lunedì 18/09/2023 • 06:00
A partire dalla recente sentenza del TAR Lombardia, si chiariscono i confini del potere di disposizione rimesso agli ispettori del lavoro ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 124/2004, come ricostruiti dalla più recente giurisprudenza amministrativa. In particolare, si analizza il caso in cui ad essere violate siano le norme di un contratto collettivo.
Il potere di disposizione trova la sua fonte di disciplina nell'art. 14 D.Lgs. 124/2004, dove è previsto che: “Il personale ispettivo dell'Ispettorato nazionale del lavoro può adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative”.
Come è stato correttamente osservato, l'art. 14 D.Lgs. 124/2004 ha reso “sanzionabili” le “irregolarità” imputabili al datore di lavoro che non siano già sanzionate in via amministrativa e penale dal nostro ordinamento; detto altrimenti, la disposizione in esame attribuisce all'Ispettorato la facoltà di impartire un ordine volto a garantire l'osservanza di norme che siano sprovviste di un proprio autonomo presidio sanzionatorio (Circ. INL n. 5/2020).
La lettura della norma consente di tratteggiare un primo sommario confine del potere di disposizione, che risulta subordinato al ricorrere di due condizioni:
È altresì importante sottolineare che:
Potere di disposizione e contrattazione collettiva
Se non paiono esservi dubbi circa la possibilità di emanare la disposizione a fronte della violazione di norme di legge, maggiormente discussa è la possibilità di intervento dell'ispettore nel caso in cui ad essere violate siano le norme previste da un contratto collettivo.
Sul punto, si riscontra una certa frizione tra la prassi amministrativa e la giurisprudenza.
L'INL, nella sua circolare n. 5/2020, ha ritenuto di escludere la possibilità di ricorrere al potere di disposizione in relazione ai soli obblighi “che trovano la loro fonte in via esclusiva in una scelta negoziale delle parti, non derivanti quindi dalla legge o da previsioni collettive, fermo restando che, qualora tali obblighi abbiano natura patrimoniale, sussiste sempre la possibilità di ricorrere alla conciliazione monocratica o alla diffida accertativa”.
Secondo l'INL, il potere di disposizione è sempre esercitabile qualora la condotta del datore di lavoro si ponga in contrasto con le previsioni della legge e del contratto collettivo, e se ne dovrebbe escludere il ricorso solo qualora ad essere violata sia una previsione ricavabile dal contratto individuale di lavoro o comunque da pattuizioni individuali intercorse tra le parti, ferma restando – in questi casi – la possibilità di ricorrere ad altri strumenti di tutela, come la conciliazione monocratica o la diffida accertativa (Circ. INL n. 5/2020).
In diversa direzione sembra collocarsi invece la sentenza n. 155/2021 del TAR Friuli-Venezia Giulia, che, valorizzando il termine “irregolarità” contenuto nella previsione dell'art. 14, ha ritenuto esercitabile il potere di disposizione esclusivamente nei casi in cui venga ravvisata una difformità rispetto ad una “fattispecie legale” priva di espressa sanzione giuridica. Secondo il TAR, infatti, “la particolare natura dei contratti collettivi, atti di natura negoziale aventi però efficacia ultra partes e para-normativa, avrebbe richiesto da parte del legislatore un'esplicita considerazione anche nel contesto dell'art. 14 che, nel parlare di "lavoro e legislazione sociale" e correlate "sanzioni penali o amministrative", sembra naturalmente riferirsi alle sole fonti di diritto oggettivo”.
Inoltre, prosegue la sentenza, la possibilità di ammettere il ricorso alla disposizione per “sanzionare” eventuali violazioni del contratto collettivo risulterebbe irragionevole anche sotto un profilo sistematico; la disposizione, in quel caso, finirebbe per dare una conformazione definitiva al rapporto di lavoro, dando luogo “all'accertamento di un rapporto giuridico tra privati in via amministrativa, per effetto di un potere unilaterale, senza le garanzie proprie della giurisdizione” (cfr. ancora TAR Friuli-Venezia Giulia, sentenza n. 155/2021; è importante sottolineare che, sulla base di questi principi, l'organo di giustizia amministrativa ha annullato un atto di disposizione che pretendeva di assegnare definitivamente un livello di inquadramento superiore ad un dipendente).
Il potere di disposizione come “valvola di chiusura” del sistema
Allo stato, la giurisprudenza amministrativa sembra aver aderito ad una concezione “residuale” e per questo non eccessivamente ampia del potere di disposizione.
Il TAR Marche, ad esempio, ha sottolineato come il potere di disposizione sia esercitabile solo in caso di violazione di norme c.d. “imperfette”, che al comando giuridico non accompagnino alcuna sanzione. Tra le sanzioni che escludono l'esercizio dei poteri previsti dall'art. 14 D.Lgs. 124/2004, il TAR Marche ha ricompreso anche le sanzioni civili e più in generale tutti quei rimedi tipici consentiti dall'ordinamento per rendere in qualche modo sanzionabile l'eventuale inosservanza del datore di lavoro. La disciplina del potere di disposizione, osserva ancora il TAR Marche, va infatti interpretata in conformità al principio di residualità del potere di disposizione, in base al quale esso è attivabile solo in mancanza di rimedi tipici (TAR Marche Sez. I n. 464/2022).
Ad avviso di chi scrive, la lettura fornita dai TAR è sistematicamente corretta.
Laddove non venisse “filtrato” tenendo conto del principio di residualità, infatti, l'istituto della disposizione rischierebbe di porsi in serio contrasto con il principio di legalità, che, come noto, impone la predeterminazione per legge tanto dalle fattispecie sanzionabili in via amministrativa o penale, tanto dei poteri esercitabili dagli organi ispettivi. La lettura fornita dai TAR ha quindi il merito di supplire alla totale assenza di criteri direttivi previsti dalla legge, e può fornire un importante contributo nell'ottica di superare i dubbi di costituzionalità e di coerenza logica che ben potrebbero essere sollevati con riguardo alle scarne previsioni dell'art. 14.
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Marianna Russo
- Ricercatrice di diritto del lavoro presso l'Università degli studi della Campania "Luigi Vanvitelli"Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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