Le misure di inclusione sociale e occupazionale, fondamentali perché mirano a contrastare l'esclusione sociale delle fasce deboli grazie a percorsi di inserimento mirati e, soprattutto, per coloro che risultano in grado di lavorare, provvedono al loro inserimento lavorativo con percorsi di politica attiva, non esauriscono l'intervento del decreto lavoro appena approvato dal Consiglio dei ministri, che contiene ulteriori modifiche di promozione dell'occupazione e tutela delle condizioni dei lavoratori.
Con il superamento del reddito di cittadinanza e la maggiore attenzione della nuova misura alla necessaria differenza di approccio e di percorsi da garantire tra chi può lavorare e chi ne è impossibilitato, uno dei temi oggetto di maggiore attenzione è stato il contratto a tempo determinato, con riferimento al quale si è parlato, con poca accortezza, di “liberalizzazione”. In realtà l'intervento del decreto lavoro non fa altro che confermare la tendenza, varata anche dal precedente esecutivo, alla luce delle difficoltà applicative delle rigide causali introdotte dal decreto dignità, di consentire che le esigenze temporanee del rapporto di lavoro vengano disciplinate da una normativa adeguata alla effettività delle condizioni di lavoro, garantendo la tutela dei diritti dei lavoratori ed impedendo l'abuso del ricorso al lavoro a termine.
Rapporti di lavoro a termine
Lungo questa direzione le nuove norme assegnano alla contrattazione collettiva il compito fondamentale di individuare le causali giustificatrici della apposizione del termine al contratto di lavoro. Quella che nella più recente normativa aveva rappresentato una eccezione, diviene adesso la regola, sostituendo alla rigidità delle causali prescritte dalla legge la flessibilità delle previsioni della contrattazione collettiva, che garantiscono migliore flessibilità e riscontro alle istanze concrete della organizzazione produttiva. Ciò con la garanzia della partecipazione fattiva delle organizzazioni sindacali. Il riferimento è ai contratti collettivi così come intesi dall'art. 51 del d.lgs. n. 81/2015, all'interno del quale si collocano le nuove norme, con la possibilità dunque che la previsione possa avvenire anche nell'ambito della contrattazione collettiva aziendale, per meglio recepire le esigenze concrete della realtà alla quale poi le causali devono applicarsi. Come premesso, l'intervento fondamentale delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e l'espressione delle loro rappresentanze su quello aziendale, fa si che l'effettività della garanzia della tutela dei diritti dei lavoratori possa ritenersi assicurata, unitamente all'impedimento dell'abuso dei contratti a termine.
In via subordinata, in assenza delle previsioni della contrattazione collettiva, l'apposizione del termine è rilasciata alla possibilità individuata dalle parti, pur sempre nell'ambito delle esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva previste dalla nuova formulazione della lettera b) del primo comma dell'art. 19 del d.lgs. n. 81/2015. Anche in questo caso l'autonomia delle parti (e l'esercizio della discrezionalità da parte del datore di lavoro, considerato contraente forte del rapporto di lavoro) è governata dall'affermazione dei princìpi sottesi alla necessità di evitare abusi, considerato che l'apposizione del termine deve pur sempre essere giustificata da ragioni oggettive connesse alla organizzazione produttiva, e quindi non può rappresentare la mera espressione esclusiva della volontà soggettiva del datore.
Trasparenza delle informazioni del rapporto di lavoro
Il d.lgs. n. 104/22, nel recepire la Direttiva UE 2019/1152 in materia di trasparenza e prevedibilità delle condizioni di lavoro, ha introdotto una copiosa serie di adempimenti formali in capo ai datori di lavoro, in alcune occasioni anche superando quelle che erano le intenzioni del legislatore comunitario. Il decreto lavoro interviene innanzi tutto riguardo agli obblighi informativi in capo al datore di lavoro al momento della instaurazione del rapporto di lavoro. Il contenuto di questo obbligo era stato tradotto nell'onere di consegna di una lunga serie di documenti ed informazioni in forma cartacea al momento della instaurazione del rapporto di lavoro. La conseguenza era di un adempimento burocratico dispendioso in termini di tempi e snellezza delle procedure di assunzione, senza alcuna garanzia di effettiva informazione o conoscibilità delle condizioni del rapporto di lavoro, non assicurata dalla consegna di una copiosa documentazione cartacea, di dubbia utilità.
Le modifiche del decreto lavoro consentiranno, mutuando peraltro le indicazioni della stessa Direttiva 2019/1152, di sostituire la consegna di numerose informazioni in forma cartacea con la possibilità del rinvio alle norme o alla contrattazione collettiva che le contengono. Così i lavoratori sono comunque resi edotti delle informazioni previste dalla legge e la soluzione del rinvio alle previsioni che le contengono consente di conservare la funzione di garanzia richiesta dalla Direttiva, riconsegnando all'attuazione dei princìpi da quest'ultima affermati quella efficacia sostanziale che oggettivamente risulta invece frustrata dall'attuale formulazione.
Prestazioni occasionali nel settore turistico e termale
Si registra un ampliamento dei margini applicativi delle prestazioni occasionali, limitatamente al settore turistico e termale. Per gli operatori dei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento, il limite dei compensi complessivi annuali per ciascun utilizzatore è elevato a 15.000 euro, mentre il divieto delle utilizzazioni delle prestazioni occasionali, sempre con riferimento al settore in discorso, vede innalzato il requisito dimensionale a 25 lavoratori. Si tratta oggettivamente dell'ampliamento dei canoni applicativi e delle possibilità del ricorso a tale forma residuale di gestione del rapporto di lavoro. Tuttavia, la limitata circoscrizione dell'ambito applicativo, riferito esclusivamente al settore turistico e termale, consente di attenuare la preoccupazione di una diffusione eccesiva di condizioni di precarietà, considerato che si tratta di un settore che, fisiologicamente, si caratterizza per momenti di ciclicità e discontinuità.
Taglio del cuneo fiscale
Il capitolo degli interventi sul costo del lavoro prevede una ulteriore riduzione della aliquota contributiva a carico dei lavoratori subordinati con reddito fino a 35mila euro lordi annui: più 4 punti percentuali per i periodi di paga da luglio a novembre 2023, senza incidenza sulla tredicesima mensilità.
Welfare aziendale
Per il periodo di imposta 2023 si innalza a 3.000 Euro il limite complessivo, che non concorre a formare il reddito, di valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti con figli a carico nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell'energia elettrica e del gas naturale.
Fonte: Com. Stampa CdM 1° maggio 2023