venerdì 20/01/2023 • 06:00
Secondo l'Agenzia delle Entrate il lavoratore che presta attività dall'Italia in smart working per un datore estero, impossibilitato a recarsi presso la propria sede di lavoro a causa della pandemia, può godere di una certa salvaguardia purché non sia possibile applicare lo split tax year.
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In tema di tassazione del lavoratore in smart working dall'Italia per un datore di lavoro estero, l'Agenzia delle Entrate ha fornito indicazioni interpretative nelle Risp. Interpello 19 gennaio 2023 n. 98 e n. 99 da cui si traggono spunti per alcune considerazioni.
Lo split tax year con la Svizzera
Il primo caso affrontato nella Risp. Interpello 19 gennaio 2023 n. 98 riguarda la questione relativa al trattamento fiscale del lavoratore che, impossibilitato a recarsi presso la sede di lavoro del proprio datore estero, presta attività in smart working dall'Italia.
Il primo aspetto affrontato riguarda la residenza fiscale del lavoratore. La modalità di tassazione, infatti, dipende dalla residenza fiscale della persona fisica, essendo prevista la tassazione sui redditi ovunque prodotti per i residenti, mentre le persone non residenti sono soggette a tassazione in Italia soltanto sui redditi prodotti in Italia.
La residenza fiscale in Italia, ai sensi dell'art. 2, c. 2, del TUIR, rappresenta lo status delle persone che, per la maggior parte del periodo d'imposta:
Le condizioni appena richiamate sopra poste dalla norma in una posizione di alternatività, ovverosia la presenza anche di una sola di esse, per la maggior parte del periodo d'imposta, rende il soggetto residente in Italia ai fini fiscali.
Inoltre, i cittadini Italiani trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto Ministeriale 4 maggio 1999 in cui è inclusa Svizzera, si considerano comunque residenti in Italia, salvo prova contraria, anche se cancellati dalle anagrafi della popolazione residente. Il trasferimento in Svizzera, dunque, anche a seguito della formale iscrizione all'AIRE, fa sorgere una presunzione relativa di residenza fiscale in Italia, secondo quanto previsto dall'art. 2 c. 2bis del TUIR.
La richiamata normativa domestica subisce deroghe in applicazione degli accordi internazionali conclusi dall'Italia con gli altri Stati esteri, in applicazione del principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno. In particolare, la Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera prevede all'art. 4, al paragrafo 2, le tie breaker rules per dirimere eventuali conflitti di residenza tra gli Stati contraenti.
Le richiamate regole prevedono dei criteri da applicare in maniera successiva: nel caso il primo non riesce a risolvere il conflitto di residenza si passa al secondo criterio e così via. Tra i criteri in ordine gerarchico prevale l'abitazione permanente per cui se una persona ha una abitazione permanente in uno solo dei due Stati è considerata residente di tale Stato. Il successivo criterio, nel caso la persona abbia l'abitazione permanente in entrambi gli stati, è quello del centro degli interessi vitali, poi il soggiorno abituale e la nazionalità.
La particolarità del Trattato con la Svizzera riguarda una specifica disposizione, contenuta nell'art. 4 paragrafo 4, che prevede esplicitamente la soluzione al problema della doppia residenza mediante il frazionamento dell'anno d'imposta, in caso di trasferimento da uno Stato all'altro nel corso dell'anno.
La disposizione richiamata prevede che: “la persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all'altro Stato contraente cessa di essere assoggettata nel primo Stato contraente alle imposte per le quali il domicilio è determinante non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio. L'assoggettamento alle imposte per le quali il domicilio è determinante inizia nell'altro Stato a decorrere dalla stessa data”.
Nel caso oggetto di interpello la persona aveva spostato il domicilio a giugno 2020, quindi, in applicazione della richiamata disposizione di diritto internazionale:
In applicazione dell'art. 15 paragrafo 1 della Convenzione tra Italia e Svizzera, i redditi di lavoro dipendente relativi al periodo in cui il contribuente ha lavorato in Italia in smart working, dove fino a giugno era residente, risultano imponibili esclusivamente in Italia. I redditi relativi al periodo in cui il lavoratore non è stato residente non sono tassabili in Italia.
Nel caso di specie non viene offerta alcuna salvaguardia, in via interpretativa, da parte dell'Agenzia delle Entrate al contribuente, in considerazione all'impossibilità di recarsi presso la sede del proprio datore di lavoro. La questione della tassazione viene, invece, risolta in applicazione della speciale regola dello split tax year prevista Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera.
Maggior parte dell'anno in Italia
Il secondo caso, oggetto della Risp. Interpello 19 gennaio 2023 n. 99, riguarda un lavoratore in smart working dall'Italia che, per le difficoltà legate alla pandemia, ha lavorato dall'Italia per il datore di lavoro cinese. In maniera analoga al precedente caso, il richiamato documento di prassi esamina le regole sulla residenza fiscale. Tuttavia, viene offerta una specifica salvaguardia, confermando che, in applicazione delle tie breaker rules previste dall'art. 4 paragrafo 2 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Cina, il lavoratore presente in Italia per più di 183 giorni potrebbe avere la residenza fiscale in Cina.
La richiamata interpretazione riprende il paragrafo 44 dell'analisi del Segretario OCSE, del 3 aprile 2020 e aggiornata il 21 gennaio 2021, sui trattati e l'impatto della crisi da COVID, secondo cui se la persona fisica dispone di una abitazione permanente in entrambi gli Stati occorrerà utilizzare il criterio del soggiorno abituale, individuando il motivo per cui il soggetto si trova in un Paese, la frequenza, la durata e la regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine di vita, tenendo conto di situazioni eccezionali come il blocco alla circolazione imposto per limitare la diffusione della pandemia.
L'Agenzia delle Entrate, quindi, prendendo spunto dalle richiamate indicazioni ammette la possibilità del lavoratore di essere residente fiscale in Cina, pur avendo lavorato in Italia per più di 183 giorni. Ciò comporta l'assoggettamento a imposizione in Italia soltanto per i redditi di lavoro prestati in Italia, sia pure in smart working.
Sia nel primo caso del lavoratore in Italia con datore svizzero, sia nel presente caso del dipendente di datore cinese, non viene ammessa la possibilità di considerare i lavoratori soggetti a imposizione solo nel Paese dove avrebbero lavorato in situazioni normali, in quanto la scelta legislativa è stata quella di consentire una tale possibilità solo ai lavoratori frontalieri con Austria, Svizzera e Francia, in base a appositi Accordi internazionali.
Fonte: Risp. AE 19 gennaio 2023 n. 98
Risp. AE 19 gennaio 2023 n. 99
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