Le questioni fondamentali legate alle norme introdotte dal legislatore fiscale in tema di cripto-attività sono due:
- la retroattività della tassazione delle plusvalenze;
- l'irragionevolezza dell'applicazione indiscriminata della tassazione a qualunque tipo di cripto-valuta.
Entrambe le questioni avrebbero potuto essere evitate scrivendo una norma d'interpretazione autentica, in cui era sufficiente dire che qualunque diritto o valore rappresentato digitalmente avrebbe scontato lo stesso trattamento fiscale previsto per il medesimo diritto o valore privo di una rappresentazione digitale. Una norma di questo tipo, magari con un minimo di esemplificazioni in una relazione di accompagnamento penso che avrebbe funzionato senza problemi anche per il passato.
Invece, ci troviamo di fronte a norme che da un lato, quelle sulla tassazione retroattiva, violano clamorosamente il principio di legittimo affidamento e di certezza del diritto espressamente tutelato dallo Statuto del contribuente, dall'altro, quelle del comma c-sexies dell'art. 67 Tuir, rischiano di introdurre discriminazioni tali da confliggere con principi costituzionali come quelli di uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva.
Ma vediamo di focalizzare il vulnus della novella introdotta dal comma c-sexies dell'art. 67 Tuir.
Per andare dritti al cuore della disciplina fiscale delle cripto-attività introdotta ex novo dal legislatore nazionale con la legge di bilancio del dicembre 2022, credo che si debba partire dalla definizione che questi ha dato di cripto-attività.
Rappresentazione digitale di diritti o di valore
Questa definizione, che è poi esattamente mutuata da quella del regolamento UE MICA, significa che una cripto-attività è un “involucro” digitale che contiene diritti o valori. Se spostiamo sul piano giuridico la nozione di “involucro” ci avviciniamo a qualcosa di molto simile a un titolo, un titolo rappresentativo di diritti o valori.
Intanto possiamo fare una distinzione tra diritti e valore. Una rappresentazione di valore è qualcosa di simile a una banconota. Se è digitale allora probabilmente possiamo affermare che si tratta di un bene assimilabile a una valuta. Se invece parliamo di diritti, stiamo parlando di qualcosa che ha una collocazione giuridica piuttosto chiara. I diritti, per esempio, possono essere assoluti o relativi (la proprietà è un diritto assoluto, un credito è un diritto relativo). E si potrebbe continuare per questa via.
Quindi, ciò che certamente possiamo desumere dalla definizione di cripto-attività esplicitata dal legislatore è che questa non può avere una natura giuridica unica e nemmeno omogenea. Dipenderà da quello che rappresenta digitalmente. Quindi il significato proprio della definizione data dal legislatore va nella direzione esattamente opposta alle implicazioni fiscali che lo stesso legislatore ha tratto.
Il fatto che il legislatore abbia scelto di qualificare i plusvalori delle cripto-attività come redditi tassabili in qualunque caso e indistintamente è quindi un enorme problema che probabilmente darà luogo a controversie che spaziano dall'incostituzionalità della norma a interpretazioni forzate e improbabili della stessa. Facciamo qualche esempio. Un privato acquista un token rappresentativo del diritto di proprietà di un immobile. Dopo sei anni, lo cede e realizza una plusvalenza. In base all'attuale formulazione della norma questa plusvalenza è tassabile. Se invece lo stesso soggetto avesse acquistato tout court lo stesso immobile e lo avesse rivenduto dopo esattamente gli stessi sei anni, la plusvalenza realizzata non sarebbe stata tassabile. L'esempio che ho fatto è macroscopico, ma potrei farne diversi altri.
Ed è proprio questo il grande problema. Dato un plusvalore relativo a uno stesso diritto, viene applicato un diverso regime fiscale a seconda che sia o meno rappresentato da un titolo digitale. E cioè, in pratica, se esso è rappresentato digitalmente viene sottoposto a una penalizzazione sul piano fiscale del tutto irragionevole (oltre che irrazionale).
Osservazioni
Una simile disciplina è compatibile con i principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva? Direi proprio di no.
Nella legge delega il governo si impegna a semplificare la normativa fiscale rendendola razionale, chiara e organica.
Ecco, quello della disciplina fiscale delle cripto-attività non è un buon esempio, perché semplificare non vuol dire ammassare in una sola norma concetti e significati giuridici differenti. Significa rendersi conto esattamente del significato di una definizione e trarne le conseguenze coerenti. Occorre soffermarsi sulla definizione stessa, fare tutti i collegamenti e le associazioni normative e concettuali necessari, chiarirsi bene le idee, e solo dopo scrivere un testo chiaro, fluido, linguisticamente e concettualmente esatto. La semplicità, in materia giuridica, è essenzialmente questa. Poi, se si ha anche il dono della sintesi, meglio.