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sabato 28/01/2023 • 06:00

Lavoro Dalla Cassazione

Fondo di garanzia INPS: accesso entro un anno per ottenere i crediti di lavoro

Secondo la Cassazione, il diritto del lavoratore ad ottenere dei crediti degli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro dal Fondo di garanzia INPS si prescrive nel termine annuale, decorrente dal momento in cui il creditore ritiri il verbale negativo di pignoramento, atto attestante l'insufficienza delle garanzie patrimoniali datoriali. 

di Paolo Patrizio - Avvocato - Professore - Università internazionale della Pace delle Nazioni Unite

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Con la recente sentenza n. 1771/2023, pubblicata in data 23 gennaio 2023, la Cassazione torna sul tema della decorrenza del termine prescrizionale sancito dall 'art. 2, c. 5, D.Lgs. 80/92 connesso alla tempestiva richiesta di intervento del Fondo di garanzia gestito dall'INPS.

Il caso

Più nel dettaglio, la vicenda posta al vaglio della Suprema Corte trae origine dal ricorso presentato da un dipendente per ottenere il pagamento dei crediti di lavoro , diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro e rientranti nei dodici mesi che precedono la data di inizio dell'esecuzione forzata.

In primo grado l'istanza del lavoratore veniva respinta sul presupposto dell'intervenuta maturazione, già al momento del deposito della domanda, della prescrizione annuale prevista dalla legge.

Secondo il Giudice del lavoro del Tribunale di riferimento, infatti, il dies a quo per il computo prescrizionale decorrerebbe dalla data di redazione del verbale di pignoramento mobiliare negativo e non dal momento in cui il debitore, con maggiore o minore solerzia, aveva provveduto al ritiro di tale verbale, così da poter avere conoscenza effettiva del suo contenuto e dell'insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro.

Né avrebbe potuto rilevare, altresì, secondo l'estensore, l'invocata esigenza di attesa del deposito degli ultimi bilanci della società ai fini attestativi della non fallibilità del datore di lavoro, potendo essere questi depositati «anche a distanza di anni», così da vanificare di fatto quelle esigenze di certezza del diritto che sono all'origine della fissazione di un termine di prescrizione.

Tale pronuncia veniva, quindi, sottoposta a gravame da parte del lavoratore e, in tale sede, la Corte d'appello provvedeva a riformare integralmente l'impugnata sentenza, condannando l'INPS a corrispondere all'appellante la somma invocata in sede di accesso al Fondo di garanzia.

Secondo i giudici di merito, infatti, il termine prescrizionale annuale disposto dall'art. 2, c. 5, D.Lgs. 80/92, decorrerebbe, anche in ragione della sua brevità, solo dal momento in cui il lavoratore, con il diligente ritiro del verbale di pignoramento, ha ottenuto effettiva conoscenza dell'infruttuoso esperimento della procedura esecutiva e dell'insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali datoriali.

Per tale ragione, nel caso di specie, essendo stata la domanda amministrativa di accesso al Fondo di garanzia presentata prima della scadenza del termine prescrizionale di legge (in conseguenza dell'accertato dies a quo di decorrenza dal giorno di ritiro del verbale di pignoramento infruttuoso), l'istanza del lavoratore doveva essere accolta.

L'INPS decide, quindi, di porre il caso al vaglio della Suprema Corte, stigmatizzando, in via principale, la decisione dei Giudici del gravame per aver errato nell'escludere l'estinzione del diritto per prescrizione annuale, considerando tempestiva la domanda presentata dal lavoratore.

Per l'Istituto ricorrente, infatti, risulterebbe rilevante solo ed esclusivamente la data del verbale di pignoramento che ha accertato l'esito negativo della procedura esecutiva, restando, invece, ininfluente il momento del ritiro del verbale da parte del lavoratore, in quanto lo stesso avrebbe potuto partecipare alle operazioni di pignoramento ai sensi dell'art. 165 disp. att. cod. proc. civ. e conoscerne così l'esito senza ritardo.

Il tempo atteso per il rilascio del verbale di pignoramento negativo rappresenterebbe, pertanto, un mero ostacolo di fatto e non potrebbe impedire la decorrenza della prescrizione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Cassazione, nel delibare la fattispecie posta al suo vaglio, parte dal rilievo dell'esatto oggetto del contendere, da individuare nell'esame del momento a partire dal quale il diritto può essere fatto valere, secondo l'ordinaria diligenza, ai fini dello scrutinio di eventuale maturazione della prescrizione annuale, come previsto dall'art. 2, c. 5, primo periodo, D.Lgs. 80/92.

Il dato normativo di riferimento, a livello di principio generale, viene certamente ancorato al disposto dell'art. 2935 cod. civ., se pur con la specifica della necessaria ponderazione dello stesso con le peculiarità del diritto del lavoratore di ottenere dall'INPS, in caso d'insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione delle ultime tre retribuzioni inevase.

Secondo gli Ermellini si tratta, infatti, di un diritto di credito a prestazione previdenziale, da considerarsi distinto e autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, che non si perfeziona con la cessazione del rapporto di lavoro, ma solo al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge (individuati nell'insolvenza del datore di lavoro, nella verifica dell'esistenza e della misura del credito in sede di ammissione al passivo o all'esito di procedura esecutiva).

Rileva, dunque, la Cassazione, come, ai sensi del chiaro disposto dell'art. 2, comma 2, della legge n. 297 del 1982 (richiamato dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 80 del 1992), quando il datore di lavoro «sia assoggettato alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero alla procedura dell'amministrazione straordinaria», il diritto può esser fatto valere e il pagamento può essere dunque richiesto al Fondo di garanzia trascorsi 15 giorni dal deposito dello stato passivo, reso esecutivo ai sensi dell'articolo 97 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero dopo la pubblicazione della sentenza di cui all'articolo 99 dello stesso decreto, per il caso siano state proposte opposizioni o impugnazioni riguardanti il suo credito, ovvero dalla pubblicazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo».

Quando, invece, come avviene nel caso di specie, il datore di lavoro non sia assoggettabile alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero alla procedura dell'amministrazione straordinaria, l'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1992 (e, negli stessi termini, l'art. 2, comma 5, primo periodo, della legge n. 297 del 1982, richiamato dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 80 del 1992) dispone che il lavoratore può azionare il suo diritto e chiedere al Fondo di garanzia il pagamento dei crediti di lavoro insoddisfatti, «sempreché, a seguito dell'esperimento dell'esecuzione forzata per la realizzazione di tali crediti, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti».

Quando decorre la prescrizione

Appare, dunque, evidente come, in tale ipotesi, il termine annuale di prescrizione decorra dal momento in cui le garanzie patrimoniali risultino in tutto o in parte insufficienti e il lavoratore possa formulare una domanda, adeguatamente suffragata dalla prova dell'insufficienza delle garanzie.

In tale contesto ermeneutico, diviene allora fondamentale interpretare correttamente il vocabolo "risultare" prescelto, non a caso, dal legislatore, siccome denotativo della necessità che il dato dell'insufficienza sia palese, e dunque "risulti", a un creditore che si adoperi con l'ordinaria diligenza per prenderne cognizione.

Tale interpretazione, nel valorizzare una nozione di "ordinaria diligenza", peraltro comunemente recepita nella disciplina della prescrizione (fra le molte, Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576), non annette rilievo a un ostacolo di mero fatto nell'esercizio del diritto, né vanifica le esigenze di certezza insite nella scelta normativa di fissare un termine di prescrizione.

La possibilità di far valere il diritto, cui l'art. 2935 c.c. riconnette il decorso della prescrizione, si può quindi dire ancorata a parametri oggettivi e presuppone la conoscibilità dei fatti rilevanti ai fini del dies a quo del relativo termine, in armonia con l'effettività della tutela giurisdizionale presidiata dalla Carta fondamentale (art. 24 Cost.) e, perciò, non meno rilevante rispetto alle esigenze di certezza dei rapporti giuridici enfatizzate nel motivo di ricorso.

In tale ambito, dunque, non può non tenersi conto della brevità del termine di prescrizione richiamata dai giudici d'appello, nonché del primario rango costituzionale degli interessi coinvolti e della funzione propria della disciplina dettata dalla legge 297/82 e dal D.Lgs. 80/92, siccome preordinata a rendere più incisiva la tutela del lavoratore, con peculiare riguardo alla retribuzione necessaria ad assicurargli un'esistenza libera e dignitosa, come sancito dall'art. 36 Cost.

È indubbio, invero, come «L'intervento del Fondo di garanzia istituito presso l'INPS per la realizzazione dei crediti di lavoro nei confronti del datore di lavoro inadempiente, che non sia assoggettabile alle procedure concorsuali, risponde ad un'esigenza di socializzazione del rischio da inadempimento e da insolvenza, che pone a carico dell'ente previdenziale, cui spetta il diritto di surroga, i rischi connessi alla procedura di recupero del credito, essendo subordinato all'assolvimento, da parte del lavoratore, dell'onere di agire in executivis nei confronti del datore di lavoro secondo un criterio conformato, nei tempi e nei modi, alla misura dell'ordinaria diligenza nell'esercizio dell'azione esecutiva individuale» (di recente, Cass., sez. VI-L, 24 ottobre 2022, n. 31405, punto 3.1.).

Il generale dovere di diligenza, che grava sul lavoratore, assume, dunque, rilievo cruciale, ritenendo al riguardo la Suprema Corte non condivisibili le censure evidenziate dall'Istituto ricorrente, secondo cui il lavoratore, con l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto partecipare alle operazioni di pignoramento, nell'esercizio della facoltà attribuita dall'art. 165 disp. att. cod. proc. civ., e così conoscere in anticipo l'insufficienza delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro.

È, infatti, vero che l'art. 165, primo comma, disp. att. cod. proc. civ. consente al creditore, all'atto della richiesta di pignoramento, di dichiarare l'intenzione di partecipare personalmente alle operazioni di pignoramento.

Ma è pur vero che tale opzione implichi, tuttavia, per il lavoratore, un ulteriore dispendio di denaro, ponendosi così in antitesi con quel canone di economicità che impronta di sé la diligenza che dev'essere profusa in questo particolare ambito.

Sul punto, invero, la Suprema Corte ha già evidenziato come «l'inutile esperimento dell'esecuzione forzata individuale rappresenta già, di per sé, una condizione di aggravamento della tutela concessa al lavoratore dipendente da un datore non assoggettato a procedura concorsuale [...] rispetto al lavoratore creditore di un datore di lavoro assoggettato a procedura concorsuale», legittimato ad accedere al Fondo di garanzia «decorsi 15 giorni dall'accertamento del credito (dal deposito dello stato passivo) senza essere tenuto a rapportarsi con la misura del riparto in sede concorsuale (e quindi anche se in ipotesi questo risultasse capiente)».

Non si ravvisano, pertanto, ragioni per far gravare sul lavoratore oneri ulteriori, con una più grave sperequazione a suo danno rispetto al lavoratore dipendente da un imprenditore fallibile, senza considerare poi il fatto che la presenza del creditore nella fase del tentativo dell'esecuzione forzata rappresenta una mera facoltà di natura partecipativa, da cui l'esclusione in nuce che da tale facoltà possano scaturire, per un verso, «oneri di condotta in capo al creditore» e, per altro verso, effetti pregiudizievoli quando si scelga di non partecipare.

Del resto, l'inizio delle operazioni peritali, cui le difese della parte ricorrente conferiscono risalto, non è neppure un momento di per sé determinante, posto che il pignoramento non si esaurisce necessariamente con il primo tentativo di accesso dell'ufficiale giudiziario, trattandosi di una fattispecie a formazione progressiva, che si dipana attraverso svariati incombenti.

Dunque, anche ad ammettere che il lavoratore profonda il massimo impegno e partecipi con costanza alle operazioni di pignoramento, quel che rileva è comunque la consegna del processo verbale, che attesta l'insufficienza delle garanzie patrimoniali e si pone quale momento determinante per la proposizione di una domanda debitamente supportata di accesso al diritto di credito verso il Fondo di garanzia.

Per gli Ermellini, dunque, la Corte d'appello, in coerenza con i principi enunciati, ha correttamente individuato, nel ritiro del verbale di pignoramento mobiliare negativo, il momento in cui il creditore, con una condotta improntata all'ordinaria diligenza (essendo stata l'acquisizione effettuata in tempi ragionevolmente ravvicinati), ha conosciuto l'insufficienza delle garanzie patrimoniali, necessaria per accedere all'intervento del Fondo di garanzia.

Tale valutazione, sorretta dall'apprezzamento di tutte le circostanze rilevanti, non è infirmata da doglianze che investano il profilo dell'accertamento di fatto e resiste alle critiche che, esclusivamente sotto il profilo della violazione di legge, ha formulato l'Istituto con il proprio ricorso.

Le conclusioni

Il motivo dev'essere, pertanto, rigettato, in ossequio al generale principio giuridico per cui «Il diritto del lavoratore di ottenere dall'INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, il pagamento dei crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, relativi agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, si prescrive nel termine di un anno. Nel caso di datore di lavoro non assoggettabile alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero alla procedura dell'amministrazione straordinaria, la prescrizione annuale decorre dal momento in cui il lavoratore, in seguito all'esperimento dell'esecuzione forzata, ha avuto cognizione o avrebbe dovuto avere cognizione dell'insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali, adoperandosi con una condotta improntata all'ordinaria diligenza per ottenere, ai sensi dell'art. 518 c.p.c. la consegna del processo verbale di pignoramento redatto dall'ufficiale giudiziario».

Fonte : Cass. 23 gennaio 2023 n. 1771

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