, quali la perdita di un cliente importante, l'inasprimento della concorrenza, difficoltà nell'approvvigionamento dei beni utilizzati nel processo produttivo, etc.
Secondariamente, esaminando il DM 14/6/2024 attuativo del CPB si appura che le circostanze eccezionali ivi contemplate consistono, oltre alla sussistenza di fatti calamitosi a seguito dei quali è dichiarato lo stato di emergenza (per i quali, invero, vengono di norma adottati provvedimenti tributari ah hoc), in eventi di tipo straordinario che comportano danneggiamenti ai locali imprenditoriali e professionali o alle scorte di magazzino (e non ai beni strumentali). Rileva, poi, la sospensione dell'attività imprenditoriale o professionale, comunicata alla CCIAA e all'ordine professionale di competenza. Ciò che salta agli occhi è che il DM non dà alcun rilievo a circostanze eccezionali riguardanti la sfera personale dell'imprenditore o del professionista, tra cui, per limitarsi al caso più lampante, si cita quello attinente a un documentato infortunio o stato di malattia con conseguenze protratte nel tempo, tali da incidere negativamente sullo svolgimento dell'attività economica/professionale e sulla produzione dei redditi (profili che a ben vedere da sempre sono stati considerati nell'ambito delle precedenti ipotesi di predeterminazione dei redditi di impresa e professionali in sede di accertamento).
Orbene, per rimediare alle criticità della disciplina delle circostanze eccezionali che generano la cessazione dal concordato, si potrebbe sostenere che le indicazioni del DM abbiano natura esemplificativa e non tassativa. In altri termini, anche considerato che si tratta di un atto di normazione secondaria, esso ben potrebbe e dovrebbe limitarsi ad individuare, in astratto, solo alcune delle “circostanze eccezionali” che, impattando negativamente su imprese e professionisti, possono condurre alla cessazione del CPB. La tesi della non tassatività consentirebbe, evidentemente, di dare rilievo, oltre agli imprevisti relativi alla sfera personale del contribuente di cui si è detto, anche ad altri eventi, relativi all'attività imprenditoriale/professionale, non contemplati nel DM.
Le circostanze fisiologiche
Quanto al tema della rilevanza delle circostanze fisiologiche che possono determinare un calo significativo dei redditi effettivi, portandoli ben al di sotto di quelli concordati, per poter affermare che anch'esse possano determinare la cessazione del CPB, si rivela necessario un intervento del legislatore, non trattandosi, appunto, di circostanze eccezionali, come in atto prevede la normativa. D'altra parte, se il principio di tassazione dei fatti imponibili effettivi mette al riparo il contribuente dal pagamento di un tributo ingiusto, non è difficile intravedere una plausibile ragione per cui la disciplina del CPB debba operare una valutazione di meritevolezza circa la causa ordinaria/fisiologica o straordinaria/patologica della contrazione dei redditi.
L'individuazione di una soglia di scostamento tra redditi concordati e minori redditi effettivi dovrebbe essere, di per sé, sufficiente a salvaguardare i profili di cautela fiscale e di certezza del rapporto Fisco-contribuente, bilanciandole appunto con l'esigenza di tassare i redditi effettivi.
In subordine, volendo mantenere un regime differenziato tra circostanze straordinarie e situazioni fisiologiche nella prospettiva della cessazione del CPB, si potrebbe fissare per queste ultime una soglia di scostamento tra reddito effettivo e reddito concordato più elevata, “ripescando” la percentuale del 50% contenuta nella prima versione della normativa.